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Ernesto de Martino: dagli scritti giovanili al ''Mondo magico''

Naturalismo e Storicismo nell’etnologia

Stampato nel ’40, ma messo in circolazione solo l’anno dopo, “Naturalismo e storicismo nell’etnologia” rappresenta il primo libro impegnativo di de Martino. Con tutti i suoi limiti, di cui si discuterà, u tuttavia un’opera, per certi versi, di rottura. Suscitò, infatti, reazioni e polemiche.
Tuttavia, oggi, alla luce delle sue opere successive, appare per quello che realmente è: un’opera giovanile, processo obbligatorio nel processo di maturazione dell’autore, ma largamente superata in seguito. Questo spiega anche perché il libro non sia stato mai più ristampato. In un tentavo di ricostruzione della formazione di de Martino, tuttavia, “NS” rappresenta una tappa imprescindibile.
Il libro, un excursus sui principali indirizzi etnologici del XIX e dei primi quarant’anni del ventesimo secolo intende “rivendicare il carattere storico dell’etnologia […] (impedendo) al procedimento naturalistico illegittime esorbitanze”.
Se l’etnologia viene “dignificata” mediante l’applicazione del metodo storicistico, lo stesso storicismo verrà incrementato dalle conoscenze etnologiche “[…] qui si intende promuovere, mercè l’etnologia, un allargamento della nostra autocoscienza storica, una migliore determinazione dell’essere e del dover essere nella nostra civiltà […] Si tratta di un punto molto importante. La nostra civiltà è in crisi: un mondo accenna ad andare in pezzi, un altro si annunzia […] (il compito dello storico) è sempre stato, ed ora più che mai deve essere, l’allargamento dell’autocoscienza per rischiarare l’azione. E l’autocoscienza storiografica si allarga non solo dichiarando gli istituti della nostra civiltà […] ma altresì imparando a distinguere la nostra civiltà dalle altre, anche da quelle più lontane”.
La raccolta, che si propone di essere uno strumento “per ripensare criticamente i metodi con cui si scrivono le storie etnologiche “si compone di quattro saggi, il primo dei quali il “Saggio critico sul prelogismo di Levj-Bruhl” è il più interessante ai fini delle anticipazioni dei temi contenuti nel “Mondo Magico”.
Invece di un’esposizione estensiva, in questo come in altri saggi, l’autore ne preferisce una per punti prospettici, in questo caso l’opera di un singolo autore, Levj Bruhl, serve per valutare non solo l’intero indirizzo a cui appartiene ma “in uno, l’evoluzionismo, il sociologismo, il filologismo mistico romantico e, infine, il problema della mentalità primitiva”.
de Martino prosegue qui il confronto, iniziato nel’38 con “Mentalità primitiva e Cristianesimo”, con le teorie elaborate da Levj- Bruhl, lo studioso amico di Durkeim approdato agli studi etnologici dopo una lunga parentesi filosofica.
Le critiche da questi mosse all’intellettualismo della scuola antropologica inglese, indirizzo che non riscontrerà mai le simpatie del nostro autore sono “ragionevoli ed accettabili” non così le soluzioni proposte che difettano, come tutta la scuola sociologica rancese, di “solidità speculativa”.
La prima parte del saggio è dedicata, vista la scarsa conoscenza in Italia del pensiero del sociologo rancese, all’esposizione delle sue teorie, la seconda a una puntuale e agguerrita critica.
L’ipotesi prelogica, che pone una netta linea di demarcazione tra mentalità logica, propria dell’uomo civilizzato, e prelogica, dell’uomo primitivo, portando a “immaginare un’umanità senza comune misura con la nostra […] che, come tale, non può in alcun modo diventare, per noi, oggetto di storia” viene respinta “impartendo ai francesi una lezione di hegelismo”. De Martino, infatti, vede nella mentalità prelogica e, rispettivamente nella logica di Levj-Bruhl il comportamento dell’intelletto astratto, oppure, secondo la definizione crociana della “funzione identificante nel suo uso pratico” nell’ambito delle culture magiche e, rispettivamente, di quelle civilizzate.
Anche la tesi della rappresentazione dello spazio presso i primitivi come rappresentazione semi-concreta e numinosa di questo viene, conseguentemente, rifiutata, accettando, invece, come storicamente corretta l’analisi cassireriana del problema dello spazio e del tempo mitico, per cui “lo spazio mitico è sì qualitativamente differenziato […] ma compie tuttavia una funzione ordinatrice e semplificatrice della molteplicità empirica”
Secondo de Martino alcuni degli errori speculativi presenti nell’opera di Levj-Bruhl, in particolare la distinzione tra mentalità collettiva e pensiero individuale su cui si onda il suo prelogismo, provengono dal fondatore della scuola, Durkeim, nella cui idea di società intesa in senso reazionario, cioè come ente che esercita una “costrizione esteriore” sull’individuo “rifluisce un filone culturale francese (il pensiero della restaurazione N.d.A.) filtrato attraverso una nebulosa esperienza d’oltre Reno (la Volker psycologie germanica N.d.A.)”
Spezzando il nesso dialettico società – individuo, il sociologismo francese dimostra la logica naturalistico su cui è basato, infatti “la società rappresenta l’essere e la volontà individuale il dover essere in cui quell’essere continuamente si risolve e si accresce; è non è lecito, neppure per un attimo, spezzare questo nesso dialettico nella duplice ipostasi di un individuo fuori della storia e di una società che preme sull’individuo dall’esterno […] sfugge così l’incremento che la tradizione riceve dalla coscienza individuale e si determina un orientamento essenzialmente antistorico.”

Si tratta di una requisitoria contro l’antistoricismo dei francesi e la loro scarsa considerazione dell’individuo e dell’iniziativa individuale “in realtà non si dà mai, nella vita dello spirito, un’azione costretta, ma solo talora deficienza di volontà e di azione […] Inoltre l’adesione dell’individuo alle condizioni storiche del suo agire non è mai passiva e meccanica […] è sempre, in misura anche minima, una ribellione, una modificazione attiva della tradizione […] l’illusione sociologica di una collettività “subita” dall’individuo si svela chiaramente quando dal mondo sub-umano o umano primitivo ci trasportiamo nell’ambito delle civiltà progredite […] del resto, anche nell’ambito delle società inferiori o primitive […] modificazioni politiche, sociali, tecniche, religiose, linguistiche, ecc., sono introdotte da individui che esercitano una funzione dirigente rispetto al gruppo.”
Una delle conseguenze della distinzione tra collettivo ed individuale è il considerare la società la causa della vita religiosa “al problema della genesi ideale della religione si sostituisce così quello della sua origine nel temo; si cerca di arci assistere all’erompere della religione, in un momento dato della storia, dal seno della società […] la verità è che società e religione i condizionano idealmente a vicenda […] L’illusione sociologica del Durkeim si intreccia quindi con quel molto grave errore speculativo che è lo storicizzare le categorie ideali, il cercare una genesi nel di ciò che non ha nascimento né morte per la semplice ragione che è la regola interna dei nascimenti e delle morti. E si intreccia anche con un altro errore, non meno grave: il cercare naturalisticamente 'definizioni minime'”.
Nel secondo saggio “la prima forma di religione”, de martino, denunciando ancora una volta la minorità speculativa da cui è afflitta l’etnologia, si pronuncia a favore di una ricerca storiografica fondata filosoficamente, nella quale cioè, gli autori dichiarino e sottopongano a verifica le proprie premesse metodologiche.
In questo modo egli opera un ribaltamento della ben nota tesi crociana della necessità di dissolvere la storia nella filosofia.
La sua polemica con l’etnologia religiosa è, comunque, nella miglior tradizione idealistica. Ne “la prima forma di religione” è l’assunto stesso, la ricerca, a ritroso nel tempo, della prima forma di religione e della sua definizione minima ad essere dichiarata inaccettabile. A causa delle sue basi naturalistiche l’etnologia religiosa ha finora ignorato i progressi registrati dal più “maturo” pensiero europeo “ è quindi infatti del tutto ignorata la distinzione tra categorico e temporale, fra cominciamento ideale e cominciamento nel tempo […](e) nello sforzo di mantenersi afilosofica l’etnologia religiosa riesce solo ad essere trivialmente filosofica, accettando acriticamente come ben fondato il problema delle origini, che è legato, come si è dimostrato, a una filosofia intellettualistica: tanto poco lo storico può sottrarsi alla filosofia, e più precisamente alle severe indagini di logica”.
Per illustrare “cotanto errore” vengono scelte l’ipotesi preanimistica di Marett e della rivelazione primitiva di Schmidt.
L’ipotesi dell’antropologo sociale (il preanimismo come forma psicologicamente anteriore all’animismo) risente, dal punto di vista metodologico, della doppia aberrazione del Marett, il quale oscilla tra l’abbassamento delle categorie a fatti e la distorsione dei fatti a categorie, con la conseguente perdita […] dell’idealità delle categorie e dell’individualità dei fatti storici”.
[...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Ernesto de Martino: dagli scritti giovanili al ''Mondo magico''

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Informazioni tesi

  Autore: Immacolata Di Nardo
  Tipo: Laurea vecchio ordinamento (pre riforma del 1999)
  Anno: 1978-79
  Università: Università degli Studi di Napoli
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Sociologia
  Relatore: Amalia Signorelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 74

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Parole chiave

meridionalismo
antropologia culturale
etnologia
tradizioni popolari
etnografia
ricerca sul campo
storia delle religioni
magismo
ernesto de martino
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