Skip to content

La realtà virtuale al cinema. Studi di caso.

Matrix e la filosofia

Naturalmente ciò che più ha colpito gli spettatori che si sono approcciati a Matrix è il forte contenuto filosofico del film, una cosa insolita per un blockbuster d’azione. Il punto principale su cui verte la pellicola è il problema della conoscibilità della realtà.
In modo intelligente e inquietante, Matrix fa leva sulla possibilità che ciò che l’uomo percepisce come mondo vero non sia altro che un’illusione, forse provocata da forze maligne intenzionate a ridurre l’umanità in schiavitù. Un tema certo non nuovo, ma che percorre tutta la storia della filosofia fin dall’Antica Grecia.
Il primo filosofo ad aver messo in dubbio la consistenza ontologica della realtà e la possibilità della sua conoscenza è stato Platone, con il suo celebre “mito della caverna”. Il saggio immagina che degli schiavi siano stati incatenati fin dalla nascita in una grotta, costretti a guardare solamente delle ombre di statuette proiettate su un muro davanti a loro. Per quegli uomini quelle ombre sono la realtà. Ma se uno di loro riuscisse a liberarsi scoprirebbe la verità, cioè che non le ombre ma le statuette sono reali. E se fosse in grado di uscire dalla caverna capirebbe che nemmeno le statuette sono la vera realtà, essendo delle semplici imitazioni. Tuttavia, qualora tentasse di convincere i suoi compagni delle sue nuove scoperte, questi ultimi non lo ascolterebbero, anzi lo ucciderebbero.
Un altro filosofo ad aver portato avanti il problema ontologico è stato René Descartes (Cartesio), nella prima metà del Seicento. La sua ricerca parte dal presupposto che bisogna “dubitare” di qualunque cosa non si presenti chiaramente e distintamente al nostro spirito, rifiutando quindi ogni conoscenza comunemente accettata e considerando come falso tutto ciò su cui il dubbio è possibile (metodo noto come “dubbio metodico”). Cartesio però ritiene che nessun grado o forma di conoscenza si sottragga al dubbio, sia perché i sensi possono ingannarci, sia perché si hanno nei sogni conoscenze simili a quelle che si hanno nella veglia senza che si possa trovare un sicuro criterio di distinzione le une dalle altre. Il filosofo arriva addirittura a ipotizzare l’esistenza di un “genio maligno” che si diverte ad ingannare gli uomini facendo apparire loro come vero ciò che è falso e viceversa.
L’impulso maggiore a questa indagine si è avuto però con l’empirismo inglese, e in particolare con David Hume. Questa corrente, sviluppatasi tra Seicento e Settecento, studia i limiti della ragione umana e dell’evidenza, arrivando ad enunciare che le uniche evidenze assolute sono quelle che derivano dall’esperienza, analizzata a fondo al di là dell’abitudine. Il richiamo costante all’esperienza fa sì che l’empirismo tenda ad assumere un atteggiamento limitativo o critico nei confronti delle possibilità conoscitive dell’uomo. Hume, il più “estremista” del gruppo (composto anche da John Locke e George Berkeley) ha condotto la ricerca a una conclusione scettica.
Secondo lui l’esperienza non è in grado di fondare la piena validità della conoscenza la quale, ricondotta nei suoi limiti, non è certa, ma soltanto probabile. Dalla coerenza e costanza di certe impressioni l’uomo comune è tratto a immaginare che esistono cose dotate di un’esistenza continua. Ma la filosofia insegna che ciò che si presenta alla mente è soltanto l’immagine e la percezione dell’oggetto e che i sensi sono solo le porte attraverso cui queste immagini entrano, senza che vi sia mai un rapporto immediato tra l’immagine stessa e l’oggetto. Perciò, secondo Hume, la sola realtà di cui siamo certi è costituita dalle percezioni. Una realtà che sia diversa da esse ed esterna ad esse non si può affermare. La “credenza” nel mondo esterno è ingiustificabile, anche se l’istinto che ci porta a credere in esso è ineliminabile. In parole povere, se si parte dal presupposto che la conoscenza deriva dai sensi, ma di fatto dello spazio non esiste alcuna impressione sensoriale, ne consegue logicamente che l’uomo non ha nessuna conoscenza effettiva, ma tutto è una creazione della propria mente.
A differenza di Hume, nel XVIII secolo Immanuel Kant (che pure è influenzato dalle ricerche del filosofo inglese) sostiene invece che la conoscenza è possibile e “inizia” con l’esperienza, benché ammetta che ciò non vuol dire necessariamente che “derivi” da essa. Kant individua nello spazio e nel tempo due aspetti della realtà che non sono forniti direttamente dai sensi, e che come tali sono forme “a priori” che forniscono “le informazioni complete per decodificare la realtà che ci circonda” e senza le quali il mondo reale sarebbe incomprensibile. La percezione degli oggetti è quindi conseguente all’applicazione delle intuizioni a priori di spazio e tempo. Più precisamente queste ultime sono “forme concettuali che applichiamo ai dati nel momento in cui le recepiamo dall’oggetto emittente. I concetti a priori hanno la loro origine nell’individuo, non sono emanati dalle forze causali dell’oggetto percepito; essi sono una sorta di setaccio interiore che consente la soggettivazione delle nostre percezioni”. In breve, la realtà esterna in sé è inconoscibile e l’individuo interagisce con essa e la interpreta solo secondo le intuizioni pure della sensibilità: lo spazio e il tempo. Il risultato di questo pensiero è la distinzione tra il “noumeno” – ovvero la realtà effettiva considerata a prescindere da noi e dalle forme a priori – e il “fenomeno” – ciò che appare all’uomo.
La stessa divisione viene riproposta nel XIX secolo da Arthur Schopenhauer, che, prendendo spunto anche dalla filosofia indiana e buddista, individua nel fenomeno ciò che lui chiama “velo di Maya”, cioè un “velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista”. Il fenomeno di Schopenhauer è quindi una “rappresentazione” esistente solo dentro la coscienza, un’apparenza illusoria, una fantasmagoria ingannevole. In virtù di ciò, il filosofo conclude che “la vita è sogno”, cioè un tessuto di apparenze, una sorta di “incantesimo” che la rende simile agli stati onirici.
Già da qui è chiaro quanto Matrix sia debitore di studi ontologici sviluppati in secoli di storia da personalità e correnti diverse. All’apparente impossibilità di distinguere la vita reale dal mondo dei sogni, descritta da Cartesio e da Schopenhauer, il film fa continuo riferimento, dal momento che la simulazione viene paragonata a un’esperienza onirica – ad un certo punto Morpheus domanda a Neo: “Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero? E se da un sogno così non ti dovessi più svegliare? Come potresti distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà?” – così come viene ripresa l’idea cartesiana di un “genio maligno” (incarnato in questo caso dalle macchine) autore dell’illusione. Il “mito della caverna” di Platone può essere visto poi come un “prototipo” della storia di Matrix (in entrambi i casi abbiamo un individuo che viene “liberato” da quella che credeva essere la realtà e scopre il mondo vero), mentre le teorie gnoseologiche di Hume e Kant sono citate esplicitamente quando (di nuovo) Morpheus spiega a Neo che tutto ciò che considera reale è costituito da nient’altro che “segnali elettrici interpretati dal cervello”.
Ma tra le fonti filosofiche di Matrix compaiono anche studi più recenti e maggiormente legati al concetto di virtualità. Impossibile non parlare del celebre esperimento ipotetico di Hilary Putnam (già omaggiato in Johnny Mnemonic): l’idea è che un cervello sia immerso in un vaso pieno di un liquido che ne permetta la permanenza “in vita” e sia connesso a un computer che fornisce gli stessi stimoli ricevuti da un normale sistema nervoso centrale; il computer fornirebbe la realtà virtuale e il cervello, benché privo di corpo, potrebbe rimanere nell’illusione di una relazione con il mondo, i suoi oggetti e le sue attività. Per Putnam, quindi, la realtà del cervello è una realtà a tutti gli effetti: non ci si può ingannare sull’esistenza delle coscienze, solo su quella dei corpi e del mondo esterno.
In una direzione analoga si muove il fisico britannico David Deutsch, che afferma che anche la nostra esperienza diretta del mondo attraverso i sensi è una realtà virtuale; non abbiamo mai esperienza diretta dei segnali nervosi. Non sapremmo che fare di quei flussi torrenziali di scariche elettriche. Ciò di cui facciamo esperienza diretta è proprio una traduzione in una realtà virtuale, generata appositamente per noi dalla mente inconscia a partire dai dati sensoriali con l’aiuto di teorie innate e apprese (cioè di programmi) su come interpretarle.
Perciò la realtà virtuale di Matrix è una perfetta metafora della realtà in quanto tale, con il flusso ininterrotto dei numeri che corrisponde a quello degli impulsi esterni, neuronali, che il nostro sistema riceve e che vanno organizzati sulla base di programmi precostituiti.
Infine la riflessione filosofica sulla consistenza della realtà assume una valenza sociologica nel pensiero di Jean Baudrillard, una delle massime fonti d’ispirazione per i Wachowski (al punto da omaggiarlo esplicitamente esibendo in una scena del primo film la copertina di Simulacri e Simulazioni). Tra i più convinti critici della postmodernità e della società simulacro, Baudrillard ha messo in dubbio il concetto di realtà, affermando che, nell’era della comunicazione virtuale, i fatti scompaiono e cedono il posto a un’apparenza che è il loro esatto contrario. Il filosofo sostiene che i media audiovisivi non fanno altro che aumentare il divario tra i segni e le cose. In particolare, i segni visivi acquisterebbero una propria autonomia rispetto al mondo concreto, diventando in tal modo autoreferenziali, cioè privi di qualunque legame con la realtà – che non esiste più, anzi è diventata il suo esatto contrario, un simulacro – , e portando alle estreme conseguenze la “perdita dell’aura” descritta da Walter Benjamin. La società contemporanea che Baudrillard tratteggia è dunque analoga a quella già vista nel “mito della caverna”, solo che le ombre sul muro sono sostituite dalle immagini create al computer. Il filosofo spiega inoltre che la virtualità dell’era postmoderna risponde “alla necessità dell’uomo contemporaneo di accettare la tragicità di vivere in un mondo in preda alla realtà: non potendo sostituire tale orizzonte con un altro, all’uomo non resta infatti […] che accrescere la negazione del reale in quanto tale, rifugiandosi nei mondi virtuali, equivalenti artificiali di quella medesima realtà”.
Più nel dettaglio, Baudrillard individua tre modi in cui la realtà viene riprodotta nella società postmoderna: la contraffazione, in cui la simulazione coincide con la copia naturalistica della realtà; la produzione, in cui la simulazione è la copia piuttosto simile all’originale, perlomeno al punto da confondere i legami tra realtà e rappresentazione; la simulazione, caratterizzata da una condizione di “digitalità” che determina una realtà autoreferenziale, prodotta da se stessa senza alcuna relazione col mondo esterno. Quest’ultima è la più diffusa nella società contemporanea e conduce al concetto di “iperreale”, cioè un reale che, spazzando via ogni rappresentazione, spettacolo, distanza o trascendenza, porta la simulazione a raggiungere un livello più ampio: quello di un “reale-più-reale-del-reale”, in cui la copia è talmente perfetta da non distinguersi più dall’originale, che viene così equiparato all’artificio.
Vedremo nel paragrafo seguente come il pensiero baudrillardiano si collega alla riscoperta del magistero di Dick, avvenuta alla fine degli anni ’90 e di cui Matrix è solo uno dei tanti prodotti derivati.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La realtà virtuale al cinema. Studi di caso.

CONSULTA INTEGRALMENTE QUESTA TESI

La consultazione è esclusivamente in formato digitale .PDF

Acquista

Informazioni tesi

  Autore: Fabio Ferrari
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2014-15
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Studi umanistici
  Corso: Dams - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Giulia Anastasia Carluccio
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 72

FAQ

Per consultare la tesi è necessario essere registrati e acquistare la consultazione integrale del file, al costo di 29,89€.
Il pagamento può essere effettuato tramite carta di credito/carta prepagata, PayPal, bonifico bancario.
Confermato il pagamento si potrà consultare i file esclusivamente in formato .PDF accedendo alla propria Home Personale. Si potrà quindi procedere a salvare o stampare il file.
Maggiori informazioni
Ingiustamente snobbata durante le ricerche bibliografiche, una tesi di laurea si rivela decisamente utile:
  • perché affronta un singolo argomento in modo sintetico e specifico come altri testi non fanno;
  • perché è un lavoro originale che si basa su una ricerca bibliografica accurata;
  • perché, a differenza di altri materiali che puoi reperire online, una tesi di laurea è stata verificata da un docente universitario e dalla commissione in sede d'esame. La nostra redazione inoltre controlla prima della pubblicazione la completezza dei materiali e, dal 2009, anche l'originalità della tesi attraverso il software antiplagio Compilatio.net.
  • L'utilizzo della consultazione integrale della tesi da parte dell'Utente che ne acquista il diritto è da considerarsi esclusivamente privato.
  • Nel caso in cui l’utente che consulta la tesi volesse citarne alcune parti, dovrà inserire correttamente la fonte, come si cita un qualsiasi altro testo di riferimento bibliografico.
  • L'Utente è l'unico ed esclusivo responsabile del materiale di cui acquista il diritto alla consultazione. Si impegna a non divulgare a mezzo stampa, editoria in genere, televisione, radio, Internet e/o qualsiasi altro mezzo divulgativo esistente o che venisse inventato, il contenuto della tesi che consulta o stralci della medesima. Verrà perseguito legalmente nel caso di riproduzione totale e/o parziale su qualsiasi mezzo e/o su qualsiasi supporto, nel caso di divulgazione nonché nel caso di ricavo economico derivante dallo sfruttamento del diritto acquisito.
L'obiettivo di Tesionline è quello di rendere accessibile a una platea il più possibile vasta il patrimonio di cultura e conoscenza contenuto nelle tesi.
Per raggiungerlo, è fondamentale superare la barriera rappresentata dalla lingua. Ecco perché cerchiamo persone disponibili ad effettuare la traduzione delle tesi pubblicate nel nostro sito.
Per tradurre questa tesi clicca qui »
Scopri come funziona »

DUBBI? Contattaci

Contatta la redazione a
[email protected]

Ci trovi su Skype (redazione_tesi)
dalle 9:00 alle 13:00

Oppure vieni a trovarci su

Parole chiave

Tesi correlate


Non hai trovato quello che cercavi?


Abbiamo più di 45.000 Tesi di Laurea: cerca nel nostro database

Oppure consulta la sezione dedicata ad appunti universitari selezionati e pubblicati dalla nostra redazione

Ottimizza la tua ricerca:

  • individua con precisione le parole chiave specifiche della tua ricerca
  • elimina i termini non significativi (aggettivi, articoli, avverbi...)
  • se non hai risultati amplia la ricerca con termini via via più generici (ad esempio da "anziano oncologico" a "paziente oncologico")
  • utilizza la ricerca avanzata
  • utilizza gli operatori booleani (and, or, "")

Idee per la tesi?

Scopri le migliori tesi scelte da noi sugli argomenti recenti


Come si scrive una tesi di laurea?


A quale cattedra chiedere la tesi? Quale sarà il docente più disponibile? Quale l'argomento più interessante per me? ...e quale quello più interessante per il mondo del lavoro?

Scarica gratuitamente la nostra guida "Come si scrive una tesi di laurea" e iscriviti alla newsletter per ricevere consigli e materiale utile.


La tesi l'ho già scritta,
ora cosa ne faccio?


La tua tesi ti ha aiutato ad ottenere quel sudato titolo di studio, ma può darti molto di più: ti differenzia dai tuoi colleghi universitari, mostra i tuoi interessi ed è un lavoro di ricerca unico, che può essere utile anche ad altri.

Il nostro consiglio è di non sprecare tutto questo lavoro:

È ora di pubblicare la tesi