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Relazioni vissute in solitudine: attaccamento, minority stress e comportamenti di isolamento nelle coppie tra persone dello stesso sesso

Minority status e minority stress

Lo stress è in genere considerato come un costrutto che riguarda il singolo e la sua vita personale, ma in realtà è una condizione che può derivare anche dalle caratteristiche dell’ambiente in cui il soggetto è inserito (Meyer, 2003) e quindi collocarsi a livello sociale.
Secondo Lazarus e Folkman (1984), la fonte principale di stress sociale è la presenza di un conflitto tra l’individuo e la sua esperienza del proprio mondo sociale. Selye (1982, citato in Meyer, 2003), invece, parla più in generale di un senso di disarmonia con il proprio ambiente di vita, che tende ad essere percepito maggiormente dai gruppi minoritari e stigmatizzati, e dunque ad essere una significativa fonte di stress per gli individui appartenenti a tali gruppi. In particolare, “[…] il pregiudizio e la discriminazione [...] – proprio come i cambiamenti causati da eventi di vita personali che sono comuni a tutte le persone – possono indurre dei cambiamenti che richiedono un adattamento e possono quindi essere concettualizzati come stressanti” (Meyer, 2003, p. 675).
Di conseguenza, le persone appartenenti a gruppi minoritari, oltre a subire le ripercussioni di vari fattori di stress che sono comuni anche alle altre persone, si trovano in aggiunta a fronteggiare fattori di stress molteplici derivanti dal proprio status sociale. È su questo assunto che si basa il modello del minority stress, il quale può essere descritto “[…] come lo stress psicosociale derivante dal proprio minority status” (Meyer, 1995, p. 38), cioè dal fatto di occupare una posizione sociale minoritaria. Questa tipologia di stress sociale “[…] può comportare l’emarginazione e l’autoisolamento […]” (Lingiardi & Nardelli, 2014, p. 19), aumentare il rischio di sviluppare disturbi psicopatologici e avere molte altre conseguenze significative sulla qualità di vita degli individui che appartengono a gruppi minoritari.
La teoria del minority stress può essere applicata a diversi gruppi minoritari (Meyer, 1993). Meyer (1993, 1995) la concettualizza però facendo specifico riferimento alle minoranze sessuali che, “[…] in una società eterosessista sono sottoposti ad uno stress cronico relativo alla loro stigmatizzazione” (Meyer, 1995, p. 38), definito per l’appunto minority stress.

Tuttavia, “[…] gli stessi fattori di stress non necessariamente portano agli stessi esiti stressanti […]” (Pearlin, 1989, p. 249) poiché, pur partendo da una situazione analoga, ogni individuo la affronta in maniera differente, in base al proprio livello di resilienza, intesa come […] capacità di fronteggiare con successo e superare in modo adattivo esperienze che mettono a dura prova l’individuo” (Lingiardi & Nardelli, 2014, p. 70), alle risorse personali e sociali di cui dispone e ai meccanismi di coping che utilizza. Il termine coping si riferisce all’insieme delle strategie che una persona impiega nel far fronte a situazioni problematiche che gravano eccessivamente sulle risorse di cui dispone (Kessler, Price & Wortman, 1985), al fine di proteggersi dai possibili esiti negativi di tali esperienze (Pearlin & Scholler, 1978). Il concetto di minority coping si riferisce invece nello specifico ai meccanismi di coping utilizzati per fronteggiare esperienze problematiche e stressanti derivanti dal proprio minority status.
Come tutte le persone, anche gli individui appartenenti a minoranze sessuali utilizzano vari meccanismi di coping personali e individuali, sulla base delle risorse a loro disposizione, ma oltre a questi meccanismi di coping soggettivi, anche fattori che si pongono a livello di gruppo, come ad esempio la solidarietà all’interno del gruppo minoritario, possono contrastare gli effetti negativi del minority stress. Il minority coping, infatti, “[…] deve essere considerato a livello di gruppo, piuttosto che individuale” (Meyer, 1993, p. 229), poiché è principalmente il supporto sociale che protegge dagli effetti sfavorevoli legati allo stress (Kessler et al., 1985) e che può fungere da mediatore in un processo stressogeno (Pearlin, 1989).
La disponibilità di supporto sociale costituisce infatti un fondamentale fattore protettivo rispetto agli esiti negativi del minority stress, incrementando la possibilità che il soggetto utilizzi delle strategie di coping efficaci ma, ovviamente, è pur sempre l’individuo che deve trovare la motivazione di accedere alle risorse presenti a livello sociale, dunque è la variabile psicologica della resilienza dell’individuo che si associa ad un maggiore accesso alle risorse sociali, fungendo a sua volta da fattore protettivo (Jaspal, Lopes & Breakwell, 2022). Se però queste risorse mancano del tutto, anche i meccanismi di coping individuali tendono a rivelarsi fallimentari (Meyer, 2003).

“[…] le modalità attive di coping sono le più efficaci nel far fronte agli agenti stressanti, inclusi quelli legati al minority stress” (Lingiardi & Nardelli, 2014, p. 19), ma non tutte le strategie di coping che vengono utilizzate dagli individui sono necessariamente adattive. Ad esempio, una delle strategie di coping spesso utilizzata dagli individui appartenenti a minoranze sessuali è quella di celare agli/lle altri/e il proprio orientamento sessuale, per proteggersi dal rifiuto e da eventuali forme di discriminazione, ma è una strategia che si rivela a sua volta stressante per l’individuo che la mette in atto (Meyer, 2003) poiché sopprimere e nascondere delle parti di sé, a lungo andare, tende ad avere degli effetti negativi sulla propria salute mentale. Inoltre, nascondere il proprio orientamento sessuale rende complesso riuscire ad integrarsi all’interno del proprio gruppo minoritario, limitandosi così la possibilità di accedere a risorse sociali che potrebbero essere protettive (Meyer, 2003).
Di conseguenza, la capacità del soggetto di rivelare ad altri/e il proprio orientamento sessuale, quindi il suo grado di outness, costituisce un ulteriore fattore protettivo nel fronteggiare il minority stress, poiché incrementa l’accettazione di sé e della propria identità e dunque anche la possibilità di accedere a varie forme di supporto sociale (Jaspal et al., 2022). D’altra parte, l’outness potrebbe anche incrementare il rischio di vivere esperienze di discriminazione e violenza; tuttavia, questo rischio è bilanciato dagli esiti positivi dell’outness sulla salute mentale dell’individuo (Jaspal et al., 2022).
Nel suo modello del minority stress, Meyer (2003) fa una distinzione tra fattori stressogeni distali e fattori stressogeni prossimali, i quali possono essere collocati lungo un continuum. I fattori stressogeni distali sono considerati oggettivi poiché non dipendono dalle percezioni e valutazioni dell’individuo, benché sia sempre l’individuo ad attribuire loro un significato soggettivo. I fattori stressogeni prossimali sono invece considerati soggettivi, in quanto correlati in maniera significativa alla propria identità minoritaria. Secondo Meyer, i tre processi maggiormente rilevanti nello sviluppo di minority stress nelle minoranze sessuali, partendo dai fattori distali e arrivando a quelli prossimali, sono:
- Esperienze stressanti oggettive e realmente vissute;
- Le aspettative che questi eventi stressanti si verifichino;
- L’interiorizzazione di atteggiamenti sociali negativi.
Si può dunque osservare che il minority stress non deriva soltanto da eventi negativi vissuti direttamente da uno specifico individuo, bensì “[…] dalla totalità dell’esperienza delle persone appartenenti ad una minoranza nella società dominante” (Meyer, 1995, p. 39). Di conseguenza, “le fonti più esplicite di minority stress sono il rifiuto, la discriminazione e la violenza che le minoranze subiscono a causa della condizione di stigmatizzazione” (Meyer, 1993, p. 93), ma vi sono anche delle cause meno evidenti.
Difatti, il minority stress scaturisce non solo da “[…] eventi di vita legati alla condizione di stigmatizzazione” (Meyer, 1993, p. 81), quindi esperienze realmente vissute di discriminazione e violenza, ma anche dall’omofobia o omonegatività interiorizzata, che “[…] si riferisce alla direzione degli atteggiamenti negativi della società verso il sé” (Meyer, 1995, p. 40) e dallo stigma percepito, che “[…] si riferisce alle aspettative di discriminazione e rifiuto nell’interazione con il mondo” (Meyer, 1993, p. 81) e che dunque porta ad un costante livello di ipervigilanza sulle aspettative di rifiuto, discriminazione e violenza (Meyer, 1995; Lingiardi & Nardelli, 2014).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Relazioni vissute in solitudine: attaccamento, minority stress e comportamenti di isolamento nelle coppie tra persone dello stesso sesso

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Informazioni tesi

  Autore: Caterina Valentina Romaniello
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2021-22
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia
  Relatore: Luca Rolle
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 106

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Parole chiave

attaccamento
isolamento
minority stress
ipv
intimate partner violence
violenza nella coppia

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