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La repressione criminale: dalla vendetta privata alla persecuzione pubblica

Procedimento

Le fonti non ci indicano dinanzi a quali comizi si svolgesse la provocatio nell’età più antica ma è presumibile che si trattasse dei comitia curiata, a cui veniva affidata la giurisdizione criminale e al cui giudizio la vittima della coercitio magistratuale faceva ricorso. Poi, nel V secolo, la decisione venne riservata ai comitia centuriata. I comitia curiata si mantennero nella respublica solo per motivi di tradizionalismo e furono privi di funzioni deliberative rispetto al periodo precedente. Le loro attribuzioni furono per lo più di carattere religioso. Come comitia, essi venivano convocati dai consoli, dai pretori o dal dittatore per farsi conferire l’imperium magistratuale mediante la lex curiata de imperio. Ma, in realtà, non fu il popolo ad essere radunato a questo scopo, bensì un gruppo di trenta littori, uno per ciascuna curia. Invece i comitia centuriata divennero nella respublica, il comitatus maximus, l’assemblea fondamentale dello stato e mantennero anche le loro funzioni di carattere militare. I comitia centuriata potevano essere convocati e presieduti dai magistrati cum imperio; la convocazione avveniva nel Foro ma la votazione si svolgeva al di fuori dello stesso, presumibilmente nel Campo Marzio. La composizione dei comitia si stabilizzò, nel corso della fase di assestamento del governo repubblicano, su un totale di 193 centuriae; le prime 18 furono di equites e furono composte dai discendenti delle gentes patrizie, nonché dai plebei che avessero un censo quattro volte superiore al minimo richiesto; le rimanenti 175 centuriae furono definite dei pedites e furono distinte in cinque classi (rispettivamente di 80,20, 20, 20 e 30 centuriae). Esse erano aperte a tutti i cittadini di sesso maschile e di età tra i 17 e i 60 anni, a prescindere se fossero o meno patres familias. La votazione avveniva per distinte centurie e in ordine successivo di classi. Le loro attribuzioni erano diverse: dalla elezione dei magistrati ordinari e straordinari, alla votazione delle leggi e soprattutto al iudicium nelle cause criminali con condanna alla pena capitale. Cicerone richiama più volte nelle sue orazioni la lex due della Tavola IX, la quale avrebbe stabilito che l’unica assemblea popolare competente a giudicare della vita e della morte di un cittadino fosse il comizio centuriato; essa sarebbe stata formulata in questo modo: de capite civis nisi per maximum comitiatum ne ferunto. L’attendibilità di questa testimonianza ciceroniana non è stata mai posta in discussione, fino a quando Emilio Gabba, in una breve nota pubblicata sulla rivista Athenaeum si è opposto ad essa. In particolare Gabba sottolinea come le XII Tavole con l’espressione “maximum comitiatum” non avrebbero inteso stabilire che le questioni de capite civis fossero di competenza dell’assemblea delle centurie, ma che in occasione di tali processi occorreva assicurare la più ampia partecipazione popolare e che quindi quella locuzione sia stata utilizzata non per designare i comitia centuriata.

I capi plebei combatterono a lungo per ottenere l’affermazione che una condanna a morte potesse essere inflitta solo a seguito di un processo comiziale dinanzi all’assemblea popolare, tanto che ricevettero un riconoscimento legale nelle XII Tavole. I legislatori decemviri determinarono anche la procedura da seguire. Il processo si divideva in due ‘fasi’ ed è grazie a Cicerone che oggi riusciamo a trarne una descrizione: l’anquisitio, cioè una sorta di istruttoria dibattimentale per dimostrare la responsabilità dell’accusato. Essa si protraeva per tre giorni, in modo che il magistrato potesse formulare l’accusa in dettaglio, adducendo le prove per dimostrarne la fondatezza, mentre l’accusato svolgeva le sue difese offrendo le prove a discarico. L’istruttoria si concludeva o con la proposta di condanna o col rinvio del processo ad una quarta riunione da tenersi a distanza di almeno 24 giorni; la rogatio, al termine della quarta riunione, nella quale il magistrato convocava il comizio che decideva a maggioranza di voti espressi in forma orale (soltanto a partire dagli ultimi decenni del II secolo, fu introdotto lo scrutinio segreto per mezzo di tavolette cerate su cui erano incise le lettere L(libero) o D(damno) a seconda che il votante volesse condannare o assolvere l’imputato). L’esecuzione della sentenza di condanna alla pena capitale era affidata al carnefix, uno schiavo pubblico che procedeva allo strangolamento. Il magistrato non provvedeva personalmente ma tramite ausiliari ad hoc, i quaestores parricidii, che assunsero la competenza ad istituire i processi ed a proporre le pene dopo aver svolto delle indagini; essi sostenevano l’accusa davanti al comizio nei processi capitali (de capite civis). Quindi, pur non essendo dotati di imperium, avevano il diritto di trattare col popolo nonché presiedere l’assemblea delle centurie ma solo se l’oggetto riguardava pene capitali. Per le cause comportanti una pena pecuniaria la competenza spettava non ai comizi centuriati ma al concilio plebeo, il cui voto non era dato per centurie ma per tribù.
Conclusa l’anquisitio con la dichiarazione di colpevolezza, si provvedeva alla riunione ufficiale dei comizi, i quali procedevano al voto, accettando o respingendo la proposta di condanna. In tale procedura, il popolo non era chiamato a pronunciare alcun giudizio ma svolgeva funzioni di assistenza, presenziando all’esecuzione dell’omicida volontario ad opera dei familiari della vittima o di un boia da loro incaricato.

La lunghezza della procedura comiziale, che impegnava il magistrato e l’intera comunità cittadina per più giorni, portò a pensare che i reati meno gravi e più frequenti non fossero sottoposti a tale procedura. Infatti il furto e le lesioni personali, non erano assoggettati a pena pubblica e perseguiti tramite il processo comiziale ma erano lasciati alla libera iniziativa della parte lesa. Allo stesso modo, anche altri atti e provvedimenti che pur costituendo un pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico, non costituivano un vero e proprio delitto da sottoporre al iudicium populi ma davano luogo a semplici interventi di polizia di competenza dei tresviri capitales, che svolgevano funzioni di vigilanza e intervenivano direttamente contro la piccola delinquenza di strada applicando misure afflittive, come il carcere e la fustigazione. Mentre svolgevano per i reati più gravi, come l’omicidio, una vera e propria funzione di indagini preliminari, preparatoria al giudizio popolare.
Questa suddivisione dei reati già a partire dalle XII Tavole, iniziò a delineare la fondamentale distinzione tra delitti pubblici, i crimina, perseguiti dallo stato per mezzo degli organi investiti della giurisdizione criminale e sanzionati con pena pubblica di natura corporale o pecuniaria e delicta perseguiti dall’offeso con le forme del processo privato e sanzionati con pena privata, sempre di natura pecuniaria. Soltanto i crimina appartengono alla trattazione del diritto penale romano, in quanto i delicta sono configurati dalla giurisprudenza come fonte d’obbligazione, per cui appartenenti al campo del diritto privato.

Il sistema dei delitti e delle pene pubbliche, sancito dalla legislazione decemvirale, si mantenne per buona parte dell’età repubblicana. La provocatio venne rafforzandosi sempre di più, anche grazie all’istituzione di nuove leggi, le quali imposero sempre maggiori limiti alla coercitio magistratuale. Tra esse, si ricordano soprattutto le tre leges Porciae, la prima dovuta a Catone il vecchio che avrebbe concesso il ricorso al popolo contro la fustigazione come provvedimento autonomo; la seconda, proposta da P. Porcio Leca, tribuno della plebe che avrebbe esteso la provocatio anche ai cittadini che si trovavano fuori Roma e ai soldati nei confronti del loro comandante; infine, la terza, di autore ignoto che avrebbe introdotto una sanzione nuova e più severa nei confronti del magistrato che non si fosse attenuto alle norme sulla provocatio. Tali provvedimenti resero la coercitio magistratuale sempre sottoponibile al controllo politico dell’assemblea del popolo.

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La repressione criminale: dalla vendetta privata alla persecuzione pubblica

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Informazioni tesi

  Autore: Manuel Cirillo
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Salerno
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Francesco Fasolino
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 108

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Parole chiave

diritto romano
storia del diritto romano
repressione criminale
repressione endofamiliare
riordino sillano
autotuela
cognitiones extra ordinem
vendetta privata

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