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La legge Gasparri. Digitale terrestre ed altre innovazioni.

Privatizzazione della RAI

Un altro controverso aspetto della legge 112 del 2004 lo si trova nell’articolo 21, intitolato “Dismissione della partecipazione dello Stato nella RAI - Radiotelevisione italiana Spa”. Un titolo che lascia poco spazio a fraintendimenti, ma che invece va dritto alla questione: la privatizzazione della RAI. E’ questo un progetto di cui da tanto tempo si parla, ma che per un motivo o per un altro, non ultima la maggior importanza di garantire la diffusione delle trasmissioni su piattaforma digitale, è sempre stato rinviato o messo da parte. Rendere private le reti RAI significa porre il servizio pubblico sullo stesso piano di tutte le altre emittenti private. Questo potrà essere un vantaggio da una parte, ma un forte rischio dall’altro. In primo luogo, a quel punto, una volta privatizzata la RAI, questa non potrebbe più essere definita servizio pubblico. La stessa legge Gasparri, nell’articolo 17, “Definizione dei compiti del servizio pubblico generale radiotelevisivo”, riporta tutti gli obblighi a cui la RAI deve adempire proprio in veste di servizio pubblico nazionale, non in veste di una semplice emittente, come potrebbe essere un’altra qualsiasi. Il servizio pubblico generale radiotelevisivo, infatti, garantisce la diffusione di tutte le trasmissioni televisive e radiofoniche di pubblico servizio della società concessionaria con copertura integrale del territorio nazionale, per quanto consentito dallo stato della scienze e delle tecnica. In più, caratteristica fondamentale, il servizio pubblico non si appoggia economicamente sugli introiti pubblicitari, ma sul canone di abbonamento, il quale, in caso di totale privatizzazione, dovrebbe essere eliminato. Questo perché il canone è stimato e calcolato anno per anno, in base a ciò che la RAI prevede di fare l’anno successivo proprio in qualità di servizio pubblico nazionale. Entro il mese di novembre di ciascun anno, il Ministro delle comunicazioni con proprio decreto stabilisce l’ammontare del canone di abbonamento in vigore dal 1° gennaio dell’anno successivo, in misura tale da consentire alla società concessionaria della fornitura del servizio di coprire i costi che prevedibilmente verranno sostenuti in tale anno per adempiere gli specifici obblighi di servizio pubblico generale radiotelevisivo affidati a tale società. Forti dubbi sugli effetti che potrebbe avere la privatizzazione della RAI, in particolare a livello di pubblicità, dunque a livello economico, è espresso dagli organi di stampa.
Gli editori, infatti, temono che la privatizzazione della RAI scateni una guerra senza quartiere per vendere fino all’ultimo spot con un generale ribasso dei prezzi della pubblicità. (…) Non a caso, nessun gruppo editoriale italiano si è mai impegnato in una campagna di stampa come si deve per la privatizzazione della RAI. Probabilmente privatizzare la RAI avrebbe sicuramente taluni vantaggi, ma darebbe anche un altro fortissimo colpo al già debole pluralismo dell’informazione in Italia. Anche se, una volta totalmente privatizzata, la RAI vedrebbe il proprio consiglio d’amministrazione non più nominato dalla Commissione di vigilanza del Parlamento e dal Ministero dell’economia e delle finanze, ma eletto da tutti i soci, che potranno essere diffusi anche tra i semplici cittadini che vorranno acquistarne delle azioni. Se non altro qualcosa di pubblico resterà ancora.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La legge Gasparri. Digitale terrestre ed altre innovazioni.

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Informazioni tesi

  Autore: Vito Volonnino
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi della Basilicata
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze della comunicazione
  Relatore: Rocco Brancati
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 132

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