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Percorsi di New Media Art in Sardegna. Il caso studio della scuola scientifica del CRS4: ''EIA-Exploring Artificial Intelligence in Art''

New Media artists, creative coders, hackers: are they artists?

Ci si chiede, quindi, che figura d’artista delinea la New Media Art? Appare chiaro che il mito del genio solitario che crea in preda a ispirazione subitanea, non è più convincente.

Le pratiche artistiche di cui parliamo attingono ad ambiti disciplinari scientifici e tecnologici e presuppongono competenze che attengono agli ambiti tecnici più diversi. Un New Media Artist può creare opere d'arte con Internet, hardware e software, router, personal computer, applicazioni per database, script e file di computer. Questi artisti utilizzano le tecnologie citate insieme a videogiochi e giochi per computer, telecamere di sorveglianza, server Web Apache, linguaggio HTML e dispositivi GPS. Spesso il risultato artistico è conseguenza di un lavoro d’equipe, che si organizza in collettivo di competenze specifiche. Il connubio si regge sul rapporto tra arte, tecnologia e scienza, dando luogo a nuove forme di produzione artistiche e a nuove forme di artista, che, diventa artista collettivo o “plurale” e capace di relazionarsi creativamente con altri collaboratori.

Sin dalla prima metà degli anni Novanta, alcuni artisti hanno iniziato a utilizzare Internet per creare i propri lavori, dissacrando completamente il concetto di autorialità. I cosiddetti Net Artist creano reti collettive di lavoro in anonimato, dove “l’anti copyright e il plagio creativo diventano strumenti per disorientare il mondo dell’arte”. Per alcuni di questi artisti Internet diventa da subito territorio di attivismo, azione politica e indagine sulla tecnologia, analizzandone la natura pervasiva e invasiva e la tendenza al controllo e alla invasione della privacy, e per la dirompente capacità di disseminare informazione su scala globale.

In generale, il lavoro di questi artisti si basa sull’immaterialità del dato digitale, sulla creazione di eventi, situazioni, suggestioni, progetti in rete e sulla creazione di contesti che usano a piene mani la tecnologia, senza la quale non potrebbero esprimere la propria creatività. Alcuni si definiscono “creative coders”, usano infatti il codice in maniera creativa, come Casey Reas che considera il software il mezzo più naturale con cui lavorare: usa il codice per esprimere i suoi pensieri, iniziando con uno schizzo, componendolo in codice e osservando le immagini che emergono. Si è costruito da solo i suoi strumenti d’artista, i suoi pennelli e tavolozza con un linguaggio di programmazione, Processing, che sta colmando il divario tra software e oggetto.

Reas ha creato un ambiente di sviluppo integrato scaricabile gratuitamente, mettendo a disposizione funzioni ad alto livello per gestire in modo facile aspetti grafici e multimediali. Il software Processing eredita tutta la sintassi, i comandi e il paradigma di programmazione orientata agli oggetti dal linguaggio Java. Chi scrive ha a frequentato un breve corso di avviamento a Processing e ha provato a cimentarsi da sola con qualche creazione, che in linguaggio tecnico si chiama sketch, con risultati desolanti, ma il tutto è bastato per prendere coscienza del fatto che questi programmi richiedano una discreta competenza informatica e molta applicazione per poter essere utilizzati in modo davvero creativo.

Dando per certa la perizia tecnica, molti critici si sono interrogati sui risultati artistici e sulla valenza estetica delle creazioni new media artistiche perché, come sostiene Andrea Balzola “La qualità dell’artista è quella di saper trasformare la tecnica in linguaggio, ma per far questo deve avere memoria e consapevolezza di quanto è accaduto prima di lui, è bello farsi affascinare dalla novità tecnologica, ma senza un’idea forte e una consapevolezza culturale all’interno dell’opera prevale la novità tecnica sulla novità espressiva. Spesso accade di vedere opere d’arte o presunte tali che usano tecnologie d’avanguardia ma che sono superficiali o arretrate sul piano dell’idea, della capacità di creare con un nuovo medium un nuovo linguaggio.”

Balzola osserva quindi che spesso la tendenza di alcuni artisti tecnologi è quella di attingere a piene mani alle nuove tecnologie, smanettare, in sostanza, in una cyber-ubriacatura poco sorretta da conoscenze storico artistiche e da riflessione ideologica. Anche Mark Tribe e Rena Jana, sottolineano come: “I primi artisti New Media sono stati a volte criticati per la mancanza di conoscenze storico-artistiche e per il mancato riconoscimento di precedenti come il dadaismo, la Pop Art e l’arte mediatica. In realtà, molti artisti New Media riflettono consciamente la storia dell’arte nei loro lavori, reinterpretando o aggiornando progetti degli anni ’60 e ’70 nel contesto di un nuovo ambiente tecnologico”.

E così continuano: “L’archeologia mediatica, applicata all’arte, insieme all’inclinazione per la collaborazione e alla marcata tendenza all’appropriazione, piuttosto che alla creazione dal nulla, esemplifica l’attenuazione dell’originalità della produzione negli autori di New Media Art”.

Appare interessante rilevare, di contro, come alcuni artisti tecnologi abbiano elaborato sin dai primi lavori sperimentali le loro proposte tecno-artistiche in ambienti liberi, dove il rilascio di codice e l’assenza di licenze diventano quasi un manifesto di libertà espressiva e di attivismo contro ogni forma di controllo da parte delle grandi aziende informatiche. Molti artisti New Media si considerano hacktivisti (hacker+ attivisti) e usano la “cultura hacker” come concetto o contenuto del loro lavoro.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Percorsi di New Media Art in Sardegna. Il caso studio della scuola scientifica del CRS4: ''EIA-Exploring Artificial Intelligence in Art''

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Informazioni tesi

  Autore: Nicoletta Zonchello
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi di Cagliari
  Facoltà: Scienze Umanistiche
  Corso: Scienze della Produzione Multimediale
  Relatore: Pamela Ladogana
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 68

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Parole chiave

intelligenza artificiale
arte digitale
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