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Lo studio della Pedagogia nel Liceo delle Scienze Umane. Il ruolo del Docente e la prospettiva dello studente

Lo studente di Scienze umane

Nel terzo capitolo, con il paragrafo dedicato al "PECUP", avremo modo di leggere quale sia il “Profilo educativo, culturale e professionale” richiesto e atteso, in entrata ed in uscita, allo studente del Liceo delle Scienze umane. Come però ci insegna l’esperienza, la realtà è ben più complessa e sfaccettata rispetto a quella proposta in un freddo Documento stilato da una “Cabina di regia” ministeriale.
Così, dopo aver visto da vicino la figura del Docente di Scienze umane e analizzato quali debbano essere le capacità richieste per insegnare in un campo interdisciplinare, conosciamo meglio lo studente di questo Liceo.
Per far ciò prenderemo le mosse da un saggio scritto da Callegari e Gasperi, oltre che dall’indagine condotta da “Almadiploma” nel 2020 su circa duemila diplomati del Liceo delle Scienze umane ad indirizzo tradizionale.
Leggendo il saggio di Callegari e Gasperi, basato su ciò che i Docenti pensano dei loro studenti, viene fuori come tale percorso di studio sia ancora affrontato con l’ottica della prospettiva lavorativa sullo sfondo, secondo gli sbocchi offerti dall’ex Istituto Magistrale sino a pochi decenni fa. Ciò non va letto soltanto come un ancoraggio al passato ma anche come un percepire il Liceo delle Scienze umane come più semplice e meno impegnativo, per lo meno in ingresso, ossia durante o al termine della Scuola Secondaria di Primo grado, visto che in uscita, dati alla mano ben il 95% degli intervistati dichiara di voler proseguire gli studi. Scendendo più nel particolare si capisce come però questo 95% sia in realtà frutto di una ‘costrizione’ non di un mero interesse, difatti oltre il 70% di coloro che dicono di voler proseguire gli studi in ambito universitario, giustificano questa loro scelta con la seguente affermazione: “necessità di una formazione universitaria per fare il lavoro cui sono interessati”.
Già i pochi dati qui proposti basterebbero per aprire una discussione in merito al fatto se l’Università debba o meno essere frequentata perché non ci siano altre vie per arrivare ad un determinato sbocco lavorativo, o se al contrario debba essere il frutto di una libera scelta e di una alternativa al lavoro.

Sempre dalla stessa indagine emerge che oltre il 63% dei diplomati intenda lavorare o meglio cercare lavoro principalmente in due settori ossia Istruzione e Servizi sociali o alla persona, occupazioni per cui è ormai richiesta una qualifica post-diploma ma che ben ci illustrano il quadro di una popolazione studentesca, inerente il Liceo preso in esame, votata al lavoro e pronta ad assumersi tutti i diritti/doveri conseguenti l’occupazione. In merito all’Istruzione, negli ultimi anni a corredo delle svariate riforme sulla scuola, è diventato usuale imbattersi in dichiarazioni di chi, quasi a voler giustificare quanto prodotto a livello ministeriale, ritiene necessario che si debba costruire la cosiddetta scuola delle “tre esse”: sapere, saper fare, saper essere. Orbene, una scuola che seppur prevedendo il livello universitario a suo completamento, sia una scuola che proietta i suoi allievi ad un lavoro prettamente pratico, dovrebbe poter contare su delle esperienze di stage/tirocinio che nel Liceo delle Scienze umane non risultano essere presenti.
Leggendo il saggio scritto da Callegari e Gasperi, dalla testimonianza di un Docente emerge come anche gli stessi studenti siano in realtà confusi da tale scelta di non prevedere delle ore dedicate alle esperienze pratiche. Certo la situazione rispetto al 2013, anno di pubblicazione del saggio sulla rivista “Studium Educationis”, è cambiata, a livello nazionale sono ormai presenti i “Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (ex alternanza Scuola-Lavoro)”; difatti dall’indagine “Almadiploma” riferita al 2020, emerge come il 99,5% degli studenti che abbiano svolto “PCTO”, per oltre l’80% lo abbiano fatto attraverso degli stage, è però riscontrabile anche un risultato abbastanza alto di “attività di formazione sulla salute e la sicurezza dei luoghi di lavoro”, pari al 59,2%.
Benché i risultati siano particolarmente soddisfacenti anche a detta degli stessi studenti, bisognerebbe però capire quali siano effettivamente le attività da essi svolte e soprattutto se nonostante gli studenti le giudichino per oltre il 59% coerenti con una o più discipline, e per ben il 38% utili alla propria formazione, siano effettivamente il modo migliore per spendere il tempo scolastico, dal momento che l’alternanza avviene per il 74,9% del campione, in orario scolastico.
Dalla cronaca giornalistica si nota come in realtà i “PCTO”, attualmente in vigore, siano in un certo senso utilizzati per ‘sfruttare’ lo studente senza che in realtà abbia modo di apprendere qualcosa che vada oltre a delle semplici nozioni e che non sia facilmente apprendibile per merito di capacità personali.
Selezionare due o tre studenti e metterli a ‘lavorare’ in una scuola dell’Infanzia o Primaria ma senza coinvolgerli nella vita scolastica e per quanto possibile integrarli nel corpo Docente, non rappresenta un modo per approfondire quanto studiato nelle diverse discipline né una modalità di apprendimento del mestiere.

Senza voler puntare il dito, nella nostra bella Italia, fatta di piccoli borghi e diverse sfaccettature sociali, un tempo, i meno abbienti che non avevano possibilità di andare a scuola o chi voleva, pur frequentando la scuola, avere una formazione diversa o arrotondare la giornata, si recava dal ‘Mastro’. Il ‘Mastro’ - che oggi chiameremmo artigiano - era una figura diffusa particolarmente nel Sud del Paese ed operava presso la propria bottega, insegnando il mestiere alle giovani generazioni. Non a caso, al giorno d’oggi, essendosi persa questa figura, si sono perse diverse professionalità, ossia posti di lavoro rimasti vuoti anche con l’avvento degli Istituti Professionali, in effetti trovare uno studente diplomato presso una Istituto
Professionale che faccia il ‘ciabattino’, il ferramenta o il falegname è cosa ben difficile.
Si obietterà che siano i giovani a non aver voglia di fare questi lavori, oppure che la scuola non possa pensare a tutto, salvo poi constatare come gli stessi giovani, privi di altri sbocchi lavorativi o invogliati dai diversi incentivi economici, siano pronti a tuffarsi a capofitto in tali mestieri.

In conclusione, riprendendo quanto detto nel corso del capitolo precedente, forse bisognerebbe ripensare il nostro sistema scolastico che pur rappresentando un’assoluta eccellenza, fa sentire tutto il peso dei suoi anni ma soprattutto la colpa di riforme fatte a metà o male e spesso - troppo spesso - fatte per meri interessi politici ed economici.
Liceizzare tutto, non serve a nulla, semplicemente sposta il problema più in là di qualche anno, allorquando gli studenti saranno stati costretti a frequentare l’Università ed a prescindere dai loro risultati, si troveranno proiettati in un mondo che è completamente diverso da quello a cui sono stati abituati o che credevano di dover affrontare.
La vera ed epocale Riforma - questa sì con la ‘r’ maiuscola - sarebbe quella capace di proiettare realmente la scuola nel futuro ed in grado di dare pari dignità agli Istituti Professionali ma che soprattutto, come già scritto, sia anche capace di creare veri sbocchi lavorativi.
Una Riforma che dovrebbe puntare molto meno sul “tempo scuola” inteso come tempo trascorso in aula ad assistere ad una lezione frontale e molto più su un tempo invece vissuto, fuori, non ‘a zonzo’, ma all’interno di botteghe che hanno fatto la storia, creato mestieri e che ancora oggi rappresentano il tessuto economico ed il cuore pulsante del nostro Paese, o nel caso del nostro Liceo delle Scienze umane in aula ad insegnare, ad imparare, semplicemente a professionalizzarsi.

Quindi, quale futuro per il Liceo?
Quello di una scuola di eccellenza, con un “monte ore” adeguato, senza contare su mille diversificate denominazioni ma piuttosto sul già citato piano di studi “a scelta dello studente” ed anche qui su una prospettiva extrascolastica; in fondo imparare un mestiere manuale anche se poi si deciderà di fare il Magistrato, il Medico, lo Psicologo, non nuocerebbe mica, anzi fungerebbe da ulteriore attestato di qualità , in grado di aprire la mente dello studente al pari dello studio del Latino, del Greco e delle altre Lingue e discipline. Una vera Riforma interverrebbe quindi in questo senso e potenzierebbe i “PCTO” che pur essendo positivi peccano di alcune carenze imputabili a demeriti che si protraggono da anni all’interno della scuola.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Lo studio della Pedagogia nel Liceo delle Scienze Umane. Il ruolo del Docente e la prospettiva dello studente

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Informazioni tesi

  Autore: Francesco Elia
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi di Padova
  Facoltà: Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagogiche e degli Studi Culturali
  Corso: LM-85
  Relatore: Giuseppe Zago
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 120

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