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Il contrasto alle mafie e alla massoneria nel diritto ecclesiale

Prospettive future di intervento e il ruolo della Chiesa nell'uso dei beni confiscati alle mafie

Nel corso di questo secondo capitolo, abbiamo potuto constatare come la Chiesa abbia tentato di contrastare maggiormente la criminalità organizzata quando essa utilizza, in modo strumentale, una presunta adesione alle fede cattolica e alle relative pratiche di pietà popolare, generando confusione tra i fedeli e ponendosi in assoluto contrasto con il messaggio evangelico. Abbiamo anche visto come la comunità ecclesiale non si sia accontentata solo di espressioni di condanna, necessarie ma non sufficienti ai fini di un efficace contrasto, ma abbia adottato anche misure idonee a scoraggiare infiltrazioni mafiose. Particolare attenzione è stata posta alle possibilità offerte dal diritto vigente per inquadrare canonicamente l'appartenenza mafiosa dei fedeli. Il tentativo di sussumere il delitto di associazione mafiosa in quello di apostasia ci è sembrato forzato, in virtù del principio di tipicità e di stretta interpretazione delle norme penali. Sembrerebbe allora auspicabile un futuro intervento legislativo volto a considerare rilevante, anche in tale ambito, il delitto di cui al can. 1374 del Codice di Diritto Canonico, un tempo riservato ai casi di appartenenza alle associazioni massoniche – di cui si è discusso nel primo capitolo – e che oggi è dedicato invece, in modo più generale, alle associazioni che complottano contro la Chiesa. Il canone in oggetto difatti tiene conto della dimensione comunitaria e di appartenenza ad un gruppo organizzato, più che alla commissione di un atto criminoso isolato. Tuttavia, stante l'impossibilità di operare un'interpretazione estensiva del can. 1374, sarebbe attualmente necessario un intervento legislativo ad hoc tale da permettere un'applicazione del dettato normativo anche ai clan malavitosi.
Una diversa prospettiva ci giungerebbe invece dalla nozione di “peccato grave manifesto" presente nel Codice di Diritto Canonico, che individua quelle condotte di ostinata perseveranza nello stato di peccato tali da impedire l'accesso ai mezzi di santificazione e dunque ai Sacramenti.

Tale condotta potrebbe senza dubbio essere quella del mafioso, la cui appartenenza stessa all'associazione criminale, oltre che il compimento dei conseguenti atti criminosi che ne derivano, indicano una chiara perseveranza nel peccato.
Ulteriore recente intervento, sicuramente degno di nota, è stato l'istituzione del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, da parte di Papa Francesco, con il compito di valutare l'opportunità dell'emanazione di un intervento di carattere universale di contrasto alle mafie e ai fenomeni corruttivi. Nello specifico, la Consulta internazionale sulla giustizia, riunitasi in Vaticano il 5 giugno 2017, nell'ambito del dibattito internazionale sulla corruzione, ha elaborato un Documento finale, in cui si sottolinea l’esigenza di approfondire a livello internazionale e di dottrina giuridica della Chiesa la questione relativa alla scomunica per corruzione e associazione mafiosa. Tutto ciò allo scopo di fornire ai parroci e ai vescovi linee guida chiare per contrastare le infiltrazioni mafiose.
Le “Linee guida” elaborate dal Dicastero, costituiranno dunque la base su cui il Pontefice potrà emanare una normativa universale, nella quale saranno anche indicate le modalità di comminazione della pena della scomunica. Ciò, evidentemente, richiede l'inserimento di un nuovo canone sul delitto di mafia e corruzione all'interno del Titolo I parte II del Libro VI del C.i.c. (Delitti contro la religione e l'unità della Chiesa), oppure nel Titolo VI (Delitti contro la vita e la libertà dell'uomo) con la logica conseguenza che la pena della scomunica latae sententiae ai mafiosi, non deriverà più dell'interpretazione del can. 1364 C.i.c., o dall'estensione del concetto di apostasia, ma direttamente dell'applicazione della nuova disciplina codicistica.
Appare evidente che la previsione di una normativa universale in tema di mafie e corruzione farebbe della Chiesa Cattolica una vera protagonista nella lotta al crimine organizzato, rendendo ancora più credibile e concreta la collaborazione con lo Stato.

Proprio sulla scia di tale collaborazione si annoverano già numerose iniziative volte alla promozione della legalità e allo sviluppo economico delle aree del Mezzogiorno. Una particolare menzione merita ad esempio il ruolo prezioso che la Chiesa ricopre nell'impiego dei beni confiscati alle mafie. La stessa applicazione della legge sul riutilizzo sociale dei beni confiscati è stata il prodotto del lavoro della rete “Libera", di Don Luigi Ciotti, che ha favorito il raggiungimento del quorum necessario per la formulazione della petizione popolare da cui è derivata la successiva entrata in vigore della legge 109/96. Tale normativa prevede la possibilità che i beni immobili oggetto di confisca possano essere trasferiti dall'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, al patrimonio del Comune in cui è presente l'immobile, in modo che l'ente pubblico territoriale, direttamente, o assegnando il bene in concessione a titolo gratuito ad enti, organizzazioni di volontariato o cooperative sociali, lo destini per il perseguimento di finalità istituzionali o sociali. Come si evince dalla norma in esame, l'utilizzo della parola “enti" in modo piuttosto generico, amplia il novero dei possibili destinatari dei beni confiscati, ricomprendendo anche gli stessi enti ecclesiastici.
Come non ricordare poi un'iniziativa lodevole promossa dalla Cei in tale settore, facente capo al progetto “Libera il bene. Dal bene confiscato al bene comune” realizzato grazie alla collaborazione con la rete Libera, dell'Ufficio nazionale per i problemi sociali, della Pastorale giovanile e della Caritas italiana. La Cei con tale progetto ha dimostrato un enorme balzo in avanti nella stessa percezione del fenomeno mafioso, che da locale (come di fatto veniva analizzato nel Documento del 2010) assume portata nazionale, e dunque non più di esclusiva pertinenza del Mezzogiorno. Il fine che ci si prefigge con tale progetto è quello di favorire la nascita di ulteriori modalità di gestione dei beni confiscati che possano ritornare utili per diverse iniziative nel sociale, soprattutto in favore di chi ha subito danneggiamenti e perdite a causa dell'azione intimidatoria delle cosche. L'ideale sarebbe quello di sostenere l'economia di un determinato territorio indebolito dalla presenza del “cancro sociale" delle mafie, oppure contrastare la dilagante disoccupazione giovanile, specie nelle aree interne di alcune regioni italiane. Molto eloquente in tal senso è il progetto “Costruire speranza" della Conferenza Episcopale Calabra, che intende riconvertire i beni confiscati alle mafie proprio per favorire tali processi di rinnovamento del tessuto sociale, anche attraverso la costruzione di oratori che possano rappresentare per i più giovani un luogo sano di aggregazione e di crescita.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il contrasto alle mafie e alla massoneria nel diritto ecclesiale

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Informazioni tesi

  Autore: Giuseppe Salomone
  Tipo: Laurea magistrale a ciclo unico
  Anno: 2021-22
  Università: Università Telematica "Giustino Fortunato"
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Paolo Palumbo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 139

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Parole chiave

mafia
criminalità organizzata
illuminati
massoneria
scomunica
infiltrazioni mafiose
lotta alla mafia
codice di diritto canonico
normative canoniche antimafia
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