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La percezione uditiva del sordo

Protesi acustica e IC

Quanti progressi sono stati fatti dal tempo dei faraoni, epoca in cui si metteva nell’orecchio del sordo di Ben, al quale si erano mescolati dell’ocra gialla ed una foglia dell’albero lam. Ippocrate affermava che i sordi sentono meglio quando il clima è caldo e secco che quando è freddo e umido. A Roma Galeno curava i sordi con delle gocce auricolari fatte di aceto, succo di cipolla oppure olio di noci. I druidi raccomandavano polvere di menhir finemente grattata. Oggi gli apparecchi hanno rimpiazzato vantaggiosamente gli unguenti e le altre alchimie, facilitando la captazione e la trasduzione dei segnali sonori, la loro amplificazione e trasmissione. Vediamo nel dettaglio tali ausili.
Il fine primario dell’amplificazione è di “raccordare” i suoni in ingresso con il residuo uditivo, cercando di: rendere sufficientemente intensi la voce di conversazione e i rumori ambientali, rendere il parlato il più “chiaro” possibile, evitare che i suoni forti siano fastidiosi o insopportabili. Nelle sordità profonde è spesso impossibile realizzare questi tre obiettivi ed è necessario operare un compromesso fra un’amplificazione che garantisca l’udibilità e un’amplificazione che, evitando il fastidio, garantisca una qualità percettiva accettabile e utilizzabile per l’intelligibilità del parlato.

La protesi acustica
Un ausilio utilizzato in caso di sordità è la protesi acustica. La protesizzazione si basa principalmente sul principio che tutti i sordi presentano dei residui uditivi sfruttabili e quindi utilizzabili ai fini protesici e riabilitativi. I risultati migliori si ottengono quando la protesi viene applicata molto presto e altrettanto presto si comincia con la rieducazione: questo perché il bambino ha la possibilità di ricevere stimoli uditivi fin da quando è piccolo. Una protesi acustica cattura e amplifica il suono: essenzialmente è l’evoluzione degli strumenti quali il “cornetto acustico”, utilizzato durante i secoli scorsi. Il microfono capta le onde sonore nell’ambiente circostante e le trasforma in variazioni di tensione elettrica, inviandole alla sezione amplificatrice dell’apparecchio acustico. Il fine primario dell’amplificazione è proprio quello di amplificare o modificare un segnale acustico ai fini della correzione di un deficit uditivo, cercando di rendere sufficientemente intensi la voce di conversazione e i rumori ambientali, rendere il parlato il più chiaro possibile, evitare che i suoni forti siano fastidiosi o insopportabili. Si cerca quindi di portare la soglia uditiva almeno a livello del parlato (60 dB). La protesi è composta essenzialmente da quattro elementi di base:

1. microfoni che catturano i suoni;
2. una batteria per alimentare la protesi;
3. un amplificatore per amplificare il segnale;
4. un altoparlante per inviare il suono amplificato all’orecchio.

Moltissime protesi ormai possiedono, oltre queste componenti di base tipiche per tutte le protesi, anche un processore digitale per la cancellazione del feedback (fischi) o per migliorare digitalmente la qualità del suono.
Vi sono tre tipi principali di apparecchi acustici: retroauricolare, endoauricolare e ad occhiale. La protesi retroauricolare è composta da più parti, una delle quali viene collocata sul retro del padiglione auricolare; il suono amplificato è convogliato da un tubicino trasparente a cui è collegato un adattatore fatto su misura, anch’esso trasparente. L’endoauricolare è un apparecchio acustico avente un guscio fatto su misura e viene inserito, più o meno profondamente, nel condotto uditivo esterno. Nelle protesi ad occhiale invece i circuiti sono inseriti all’interno di apposite aste di occhiali. L’amplificazione del segnale, all’interno della protesi, può avvenire attraverso tre tipi di circuito elettrico: analogico, programmabile, digitale. Gli amplificatori analogici consentono di regolare le caratteristiche di risposta dell’apparecchio in frequenza attraverso dei potenziometri che vengono tarati dall’audioprotesista con un piccolo cacciavite. In relazione agli amplificatori programmabili possiamo dire che le regolazioni sono memorizzate nei circuiti elettronici attraverso
il collegamento ad un computer. Gli amplificatori digitali, infine, digitalizzano i suoni in ingresso, i quali saranno successivamente elaborati dai circuiti dell’apparecchio.
Tipicamente la protesizzazione è un procedimento complesso, suddivisibile in quattro tempi:

1. diagnosi;
2. applicazione;
3. verifica;
4. validazione.

Il primo tempo comprende tutti gli accertamenti clinici e strumentali per definire la diagnosi di sordità. Il secondo tempo è essenzialmente tecnico, essendo eseguito dall’audioprotesista, e comprende la selezione della protesi, l’adattamento fisico all’orecchio e la regolazione individuale dell’ausilio. La regolazione richiede l’immissione di dati relativi alla sordità del paziente, grazie ai quali poi calcolare il guadagno protesico sulle varie frequenze in base alla perdita uditiva e regolare la protesi. Una volta iniziato il programma di riabilitazione, dovrebbero essere raccolti altri dati riguardo la soglia uditiva, usati per aggiustare al meglio la protesizzazione. Il terzo tempo della protesizzazione riguarda la verifica dell’efficienza del guadagno protesico. Per una validazione circa la regolazione protesica è necessario così un processo piuttosto lungo, per il quale è necessario il continuo trasferimento di informazioni fra il riabilitatore e l’audioprotesista.

L’impianto cocleare
L’impianto cocleare (IC) è un orecchio artificiale elettronico che si prefigge come obiettivo quello di ripristinare la percezione uditiva nel sordo profondo. Definito come “coclea artificiale”, è uno strumento che si sostituisce alla coclea patologica inviando direttamente al nervo acustico linguaggio e rumori ambientali; così facendo si comporta come una vera e propria coclea, che ha funzione di filtro acustico e di trasduzione del messaggio sonoro. La sua principale funzione è di riportare dunque la soglia uditiva del paziente, sordo profondo, nel campo spettrale del parlato. La soglia audiometrica in campo libero del paziente si collocherà nell’ambito dei 30-35 dB per tutto il range di frequenze dai 500 ai 4000 Hz e oltre.
Tale ausilio è costituito da due parti: la prima, esterna, il processore del linguaggio, che raccoglie i suoni dall’ambiente e li elabora per inviarli successivamente alla seconda parte, interna, ricevitore/stimolatore, che stimola elettricamente il nervo acustico. La porzione esterna viene collocata sul padiglione auricolare (microfono/processore del linguaggio retro auricolare/vano batterie) e si collega con una antenna alla porzione interna mediante accoppiamento magnetico transcutaneo. La porzione interna (ricevitore/stimolatore e array portaelettrodi) viene inserita nella coclea mediante intervento chirurgico. Il portaelettrodi si sostituisce dunque alle cellule ciliate in quanto ha in sé gli elettrodi che andranno ad appoggiarsi lungo la coclea, stimolando direttamente le cellule gangliari in prossimità del nervo acustico. Il funzionamento dell’IC quindi è il seguente: il microfono raccoglie i suoni dall’ambiente e li veicola al processore del linguaggio, retroauricolare o a scatola, che li elabora. Tramite l’antenna, accoppiata via magnete al ricevitore/stimolatore interno, essi vengono trasferiti, sottoforma di impulsi elettrici, all’array intracocleare che stimola le fibre intracocleari del nervo acustico. Il messaggio uditivo prosegue poi per la via uditiva centrale attraverso i centri superiori di elaborazione del messaggio sonoro. Nonostante l’obiettivo di questi due ausili sia lo stesso, ossia la percezione dei suoni, la differenza sostanziale tra protesi e impianto, oltre alla struttura dell’ausilio, è relativa alla funzione e alla modalità di trasmissione; la protesi è un amplificatore, l’IC sostituisce la coclea; inoltre la protesi trasmette il suono secondo la modalità aerea mentre l’IC trasforma il suono in segnali elettrici che giungono ai vari elettrodi posizionati lungo la coclea.
L’IC costituisce, quindi, un nuovo filtro cocleare che va a ricoprire il ruolo che non può essere svolto dalla coclea e consente dunque di percepire un sufficiente input uditivo, in modo che l’abilitazione uditiva dei centri superiori possa progredire in modo quanto più fisiologico possibile. Il suo successo e quindi la capacità di percepire l’input uditivo, dipenderà dal livello della percezione e dall’appropriata maturazione delle vie uditive centrali. Proprio in merito alla percezione dell’input un momento fondamentale è costituito dal mappaggio dell’IC, ossia la regolazione del processore che permette all’audioprotesista o al medico di stabilire la quantità di energia da trasmettere ad ogni elettrodo ed il volume di stimolazione. Si può decidere dunque, attraverso il mappaggio, di far arrivare suoni più o meno forti, in base alle risposte specifiche di ogni sordo.

Dopo aver analizzato questi due ausili, è lecito chiedersi secondo quali criteri sia meglio optare per l’apparecchio acustico oppure per l’IC. La persona che può effettuare una valutazione circa l’utilità della protesi acustica è il logopedista, attraverso un’attenta osservazione del bambino, tale valutazione prende in considerazione diversi fattori:
1) età;
2) tipo di risposta agli stimoli sonori e verbali;
3) campo frequenziale d’appartenenza dei suoni e delle parole erogati ai quali risponde;
4) qualità della voce;
5) elementi prosodici della voce;
6) produzione vocalica, fonemica e linguistica.

Analizziamo il primo elemento, ossia l’età. Il piccolo di pochi mesi di vita, al momento dell’applicazione corretta della protesi, manifesta sorpresa ai suoni che ode per la prima volta; il rieducatore, di conseguenza, enfatizza il momento della percezione, mostrando meraviglia e gioia e giocando con il piccolo alla percezione del suono. Se nonostante tale provvedimento non nota alcun miglioramento, le cause della mancata risposta potrebbero essere una incompleta mielinizzazione delle vie nervose, la presenza di turbe neuropsichiatriche, sordità totale. In caso di mancata risposta, il logopedista deve intensificare l’allenamento acustico con apparecchi idonei, tali da permettere al bambino di prendere coscienza del suono.
In relazione al secondo punto, bisogna osservare se la risposta del bambino è netta, risponde al primo stimolo o bisogna ripeterlo, risponde solo se si aumenta l’intensità dello stimolo, al richiamo si volta sempre.
Circa il terzo punto è fondamentale definire a quali frequenze il bambino ha una risposta e a quali non ne ha. Tramite il fonometro, un misuratore del livello di pressione acustica, è possibile valutare la gamma di frequenze udibili dal bambino e se riesce a percepire solo le frequenze vibratorie o anche quelle del parlato.
Il timbro della voce è la palese dimostrazione di come e quanto sente un bambino: voci detimbrate, con risonanze nasali o gutturali, ci dicono che il bambino non ha alcun feedback acustico, non è in grado di “sentire” la propria voce e quindi, non potendo controllarla, non è in grado di modificarla.

 
Anche la presenza di elementi prosodici della voce è molto importante; infatti la voce del bambino sordo profondo ben protesizzato e rieducato è sufficientemente ricca di armoniche. Lo stesso non si può dire in caso di voce monocorde di un piccolo di 12-18 mesi protesizzato precocemente: una tale situazione deve mettere in stato d’allarme il logopedista.
Un altro importante aspetto che ci permette di valutare la resa protesica è la produzione verbale. Dopo 4-5 mesi dall’applicazione della protesi, il bambino sordo inizia a sviluppare una buona lallazione composta di suoni vocalici e consonantici e, con il passare dei mesi, imita la melodia della lingua materna, abbozzando i primi suoni onomatopeici. Se questo non avviene, il logopedista deve chiedersi il perché.
In rapporto alle risposte che il bambino dà, il logopedista provvede a:
⁃ intensificare la stimolazione con musica, strumenti vati, frequenti richiami;
⁃ selezionare gli stimoli da erogare partendo dai gravi, più percepiti in caso di sordità (tamburi, timpani) per passare poi a strumenti a frequenze medie-acute;
⁃ incrementare l’esercizio con il solo canale acustico (bocca schermata), con parole e frasi.
Se il miglioramento non è netto il logopedista deve provvedere, dopo aver discusso con l’équipe, ad inviare il bambino a praticare i test di selezione per l’IC.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La percezione uditiva del sordo

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Informazioni tesi

  Autore: Rita Fabozzi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Roma Tor Vergata
  Facoltà: Scienze dell'Educazione
  Corso: Scienze dell'educazione e della formazione
  Relatore: Donatella Caramia
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 117

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