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Maternità tra norme di genere, scelte riproduttive e dibattito sull'aborto

Pro-life e Pro-choice a confronto

Ad oggi, in Italia l’aborto è consentito dalla legge 194 del 1978, ma la realtà quotidiana è ben diversa da quella legislativa. Nei discorsi pubblici, esistono fondamentalmente due schieramenti: chi pensa che il diritto alla vita sia innegabile e che l’aborto sia sbagliato in (quasi) ogni caso e chi invece ritiene che il diritto di scelta sia più importante e quindi ognuno debba poter decidere liberamente del proprio corpo.
Il movimento Pro-life, composto per la maggior parte da conservatori, sostiene che l’entità non ancora nata, sia un essere umano a tutti gli effetti fin dal momento del concepimento. Per cui, un aborto è moralmente sbagliato in quanto è l’uccisione di un essere umano (Beckwith, 2007). Nei discorsi contro l’aborto, quest’ultimo è spesso paragonato all’infanticidio e all’omicidio, con conseguenti questioni relative al valore della vita (ibidem). È innegabile che embrioni e feti siano entità vive, ma possono essere considerati esseri umani? Questa non è una domanda empirica e la biologia non aiuta a rispondere. La questione su cosa sia una persona è metafisica, filosofica e teologica. Molti neurologi hanno dichiarato che i feti non posseggono l’apparato neurale necessario per avere un’esperienza conscia di qualunque tipo fino almeno all’inizio del terzo trimestre (Manninen, 2014). Inoltre, senza la corteccia cerebrale, il dolore non può essere percepito perché la configurazione finale del cervelletto si ottiene al settimo mese di gestazione e la mielinizzazione del midollo spinale inizia tra la ventesima e quarantesima settimana di gravidanza (Planned Parenthood, 2002). Un feto non può essere paragonato a una persona completamente formata e funzionante, in quanto possiede solo organi e apparati rudimentali e non potrebbe sopravvivere in modo sano fuori dall’utero materno, se non dalla ventisettesima settimana in poi. Egli ha solo il potenziale di diventare un bambino (Burgess et al., 1996). Tuttavia, il concetto di potenzialità non è sufficiente a produrre vincoli morali e obblighi di tutela nei confronti dell’embrione o del feto.
Nell'intervento “Il problema dell’aborto. Tra libertà di scelta e diritto alla vita”, discusso in occasione del Ciclo di incontri di Bioetica dell’Associazione Thomas International tenutosi a Palermo il 14 dicembre 2007, la dott. Lalli afferma: “Il concetto di persona è un concetto morale. Ha a che fare con il mondo dei valori e non con il mondo della scienza. Nessuno strumento, per quanto potente, potrà rivelarci quando un organismo sia anche una persona o quando non lo sia più. Il significato di ‘persona’ è sempre una scelta di ordine morale” (Lalli, 2007). Infatti, la possibilità o certezza che in futuro un organismo acquisisca determinate caratteristiche che non possiede attualmente, non ci giustifica a trattarlo come se le possedesse già. La dott. Lalli continua:
Un bambino di 8 anni possiede potenzialmente il diritto di voto che acquisirà a 18 anni. Accetteremmo di farlo votare oggi in base al fatto che tra 10 anni acquisirà quel diritto (diritto che acquisirà in seguito all’acquisizione di alcuni requisiti che sono presenti a 18 anni e non a 10 anni)?” (Lalli 2008, p. 1)
La maggior parte delle persone contro l’aborto si concentra sull’affermare che il feto sia un essere umano, piuttosto che spiegare perché la pratica sia sbagliata.
È famoso, oltre che parecchio interessante, l’esperimento mentale del violinista di Thomson: immagina che un famoso violinista molto malato abbia bisogno di essere necessariamente attaccato ai tuoi reni per un certo periodo di tempo; quindi, ti hanno sequestrato e legato ad un letto. Questo è l’unico modo per cui lui possa sopravvivere a questa rara condizione e se decidi di staccarti, il violinista morirà sicuramente. Ovviamente, il diritto a scegliere del proprio corpo è fondamentale, ma il diritto alla vita è più importante. Secondo Thomson, se non hai mai consentito a questa relazione di dipendenza assoluta, allora puoi liberamente scollegarti. Non staresti negando il diritto alla vita del violinista, ma non basta questo diritto ad obbligare qualcuno a dargli tutto ciò di cui ha bisogno per sopravvivere (Thomson, 1971). Allo stesso modo, anche se un feto fosse un essere umano fin dal concepimento, non sarebbe sufficiente riconoscergli il diritto alla vita per accettare che un’altra persona, in questo caso la donna incinta, debba rinunciare temporaneamente a scegliere cosa fare del proprio corpo. Bisogna però riconoscere che, nel caso menzionato, non c’è stata libera scelta. Una donna che decide volontariamente di avere un rapporto sessuale è quindi moralmente responsabile a causa della dipendenza del feto, dato che ha contribuito alla sua creazione? Ha il dovere di donare il proprio grembo per farlo sopravvivere? (Manninen, 2014). È innegabile che i rapporti biologici siano importanti, ma allora sarebbe sbagliato abortire anche in casi di stupro, incesto e gravi deformazioni fetali. Ciò che fa riconoscere obblighi speciali nei confronti di membri familiari non è la genetica, bensì il livello di intimità implicato nelle relazioni. La maternità è un fenomeno complesso e ogni gravidanza è diversa, anche per la stessa donna. Alcune si sentono responsabili del feto da quando scoprono la sua presenza, altre si sentono allo stesso modo responsabili anche se intendono abortire e altre ancora lo ritengono un estraneo (ibidem). In casi di gravidanza come conseguenza di un rapporto sessuale consensuale e consapevole, possiamo ritenere che il feto abbia ottenuto dei diritti speciali riguardo al corpo della donna e quindi l’aborto sia ingiusto? Anche se i contraccettivi vengono usati, non c’è mai una sicurezza assoluta e quindi vi è sempre la possibilità di una gravidanza. Dunque, non importa quali azioni volontarie un individuo effettui, poiché certi diritti non possono essere negati solo per essersi messo in situazioni potenzialmente compromettenti. Per la donna, il feto è in tutto e per tutto un intruso indesiderato nel suo corpo e poco importa la sua innocenza morale, in quanto esso è percepito come un agente che viola il suo benessere. Infatti, le conseguenze fisiche e mentali di una gravidanza sono enormi ed hanno a che fare con l’integrità corporea personale e l’autonomia della donna. Se una donna e un feto hanno uguale diritto alla vita, come si fa a decidere? Entrambi sono esseri innocenti, ma il corpo che ospita il feto è quello materno, come in una sorta di “prestito temporaneo obbligatorio” (ibidem). Il non nato è completamente dipendente dalla gestante e lei ne ha la completa responsabilità, ma il diritto alla vita di chiunque non impone comunque un obbligo agli altri di fare dei grandi sacrifici purché lo si rispetti. Può essere una libera scelta – e di conseguenza, oneri e onori – ma mai un dovere imposto. Inoltre, parlare dei feti come pazienti indipendenti dalle donne che li portano in grembo aiuta a perpetuare la continua deumanizzazione delle donne, trasformandole in “ambienti e contenitori per i pazienti non nati” (Casper M.J., 1998, p. 89).
La convinzione che ogni aborto sia moralmente sbagliato perché dettato dall’egoismo dà per scontato che una donna incinta debba abbandonare ogni ambizione personale e desiderio per crescere suo figlio, a prescindere da ogni difficoltà sociale o economica. In questa concezione, gli aborti sarebbero fatti per semplice convenienza e le donne che prendono questa scelta non sono esseri umani con emozioni, desideri e ambizioni, ma persone egoiste, irresponsabili, sessualmente promiscue e senza cuore. Queste denigrazioni cercano di nascondere come spesso le donne che abortiscono hanno già altri figli perché il binomio “buona madre-donna che abortisce” funziona bene nel perpetuare un discorso manicheo e patriarcale. In Italia nel 2020, più del 60% delle donne che hanno abortito aveva almeno un figlio e più del 75% non aveva mai avuto aborti volontari precedenti (Ministero della Salute, 2020). Ciò vuol dire che non si tratta di persone sessualmente irresponsabili, superficiali, anti-famiglia o senza valori tradizionali, bensì di donne che spesso prendono questa scelta a causa di difficoltà economiche o per mancanza di supporto. Soventemente le motivazioni riguardano il fatto che l’aborto sia per il bene del feto, che meriterebbe una vita migliore di quella che potrebbe avere nelle condizioni attuali della gestante (Kushner, 1997). Si potrebbe pensare all’immagine di un’esistenza cancellata, ma bisogna riflettere senza far vincere l’emozione sulla ragione: una vita mai esistita non può avere fine, perché non ha mai avuto inizio (Lalli, 2013).
Omicidio, omicidio, omicidio, so che lo era, ma non lo sembrava. Sembrava più una difesa personale. Ero stata invasa, […] il mio corpo apparteneva a qualcos’altro […]. Non sentivo la felicità miracolosa che le mie amiche dicevano di aver sentito quando hanno scoperto di essere incinte, la connessione istantanea, la gioia e la promessa. Tutto ciò che sentivo era questo: seno indolenzito, nausea, fatica e paura.” (Lalli, 2013, p.174)
Ogni emozione è lecita e va rispettata: non devono essere le norme sociali a farci presuppore cosa una donna possa provare durante la scoperta di una gravidanza.
In ogni caso, è opportuno dire che nei casi tragici di stupro o incesto, la situazione emotiva della vittima è drammatica. Essendo lo stupro un crimine di potere, intimidazione e violenza, le vittime soffrono di shock emotivo, incredulità e disperazione nel breve termine e disturbi del sonno, disturbi somatici, sbalzi d’umore, ansia e depressione nel lungo termine (Lissman et al, 2022). Il valore della salute mentale femminile che rimane incinta può essere salvaguardato dall’aborto, in quanto ciò che le è successo è una grave ingiustizia e non dovrebbe essere obbligata a tenerne il frutto. Questo le ricorderebbe, per nove mesi e poi per tutta la vita, la violenza commessa nei suoi confronti. Di conseguenza, anche molti antiabortisti riconoscono questo caso come eccezione. Il feto prende le sembianze di un aggressore che mina l’integrità personale della donna e abortire per proteggere questo valore umano inalienabile dovrebbe essere moralmente difendibile. Una credenza sbagliata è quella che una gravidanza successiva ad uno stupro sia molto rara, in quanto l’apparato femminile è fortemente influenzato dagli ormoni e dalle emozioni e di conseguenza, se una donna è spaventata, ovulazione e fertilità sono deficitarie (Coleman, 2015). La maggior parte dei medici esperti e degli studi dimostra che le possibilità biologiche di rimanere incinta dopo uno stupro sono pari a quelle di un rapporto consensuale e anzi, è più probabile rimanere incinte dopo uno stupro che dopo un singolo rapporto consensuale (Holmes et al., 1996). Sul piano psicologico, le conseguenze dirette di violenze fisiche o sessuali possono essere rappresentate da ansia acuta, dissociazione, rallentamento delle reazioni, e sindrome post-traumatica da stress (Romito et al., 2008).
Inoltre, le donne che decidono di proseguire con la gravidanza, hanno pensieri ricorrenti sullo stupro, maggiore bisogno di controllo e più ansia durante il parto (Lissmann et al, 2022).
In ogni situazione e contesto, la maternità è una circostanza che cambia l’identità individuale e sociale e devono essere le donne a scegliere liberamente questa strada, se lo desiderano. I bambini dovrebbero nascere in una casa dove sono voluti e con genitori che sono certi di poter provvedere ai loro bisogni sia materiali che emotivi. Il termine Pro-choice indica proprio questo: dare la possibilità alle donne di scegliere se continuare una gravidanza e crescere il proprio figlio, darlo in adozione o avere un aborto. È importante che queste possibilità siano presentate come scelte ugualmente reali e rispettare la scelta finale della donna, qualsiasi essa sia (Manninen, 2014). Allo stesso tempo, è importante dare attenzione alle donne cui viene vietato di abortire, in quanto nel lungo periodo possono trovarsi con più probabilità in situazioni economiche difficili (Foster et al., 2018) e impossibilitate a lasciare un eventuale partner violento (Roberts et al., 2014). In conclusione, le donne non dovrebbero essere costrette a fornire motivazioni socialmente accettabili per scegliere di abortire, poiché ciò che conta è il loro diritto all’integrità fisica e mentale, nonché all’autodeterminazione. Tuttavia, è interessante e scientificamente utile comprendere le ragioni di questa scelta, nella consapevolezza che sono tutte valide e legittime, fin quando libere da impedimenti politici, culturali, sociali o economici. È infatti vero che spesso, le motivazioni dietro la scelta di un aborto non dipendono dalla piena consapevolezza e dal desiderio di autodeterminazione femminile, bensì da ostacoli come il desiderio di mantenere un lavoro o una carriera, difficoltà dovute ai diversi tipi di famiglie e all’età della gestante.

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Maternità tra norme di genere, scelte riproduttive e dibattito sull'aborto

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Informazioni tesi

  Autore: Sefora Musolino
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2021-22
  Università: Università degli studi di Genova
  Facoltà: Scienze Sociali
  Corso: Scienze e tecniche psicologiche
  Relatore: Sebastiano Benasso
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 75

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Parole chiave

sociologia
maternità
aborto
stereotipi di genere
legge 194
istinto materno
pro choice
mother blame
scelte riproduttive
sindrome post abortiva

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