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“Smart Working”: una possibile soluzione ai malesseri economici e psicologici dell'organizzazione aziendale

Pregi e difetti del lavoro a distanza

Una visione d’insieme per l’ambiente e la salute

È del 9 agosto 2021 la divulgazione del “Rapporto IPCC climate change 2021 – Le basi fisico-scientifiche” in cui un gruppo di esperti climatici delle Nazioni Unite, attraverso delle simulazioni climatiche di ultima generazione, confermano il trend ben poco positivo di cambiamenti climatici che stanno interessando tutte le zone del pianeta, anche se con modalità differenti. Questo allarme dovrebbe smuovere le coscienze non solo della parte politica delle nazioni, ma anche le città, gli enti, la società civile e il settore privato i quali sono invitati, anche secondo l’accordo di Parigi del 2015, ad aumentare i propri sforzi al fine di ridurre le emissioni di gas serra e CO₂, sostenere le politiche di incremento dell’utilizzo di fonti di energia rinnovabile, utilizzo di mezzi di movimento alternativi al fine di attenuare nel lungo termine gli effetti negativi dei cambiamenti climatici. L’accordo di Parigi, entrato in vigore il 04 novembre 2016, è il primo accordo giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici. Esso stabilisce un quadro generale finalizzato all’evitare i cambiamenti climatici limitando il riscaldamento globale, cercando di limitarlo al massimo a 1,5°C oltre al livello preindustriale, soglia che contribuirebbe significativamente a ridurre i rischi del cambiamento climatico. Si può affermare che alla base della responsabilità del riscaldamento globale, vi sono le attività umane e la diffusione di un sistema produttivo ed economico di stampo industriale. Ma è anche vero che alla base di un contenimento dell’innalzamento delle temperature può esserci allo stesso modo l’attività umana attraverso la riduzione drastica di emissioni di CO₂, metano e gas serra. È necessario quindi che l’essere umano prenda coscienza di quello che è e di quello che potrebbe essere attraverso un impegno comune. È necessario riportare al centro la società, a discapito anche dell’interesse individuale e privato. Una società d’altra parte non è altro che un insieme di individui che interagiscono per perseguire obiettivi comuni. L’obiettivo comune dal 2020 fino alla metà del secolo deve essere il raggiungimento di emissione nette di CO₂ pari a zero. Per quale motivo ci si concentra di più sulla CO₂ piuttosto che sugli altri gas presenti nell’atmosfera? Perché la CO₂ permane nell’atmosfera per centinaia di anni, risulta quindi più ostica una sua riduzione. Pertanto è necessario portarne a zero le emissioni, così che si possa riuscire a contenere il riscaldamento globale sotto la soglia di 1,5°C stabiliti dall’accordo di Parigi. L’Istat dal 2013 pubblica annualmente un rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile (BES) con l’obiettivo di rendere consapevole il Paese dei propri punti di forza e delle proprie debolezze in merito allo sviluppo della società, non solo dal punto di vista economico ma anche e soprattutto da quello civile, sociale e ambientale. Ogni anno, leggendo il BES, ci si dovrebbe poter interrogare su cosa possiamo fare concretamente per migliorare la qualità della vita. Ho avuto la possibilità di leggere il rapporto del 2020 e vi ho trovato numerosi spunti di riflessione collegandomi anche al tema centrale della mia tesi. Potrebbe l’adozione dello smart working contribuire al miglioramento del benessere ambientale, e quindi sociale, del nostro Paese? Non bisogna infatti sottovalutare l’ambiente quando si parla di benessere delle persone. Avere un ambiente sano, privo di inquinamento, va a preservare anche la salute della gente. Il popolo ha percepito questo concetto già da diverso tempo. Infatti, se andiamo a guardare i dati riportati nel BES 2020, possiamo vedere che già nel 2012 è stato superato il 26,4% di quota di consumi energetici prodotti tramite fonti rinnovabili (geotermico, fotovoltaico, eolico, idroelettrico), valore inizialmente fissato come obiettivo da raggiungere nel 2020.

Non bisogna fare l’errore di pensare che l’utilizzo di fonti rinnovabili per produrre energia sia sufficiente per un risanamento dell’ambiente e una stabilizzazione del clima. Durante i mesi di lockdown, periodo in cui gli spostamenti erano azzerati e le attività produttive ridotte al minimo, si è potuta apprezzare una significativa riduzione di sostanze inquinanti nell’atmosfera. Ma nonostante questo abbia portato ad un temporaneo miglioramento dell’aria a livello globale, questo non ha prodotto nessuna conseguenza sulla concentrazione di CO₂ poiché, come dicevamo inizialmente, questa permane nell’atmosfera per centinaia di anni. Per cui non è sufficiente un breve periodo affinché il riscaldamento climatico subisca un apprezzabile miglioramento. Il benessere dell’umanità è fortemente intrecciato ai cambiamenti climatici che influiscono in maniera importante sulla salute umana. Questo va ad esporre a forti pressioni anche il sistema sanitario che spesso è poco attrezzato per far fronte ad emergenze che si vanno sovrapponendo. Al contrario delle energie da fonti rinnovabili che negli ultimi anni sono andate aumentando, la produzione di CO₂ non accenna a diminuire, restando piuttosto stazionaria. Queste emissioni sono dovute principalmente al consumo di combustibili utilizzati per il trasporto privato. Si consideri che il trasporto su strada è la principale fonte di ossidi di azoto. Il traffico veicolare risulta essere responsabile di queste emissioni per oltre il 50% su base nazionale. Sebbene ci siano dei segnali negli ultimi anni che evidenziano la diminuzione regolare del potenziale inquinante delle autovetture, questo resta tuttavia insufficiente a produrre risultati apprezzabili. Il tutto considerando anche il fatto che invece la densità veicolare tende ad aumentare, seppure lentamente, ma in maniera costante.
Come si può vedere dai grafici precedenti, la densità veicolare è più elevata nelle città più grandi e va calando al diminuire della grandezza dei centri abitati presi in considerazione. E si può constatare anche come essa sia maggiore nelle città del nord e del centro, mentre risulta più bassa al sud. Per quanto riguarda invece il potenziale inquinante si può evincere che esso è più elevato al sud piuttosto che al centro e al nord. Considerando la grandezza dei centri abitati, si può vedere che risulta più elevato nei capoluoghi più piccoli anziché in quelli di maggiori dimensioni. Che cosa si può dedurre da questo? Che probabilmente la densità veicolare è direttamente proporzionale alla densità della popolazione, chiaramente più elevata nelle grandi città. Mentre il potenziale inquinante è legato maggiormente all’economia di un luogo visto che il parco auto in circolo si rinnova più facilmente dove le famiglie hanno disponibilità economiche più ingenti. Poi, andando ad analizzare caso per caso, le motivazioni possono anche intrecciarsi con altre realtà locali. Ad esempio uno scarso servizio di mobilità pubblica, può portare alla necessità per i cittadini di attrezzarsi con mezzi privati. Così come la possibilità di un maggior utilizzo di mezzi condivisi può aiutare un calo di densità automobilistica. Ci possono essere restrizioni per quanto riguarda la circolazione di mezzi obsoleti che non rispecchiano le normative sull’emissione di gas e CO₂, oppure la possibilità di accedere ad incentivi per la sostituzione di vecchi mezzi a favore di automobili più moderne e meno inquinanti. Tuttavia quello che salta all’occhio nell’osservazione macro dei dati pubblicati dall’Istat, è il solito divario tra nord e sud, tra grandi città e periferie. Si consideri, in ogni caso, che l’automobile resta il mezzo più utilizzato sia dagli occupati che dagli studenti per recarsi presso la propria scuola o il proprio posto di lavoro. Questo sia che si prenda in esame l’ipotesi conducente che quella passeggero.

La mobilità sostenibile viene attuata maggiormente nei comuni delle aree metropolitane dove ci sono molte persone che riescono a spostarsi a piedi per raggiungere le proprie destinazioni o che riescono ad utilizzare mezzi collettivi. Nei comuni più piccoli questi metodi vengono usati in maniera minore. Il car pooling, ad esempio, consiste nella condivisione dell’automobile con colleghi che affrontano lo stesso percorso ed è particolarmente diffuso tra giovani e nel sud Italia. Mentre per quanto riguarda il bike sharing o il car sharing, si tratta di condivisione in tempi diversi dei mezzi di trasporto per i quali si potrebbe essere sia l’autista che il passeggero e sono maggiormente diffusi tra i giovani con titoli di studio alti e sono concentrati in pochi grandi comuni del nord Italia. Questi servizi riducono indubbiamente il numero di veicoli in circolazione e rappresentano quindi una forma sostenibile di trasporto. Tuttavia ancora poco diffusa e praticata. Sicuramente con qualche problema di troppo a livello periferico.
Fin qui si è tenuto in considerazione solo la parte ambientale e le conseguenze che può avere il perpetrare dell’inquinamento antropico. E per quanto questa sia la parte più importante da tenere in considerazione proprio in prospettiva futura per il benessere fisico e ambientale, purtroppo l’essere umano non sempre lo prende in esame. Le persone assai più disposte invece sono ad analizzare il risvolto immediato che un cambiamento potrebbe apportare a sé stesse o alle proprie organizzazioni lavorative. E quale conseguenza più immediata c’è se non quella economica? Vorrei quindi analizzare anche questo aspetto.

Questo brano è tratto dalla tesi:

“Smart Working”: una possibile soluzione ai malesseri economici e psicologici dell'organizzazione aziendale

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Informazioni tesi

  Autore: Jennyfer Truffelli
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi di Perugia
  Facoltà: Scienze per l'investigazione e la sicurezza
  Corso: Sociologia
  Relatore: Rosita Garzi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 65

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