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Zucchero del web: può l'autoefficacia essere un fattore di protezione rispetto alla credulità online degli adolescenti?

Misinformation sharing: cosa ci spinge a condividere

Qual è la differenza tra i post che scorriamo quotidianamente sui social network e quelli che scegliamo anche di condividere? Un contenuto che susciti emozioni morali abbia più probabilità di essere re-postato perché riesce a catturare l’attenzione dell’utente. Parole come ‘scontro’, ‘cattivo’ e ‘punizione’ fungono da esca per attirare il lettore e spingerlo a condividere la notizia (Ecker et al., 2022); elementi che possono screditare l’outgroup, infatti, vengono notati in fretta per essere utilizzati contro il gruppo opposto. Viceversa, notizie che accrescono l’immagine positiva del proprio gruppo d’appartenenza (e quindi anche l’immagine di sé) vengono maggiormente condivise per mettere sotto una luce positiva se stessi e l’ingroup (Ecker et al., 2022). Inoltre, più a lungo una persona fa parte di un gruppo, più sarà spinta a condividere informazioni con gli altri membri, per rafforzare l’unione tra loro e la conoscenza condivisa (Alajmi, 2012).
Il modello MAD di Brady (et al., 2020) spiega il modo in cui i contenuti morali diventano virali.
Il primo fattore da prendere in considerazione è la motivazione. Immaginiamo di trovarci difronte ad un post che segnala azioni riprovevoli di un membro del partito politico opposto al nostro; come prima cosa saremmo spinti a condividere questo post con i membri del nostro gruppo politico di appartenenza. In questo senso, l’accezione morale di un contenuto fa leva sull’identità di gruppo saliente in quel momento per l’individuo, spingendolo a condividere quelle notizie che elicitano emozioni di disprezzo e di disapprovazione nei confronti dell’outgroup e notizie che elicitano invece gratitudine e ammirazione nei confronti del proprio ingroup (Pacilli, 2021). Il secondo fattore è l’attenzione che un contenuto morale attira su di sé, quindi il coinvolgimento e l’importanza che l’individuo dà a quel determinato tema (Brady et al., 2020).
Il terzo ed ultimo fattore fa riferimento al design dei social network, ovvero il modo in cui sono progettati, che non fa altro che facilitare la condivisione (Brady et al., 2020). Tra le caratteristiche di un social network che spingono gli individui a pensarsi in termini di identità di gruppo vi sono: l’ampiezza dei gruppi sui social, formati da persone che, solitamente, si conoscono anche nella realtà; la natura meno personale della comunicazione, che è invece mediata dalla tecnologia e che favorisce la deindividuazione; il sistema dei feedback, sottoforma di like o di condivisioni, che funge da rinforzo positivo (Brady et al., 2020).
Tra le caratteristiche, invece, che amplificano la capacità dei contenuti morali di attirare l’attenzione vi sono gli algoritmi, che svolgono una prima selezione per presentare all’utente i post in linea con le proprie preferenze, e le notifiche, che hanno il potere di farci smettere di fare qualsiasi cosa stavamo facendo, pur di vedere chi ci cerca o di rimanere aggiornati su quello che succede nel mondo (Brady et al., 2020).
Le persone, quindi, tendono a condividere notizie false per una questione sociale, che va ricondotta ancora una volta agli algoritmi, alle filter bubbles e alle echo chambers. Se nella mia home noto che molti dei miei amici hanno messo like o hanno condiviso una determinata notizia, sarò maggiormente disposto a re-postarla per vari motivi: se i miei conoscenti l’hanno condivisa è perché sicuramente sarà vera; ho bisogno di mostrarmi informato e interessato a ciò che succede nel mondo; devo condividere informazioni coerenti al pensiero del mio gruppo di appartenenza per sentirmi parte di esso e per ricevere consenso.
‘Scrollare’ velocemente nella home e in momenti di pausa tra uno spostamento e l’altro sono fattori determinanti per l’abbassamento della soglia dell’attenzione dell’individuo, che magari condivide qualcosa che riconoscerebbe come falso in altre occasioni, se solo ci pensasse su un po’ di più. L’utilizzo della via periferica (Petty e Cacioppo, 1986) e del sistema 1 (Kahneman et al., 1982) contribuiscono alla tendenza delle persone di non verificare la veridicità di una notizia per la mancanza di attenzione, impegno e coinvolgimento, per pigrizia o mancanza di tempo. Caratteristiche del contenuto come i cosiddetti ‘titoli urlati’, le esagerazioni, gli errori grammaticali, la mancanza di fonti o date, che solitamente sono campanelli d’allarme, perdono la loro potenzialità di avvisare il lettore e sviarlo dallo sharing.
In altri casi, invece, le persone condividono fake news non perché non sono a conoscenza della loro falsità, ma, anzi, ne sono consapevoli e vogliono diffonderle per mettere sotto una luce negativa una persona o un gruppo, per generare consenso politico o sociale verso un tema che per loro è importante o semplicemente per divertimento (Baptista & Gradim, 2020).
Una tecnica utilizzata da molti politici per spingere le persone a condividere le loro idee è la cosiddetta newsjacking (Petrini, 2020). Il suo scopo è elaborare un profiling dell’utente, definendo i suoi interessi e preferenze, e proporre soltanto i contenuti che potrebbero motivarlo a condividerli nel proprio profilo.
Purtroppo, il potere delle fake news si basa sull’ondata di sharing che spinge le persone poi a credere a quelle notizie. Per esempio, in Italia, i negazionisti del Covid-19 hanno creato una vera e propria fazione, tanto da riuscire ad arrivare in Senato con un convegno contro la ‘falsa’ pandemia, accompagnati da dirette televisive (Petrini, 2020). In realtà, bisognerebbe combattere la cattiva informazione non pubblicizzandola, ma oscurandola, levandole la luce della ribalta che le serve per alimentarsi. Questo è molto difficile se si pensa al fatto che la maggior parte delle fake news circola sul web, luogo incontrollato e dispersivo, caratteristiche spesso sfruttate dai creatori di racial hoaxes proprio per diffondere le loro falsità.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Zucchero del web: può l'autoefficacia essere un fattore di protezione rispetto alla credulità online degli adolescenti?

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Informazioni tesi

  Autore: Martina Daddato
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2021-22
  Università: Università degli Studi di Bari
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia
  Relatore: Francesca D'Errico
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 81

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Parole chiave

online
adolescenti
self-efficacy
autoefficacia
social media
credulità
fake news
domini morali
racial hoaxes

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