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La separazione - individuazione nel rapporto madre-bambino e la funzione della pelle come contenitore delle emozioni del bambino: il ruolo dell'osservazione

Osservare il gruppo

Un setting osservativo che si costruisce intorno ad un gruppo richiede lo studio della relazione intercorsa tra una mente ed altre menti, e quindi di aspetti storici e dinamici delle relazioni intra ed interpersonali.
Ogni gruppo ha il proprio “Mito di fondazione”, che assume le forme più diverse e rappresenta l’idea di un passato da cui si origina. Per Kaës, il Mito introduce la dimensione storica e diacronica e conduce verso il divenire del gruppo e, attraverso l'elaborazione delle partenze o delle adesioni, delle delusioni, dei lutti e delle rinunce, ne consente lo sviluppo.
Bion, nel suo lavoro “Esperienze nei gruppi” ci indica come la rete di relazioni, emozioni e affetti che si traccia nella stanza di terapia e quindi nel campo gruppale, consente la formazione del contenitore quale realtà psichica senza la quale non potrà poi prendere corpo il contenuto.
La capacità del gruppo di sviluppare le funzioni terapeutiche, ed in particolare la sua capacità di essere fonte di sostegno per le persone che ne fanno parte, dipende in larga misura dall’integrità di tutti quegli elementi che sono stati investiti di affetti da parte dei partecipanti e che costituiscono una sorta di patrimonio affettivo del gruppo.
Potersi rispecchiare nelle difficoltà e nel dolore di un compagno di gruppo aiuta ad entrare maggiormente in contatto con i propri nuclei di sofferenza e curarli attraverso la funzione terapeutica del gruppo.
Il gruppo pian piano riesce ad affrontare e riconoscere le emozioni difficili, come la rabbia per quello che è accaduto e il senso di colpa che deriva da essa.
Coloro che partecipano richiedono al terapeuta da un lato la ricerca di fusionalità verso il gruppo, dall’altro la necessità di una definizione dei confini, dei ruoli, delle differenze che consentono un movimento verso l’individuazione.
E’ molto importante osservare questa oscillazione sia all’interno del conduttore, sia nei partecipanti, che cercano di trovare le somiglianze con le vicende altrui per diminuire il loro senso di solitudine, ma, allo stesso tempo, di sottolineare le differenze e le unicità della loro storia rispetto alle altre per differenziarsi e riconoscersi.
La risonanza è molto presente nel gruppo e si manifesta connessa al tema della separazione e l’autonomia, e questo alla perdita, o ad una fantasia. [ANZIEU, D., Il gruppo e l’inconscio. Borla, Roma, 1976]
Col passare del tempo tra i partecipanti si è instaura spesso un clima di coesione e di fiducia, che permette ad ognuno di loro di riconoscere l’importanza che il gruppo ha nell’accedere a ricordi ed emozioni, accantonati per molto tempo.
Una variabile peculiare che contraddistingue l’osservazione psicoanalitica da altri tipi di osservazione è l’atteggiamento interno ed esterno dell’osservatore; il focus dell’osservazione viene definito non soltanto in relazione a quanto accade sotto gli occhi dell’osservatore, ma anche in base a cosa succede al suo interno.
L’osservatore in questo caso è partecipante nel senso che partecipa introducendo, con la sua presenza, elementi che modificano la situazione osservata e di cui deve tener conto. Bleger, a proposito dell’osservatore partecipante, afferma infatti che egli fa parte del campo e quindi condiziona i fenomeni che egli stesso deve registrare.
L’osservatore utilizza la sua soggettività come funzione conoscitiva, lavorando sul transfert e sul controtransfert in atto. In questo senso non si può svolgere un’immacolata osservazione [BORGOGNO, F., L’illusione di osservare. Riflessioni psicoanalitiche sull’incidenza del soggetto nel processo conoscitivo, Giappichelli editore, Torino, 1981.], in quanto è impossibile eliminare le valenze soggettive, ideologiche, emotive, inconsce, dell’impostazione teorica e metodologica della propria formazione.

Le regole del lavoro di osservazione, il setting interno ed esterno costituiscono un contenitore necessario alla preservazione della difficile capacità di osservare l’altro attraverso di sé, e in una certa misura, il Sé attraverso l’altro. Devereux [DEVEREUX, G., Saggi di Etnopsichiatria generale. Armando Editore, Torino, 1970.], a questo proposito, pone l’accento sulla necessità dell’osservatore di lavorare sul suo controtransfert, in quanto non si può ignorare l’interazione fra osservatore e osservato.
L’osservazione psicologica, infatti, non può fondarsi unicamente sul guardare o sul capire, ma deve contemplare al suo interno l’essere e il sentire; significa soprattutto che l’osservazione dell’altro da sé è possibile solo se procede parallelamente all’osservazione del Sé [BORGOGNO, F., L’illusione di osservare. Riflessioni psicoanalitiche sull’incidenza del soggetto nel processo conoscitivo, Giappichelli editore, Torino, 1981.].
L’osservatore si muove nell’ambito della soggettività, che è al contempo oggetto di conoscenza e strumento conoscitivo. Egli si propone di integrare gli elementi perturbanti, nel senso di tenerli in mente e man mano elaborarli, utilizzandoli nel processo di costruzione di senso di ciò che si osserva.
L’osservazione partecipante in gruppo è una modalità specifica che viene utilizzata per far comprendere e trasmettere ai terapeuti in formazione, attraverso un’esperienza vissuta in modo diretto, il senso del lavoro analitico gruppale.
L’inserimento dell’osservatore nel gruppo provoca un effetto perturbante poiché fa emergere aspetti conosciuti e imprevisti, ma anche aspetti non conosciuti che appartengono alla sfera di ciò che è familiare, ma rimosso e quindi inconscio. Uno dei compiti iniziali dell’osservatore è quello di tollerare l’incertezza, l’incoerenza e il non-senso, mantenendosi nella scomoda area del dubbio che, se certamente gli consente di innescare il processo di comprensione, all’inizio soprattutto lo confonde e lo disorienta.
La capacità di attendere, di mantenersi aperti al dubbio e alla re-interpretazione è più importante della capacità di comprendere, interpretare e fare connessioni.
L’osservatore che entra nel gruppo è animato da fantasie profonde e arcaiche, ricollegate alla scena primaria, relative all’esclusione e all’angoscia di guardare ed essere guardati. L’entrare in un gruppo viene vissuto dall’osservatore alla stregua di un violare l’identità di una coppia (terapeuta-gruppo = madre-padre) ed è connotato da fantasie persecutorie relative al difendersi da un possibile attacco di risposta all’intrusione.
Così la gelosia iniziale sentita nei confronti del gruppo e l’angoscia derivante dall’essere in una posizione a metà tra paziente e terapeuta si inserisce nel percorso evolutivo che un osservatore compie all’interno del gruppo. individua la fase del complesso edipico come il momento in cui l’osservatore si trova di fronte all’alternativa ambivalente di allearsi con il conduttore o di soppiantarlo con sensi di colpa. Egli si confronta quindi con sentimenti di gelosia, che, se elaborati, porteranno ad una identificazione matura con il conduttore e si potranno cogliere le dinamiche del gruppo nel suo insieme.
All’interno di un gruppo, si può scegliere una modalità di osservazione silente o partecipante, in relazione al tipo di gruppo osservato e alle modalità di conduzione.
L’osservatore silente, spesso, viene usato come schermo di proiezione e sentito in modo persecutorio; la sua entrata in gruppo provoca sia in lui sia nel gruppo il riattualizzarsi di posizioni arcaiche e l’alternarsi di vissuti depressivi e fantasie maniacali. La presenza di un osservatore non partecipante apre lo spazio a diverse possibilità di fantasmatizzazione, nel senso che stimola l’emersione di paure, angosce e vissuti che spesso affondano le loro radici in strati profondi della personalità.
Tollerare la costante presenza di un osservatore silente sembra essere un impegno notevole per il gruppo, si tratta di una persona che il gruppo non conosce e questo potrebbe dare origine a fantasie persecutorie o alla paura di conoscere l’ignoto.

L’osservatore come il conduttore funge da immagine di identificazione per il gruppo, e raccoglie maggiormente le ansie primitive, le dimensioni maggiormente “psicotiche”. E’ il suo essere muto e silente che lo rende depositario degli aspetti difficili, poco elaborabili.
Scaglia mette in evidenza come i gruppi vivano inizialmente una fase persecutoria in cui l’angoscia persecutoria viene depositata sull’osservatore silente. E’ l’elemento inquietante e perturbante, perché straniero, estraneo, messo “fuori” dal rapporto gruppo-conduttore, anche perché istituzionalmente impossibilitato a relazionarsi se non con la modalità vissuta come “intrusiva” dello sguardo e dell’ascolto.
In ogni caso, l’osservazione non è mai né silenziosa né passiva, poiché non solo le parole sono fonte di comunicazione. Per quanto infatti l’osservatore possa farsi dimenticare dal gruppo per il ruolo che occupa, il gruppo e il terapeuta non lo dimenticano, egli stesso non si dimentica, ma continua a parlare silenziosamente con il gruppo e con il terapeuta, pur non volendolo e non agendolo intenzionalmente.
Le sue osservazioni ovviamente non possono né vogliono essere obiettive, ma strettamente legate ai suoi vissuti e ai suoi riferimenti teorici e alla sua rispondenza emotiva nei confronti del gruppo. In questo senso,
l’osservatore è chiaramente una variabile del processo terapeutico che in alcuni momenti può avere un peso significativo sia che abbia un ruolo ricettivo sia che abbia un comportamento apertamente partecipante
Nei gruppi si mettono in gioco identificazioni primitive ed arcaiche. Attraverso il meccanismo di identificazione l’osservatore opera e comprende, egli è sia il gruppo che la funzione riflessiva sul gruppo.
Borgogno [BORGOGNO, F., L’illusione di osservare. Riflessioni psicoanalitiche sull’incidenza del soggetto nel processo conoscitivo, Giappichelli editore, Torino, 1981] descrive questo faticoso processo come l’assumere coscientemente che nella conoscenza osservativa ci sia la capacità di contenere l’altro, essendo ricettivi. Questo può suscitare nell’osservatore timori legati al perdere la propria identità, che si confonde con l’identità del gruppo.
Rispetto all’identificazione dell’osservatore con il proprio ruolo Montesarchio e Monteduro notano come, all’interno del gruppo, l’osservatore in formazione compia un percorso evolutivo da una fase iniziale in cui si pone come una memoria testuale a momenti in cui diventa maggiormente permeabile alle dinamiche del gruppo e funziona come specchio nei confronti delle dinamiche di gruppo.
L’osservatore oscilla, quindi, tra identificazioni di fusionalità, che lo portano a confondersi con il gruppo e quindi a viverlo più intensamente, e movimenti di individuazione in cui è in grado di recuperare la propria specifica funzione critica e riflessiva.
L’osservatore, nel suo essere contemporaneamente dentro e fuori e nell’utilizzare il proprio essere e sentire, l’empatia e l’identificazione con l’oggetto come strumento conoscitivo, è continuamente esposto al rischio di essere invischiato nella relazione con l’oggetto osservato o al contrario di opporvi una distanza difensiva che la annulla.

L’essere troppo dentro la relazione mette l’osservatore di fronte al rischio di perdersi nell’oggetto, lo mette cioè di fronte a quel senso del perturbante che ha a che fare con una potenziale regressione a modalità fusionali di relazione.
Come asserisce Bion [BION, W., R., Notes on memory and desire, Psycho-analytic Forum, vol. II n° 3, 1967b], l’osservazione dovrebbe essere “senza memoria e senza desiderio”, elementi inevitabilmente distorcenti il processo di comprensione che si va formando; l’osservatore, collocandosi nel presente, dovrebbe abbandonare passato e futuro, liberarsi dei suoi bisogni, aspettative e desideri, tra cui non ultimi quelli di capire, sostenere e/o curare. Si tratta di uno sforzo di esplicitazione del codice interpretativo interno dell’osservatore, in cui entrano in gioco non solo la sua biografia e i suoi vissuti, ma anche gli elementi ideologici, culturali e formativi che inevitabilmente fungono da filtro dell’osservare.
Come sostiene Kaës, l’osservatore deve chiarirsi, in itinere, cosa guarda, per quale scopo, con quale metodologia, ma anche chi guarda in lui (Super-Io, Ideale dell’Io) e con chi si sta identificando nel lavoro di osservazione.
Scaglia parla della cosificazione dell’osservatore, riferendosi alle reazioni difensive che l’osservatore stimola nell’osservato. A volte, infatti, l’osservatore può essere “ridotto al quadro”, ovvero assimilato in senso fisico, materiale, ad un elemento della stanza, del luogo per negare la sua funzione ed eliminarlo psichicamente.
L’osservazione nel gruppo è un allenamento ad osservare con un pensiero multiplo. Vanni evidenzia la presenza di vari livelli gruppali nella mente dell’osservatore. Egli sottolinea come nell’osservazione dei gruppi sia importante registrare in quale area gruppale della mente ci si trova nell’atto di osservare, ed è questa consapevolezza che permette di comprendere le operazioni che il gruppo sta compiendo.
E’ evidente che l’osservazione nel gruppo dovrà tenere presente la compresenza e la stratificazione di vari livelli. Un primo livello riguarda i dati percettivi, le informazioni e comunicazioni che avvengono nel gruppo, per cui l’osservatore coglierà i contenuti del discorso nel qui e ora del gruppo. Si tratta quindi di una osservazione percettiva della realtà, che coglie il significato sensoriale percettivo delle comunicazioni.
Un secondo livello organizza questi dati interpretandoli in funzione di un codice scientifico, un modello culturale che può essere quello di un’istituzione di appartenenza. L’osservatore interpreta i dati, fornendo ad essi un significato, in funzione dei suoi modelli teorici di riferimento. Il secondo livello corrisponde ad un’osservazione interpretativa che si basa sul presupposto che l’osservato non è dato ma supposto in base ad un taglio specifico della realtà. Il terzo livello tratta i dati in funzione della storia del gruppo, della sua fondazione; è un’osservazione etnocomparativa volta a registrare componenti universali e le loro elaborazioni “etnocentriche” ovvero i sedimenti di altri gruppi.
Chi compie l’osservazione fornisce una rappresentazione formale alle emozioni non pensate, non viste dal gruppo, fungendo, secondo Kaës da “porta parola” attraverso un lavoro di connessioni, legami. Il punto di vista dell’osservatore comprende e differenzia allo stesso tempo il dentro e il fuori, lo psichico e il sociale, il pensiero del gruppo e l’elaborazione soggettiva dell’individuo.
La funzione di legame che ha l’osservatore è simile alla funzione del Preconscio. Transitando nell’area mentale del preconscio, delle rappresentazioni, l’osservatore attuerà un lavoro psichico di trasformazioni e narrazioni, creando le connessioni tra le “rappresentazioni di cosa” e le “rappresentazioni di parola”.
La posizione dell’osservatore, infatti, si va a collocare sul confine del gruppo, in quanto la sua funzione è di fornire una rappresentazione alle emozioni “non pensate”, “non viste” che egli contiene. Per l’osservatore questo processo è un percorso lungo che segue dapprima l’andamento e l’elaborazione del gruppo, prestando particolare attenzione ai mutamenti che avvengono, e poi attraverso la successiva creazione di un’ulteriore rappresentazione: il protocollo, il resoconto con ulteriori nessi, legami.
De Polo afferma che la posizione privilegiata che l’osservatore assume nel gruppo gli permette di sperimentare quei processi di scoperta di senso attraverso l’ascolto che sono così importanti nel rapporto terapeutico e che è necessario apprendere perché nella realtà consueta sono generalmente molto abbreviati.
L’osservatore è una memoria collettiva nei confronti del gruppo. E’ un registratore che pensa e che vuole capire come mai lui e il gruppo pensano e sentono in un determinato modo, perché il terapeuta dice certe cose piuttosto che altre, e che cosa significa il suo pensare, sentire, capire in riferimento al gruppo e alle sue dinamiche.
In questo senso l’esperienza di osservazione diventa utile sia al terapeuta sia all’osservatore. Al primo, attraverso l’analisi dei vissuti, permette una comprensione migliore di ciò che accade nel gruppo; al secondo dà la possibilità di osservare i momenti evolutivi del gruppo, di apprendere la tecnica di conduzione, e di imparare a fare un migliore uso di sé e delle proprie emozioni.
Osservare significa porsi in relazione con il gruppo, con il terapeuta, con sé, con le proprie parti “piccole”, con quelle adolescenziali e quelle adulte e quindi entrare nella corrente dei processi emotivi che tale atto suscita.
L’osservazione, silenziosa o partecipante, è inevitabilmente una variabile che modifica il quadro e la storia del gruppo, inducendo particolari costellazioni emotive. Ed è proprio a partire dai vissuti emotivi suscitati dal gruppo che l’esperienza di osservazione diventa un’occasione di acquisizione di competenze e un momento trasformativo della propria identità personale e professionale.
L’osservatore, infatti, vive sulla propria pelle la complessità del gruppo e apprende dall’esperienza l’importanza di osservare l’altro attraverso di sé, e in una certa misura, il Sé attraverso l’altro.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La separazione - individuazione nel rapporto madre-bambino e la funzione della pelle come contenitore delle emozioni del bambino: il ruolo dell'osservazione

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Informazioni tesi

  Autore: Carlo Lovati
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2021-22
  Università: Università degli Studi Niccolò Cusano - Telematica Roma
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia
  Relatore: Dario Davì
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 110

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