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All'ombra della ka'ba - Il pellegrinaggio alla Mecca

Mina, 'Arafat, Muzdalifa, Mina

Il pellegrinaggio, nel senso etimologico del termine che implica un movimento verso un luogo, si può dire che inizi una volta fuori da Mecca e precisamente l'ottavo giorno del mese dhu l-hijja,a Mina e 'Arafat. Nello specifico, il giorno 8 si parte in direzione di 'Arafat, fermandosi a Mina per la preghiera di mezzodì ed eventualmente per il pernottamento; il giorno 9, di mattina, si raggiunge 'Arafat per dedicarsi, per tutto il pomeriggio, a una intensa meditazione-preghiera, da svolgersi in piedi, al termine della quale, al tramonto, inizia lo "straripamento" verso Muzdalifa; il 10, nuovamente a Mina, è giorno della lapidazione del diavolo, dei sacrifici (nell'haram come in tutto il
mondo musulmano) e della rasatura dei capelli; i giorni 11, 12 e 13 sono preposti al completamento del rito della lapidazione, e a gioia e festeggiamenti.
I fedeli lasciano Mecca per 'Arafat, passando per Mina, l'ottavo giorno del mese del pellegrinaggio, il cosiddetto "giorno dell'Abbeverata (Yom-el-Taruiyya)". Mina, località a pochi chilometri a est di Mecca, si riempie quindi di pellegrini, che non hanno «altro scopo che l'attesa febbrile dell'indomani.»

Arafat è il teatro del momento cruciale del pellegrinaggio, poiché direttamente collegato alla rivelazione degli ultimi versi del Corano da parte di Maometto: proprio sulla "cima della misericordia", nell'anno 632 d.c., durante il pellegrinaggio, il Profeta perfezionò la rivelazione rivolgendosi ai suoi fratelli di culto per l'ultima volta. È la cosiddetta "Predica dell'Addio", Maometto sarebbe morto di lì a pochi mesi.
Lo spettacolo che ci si deve immaginare, ad 'Arafat, comprende fiumi di persone, caldo opprimente, sete e delirio mistico-religioso. Il sovraffollamento è tale da impedire alla grande maggioranza dei pellegrini di issarsi sulla collina "della misericordia" per effettuare il wuquf: da qui l'"innovazione" introdotta dagli ulemi egiziani di al-Azhar, i quali «hanno autorizzato in effetti, dal 1960, i pellegrini a partecipare con il cuore al wuquf, pur restando sotto la tenda. Tuttavia, credenti temerari scalano la collina e restano lì, raccolti e stoici, fino al crepuscolo.
«Un colpo di cannone segna la fine del rituale e gli astanti si incamminano allora a passo veloce (ifada) in direzione di Muzdalifa e Mina.».
Ha luogo il cosiddetto "straripamento" (ifada appunto) «di un torrente violento che scorre, l'ondata di una marea. Potrebbe essere una catastrofe naturale, ma si tratta solo della cerimonia rituale che rompe la "stazione di 'Arafat" per trascinare gli invitati fino alla vallata di Muzdalifa, situata a una diecina di chilometri verso Ovest.»

L'ifada è, ancora una volta, una cerimonia preislamica, recuperata e riadattata da Maometto: pare che originariamente si trattasse di un rito di inseguimento del sole al tramonto, che aveva inizio prima del crepuscolo. Il termine ifada, che allude a una fuoriuscita turbinosa di acqua, ben esprime l'effetto provocato da una massa di persone che all'unisono si slancia all'inseguimento del disco solare che sfugge ad occidente, e può essere ricollegato, per quanto riguarda la sua genesi, alla divinità pagana di Muzdalifa, Quzah, dio dei fulmini e degli acquazzoni (quindi legato all'acqua), e al fatto che il pellegrinaggio preislamico coincidesse con l'equinozio d'autunno, fase dell'anno che solitamente coincide con l'inizio della stagione piovosa.
Nonostante le pie raccomandazioni, lo "straripamento" si risolve immancabilmente in un «[…] fracasso di clacson, di sirene di ambulanze, di grida e di pianti»: difficile, se non impossibile, arginare il fervore religioso.
La ricca prosa di Zeghidour ci restituisce l'immagine di quei momenti: «Un fascio di autostrade drena fiumi di pellegrini motorizzati e di pedoni confusi. È una via lattea di fari che serpeggia nel deserto, muggente come una drago scintillante.»
Storicamente, l'ifada coincideva, per molti pellegrini, con la fine dello hajj così come della loro vita terrena, a causa del terreno accidentato e a tratti ripido, dell'incipiente oscurità, delle cadute accidentali e dell'inarrestabile torrente umano.
Muzdalifa è la tappa seguente, distante otto chilometri da 'Arafat, anche'essa luogo di riti pagani preesistenti all'Islam, poi sostituiti da Maometto con una veglia notturna (mabit) durante la quale i fedeli raccolgono «almeno 49 piccole pietre, non più grosse di una fava, per lapidare le stele di Satana a Mina.»

«Il soggiorno a Mina dev'essere di almeno tre giorni e tre notti: il decimo giorno del pellegrinaggio, chiamato yawm an-nahr (giorno del sacrificio), e i due o tre successivi, detti ayam at-tashriq (giorni dell'essiccazione della carne). Il primo giorno di permanenza a Mina è dedicato a colpire […] la stele più grande (jamrat al-'aqaba)», con sette pietre delle quarantanove totali. «Il giorno successivo è il primo giorno di tashriq e vengono lapidate in successione, la prima, la seconda e la terza stele e lo stesso avviene il terzo giorno», usando le restanti quarantadue pietre.
La lapidazione delle tre stele prenderebbe le mosse da un episodio accaduto ad Abramo, il famoso episodio del sacrificio del figlio, che, secondo i musulmani, non sarebbe Isacco (progenitore della stirpe ebraica), bensì Ismaele ("padre" degli arabi). Dio sarebbe apparso in sogno ad Abramo ingiungendogli di sacrificargli il figlio, come prova suprema della sua fede incondizionata; Ismaele, venuto a conoscenza dell'ordine divino, avrebbe accettato di subire quella sorte, seguendo con obbedienza il padre fino a una sterile landa sovrastante l'attuale posizione delle tre stele. Durante la salita, Satana, o Iblis, sarebbe apparso per ben tre volte ad Ismaele (o ad Abramo, a seconda delle versioni), in tre luoghi distinti, corrispondenti alle attuali tre stele, tentando di distoglierlo dallo straziante dovere: ogni volta Ismaele (o, come si diceva, Abramo) avrebbe scacciato il diavolo tentatore lanciandogli delle pietre. Giunti sul posto del sacrificio, il padre avrebbe tentato invano di sgozzare il figlio, essendogli impedito da Dio in persona, "soddisfatto" per la prova di fedeltà di entrambi: l'arcangelo Gabriele sarebbe disceso in terra portando un ariete da sacrificare al posto di Ismaele.
Ogni convenuto, come Abramo e Ismaele, vede in ogni stele il Diavolo, e sfoga tutta la sua rabbia scagliando pietre su pietre contro l'angelo ribelle.
Una volta lapidata la prima e più grande stele, si può procedere al sacrificio animale. In realtà, nonostante la comune e diffusa credenza, niente obbliga ad effettuare lo sgozzamento di un capo di bestiame, a meno che il fedele non debba riparare qualche sua precedente manchevolezza nel compiere i vari riti dell'hajj, oppure vi sia vincolato da un voto.
Gli animali "sacrificabili" sono: cammello, bue, capra, agnello, montone, dromedario; esso deve essere in buona salute, senza malattie e/o difetti fisici. Il Corano prescrive che le carni spettino in parte al fedele, in parte debbano essere lasciate ai bisognosi.

Milioni e milioni di capi di bestiame, insomma, vengono sgozzati in un solo giorno, non solo a Mina, ma in tutto il mondo musulmano: infatti «il 10 dhu l-hijja è la festa del sacrificio ('id al-adhà o 'id al-kabir, bayram) che commemora il sacrificio di Abramo. La mattina, dopo la celebrazione della preghiera del 'id, ogni famiglia sacrifica uno o più capi di bestiame. I pellegrini che hanno lapidato una prima volta il demonio e che hanno eventualmente sacrificato un animale, possono scorciarsi i capelli (per gli uomini, mentre per le donne basta il taglio di una ciocca)27 . Con questa cosiddetta "piccola sconsacrazione", per il pellegrino «la condizione di consacrazione (ihram) è in parte venuta meno.»28 . Il bianco ihram può essere tolto a piacimento per tornare agli abiti consueti, ma non si deve pensare che le proibizioni dello stato di sacralità (divieto di avere rapporti sessuali, di adornarsi, di profumarsi etc.) siano terminate: bisogna infatti attendere di essere tornati alla Mecca, «dove come atto di congedo si compie l'ultimo giro obbligatorio attorno alla ka'ba, la "circumambulazione a passo spedito" (tawaf al-ifàda).»29 . Il tawaf al-ifàda, una volta completato, scioglie il pellegrino da tutte le proibizioni e segna, in una certa misura, il completamento dell'hajj: esso può essere posticipato fino al compimento dei riti da svolgere a Mina (le lapidazioni), seguendo quindi il costume di Maometto, oppure anticipato al decimo giorno di dhu l-hijja, subito dopo la prima lapidazione, il sacrificio di un animale e il taglio dei capelli.
Durante questi giorni di "chiusura" del pellegrinaggio è quindi possibile passare la maggior parte del tempo alla Mecca, ma è necessario fare ritorno a Mina per adempiere ai rituali della lapidazione, e passarvi almeno due notti.

Questo brano è tratto dalla tesi:

All'ombra della ka'ba - Il pellegrinaggio alla Mecca

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Informazioni tesi

  Autore: Leonardo Giovannelli
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Pisa
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Maurizio Vernassa
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 50

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