Attaccamento e relazione di coppia in un campione di pazienti con lesione spinale di origine traumatica

La maggior parte degli studi in letteratura ha esaminato le conseguenze della lesione spinale in una prospettiva medica, interessandosi alle difficoltà respiratorie, ai problemi circolatori e alla facilità con cui possono insorgere piaghe da decubito in questi pazienti, alla prevenzione e cura del dolore e ai problemi ortopedici, ai problemi vescicali oltre a quelli intestinali che ogni giorno affliggono i pazienti mielolesi.

Recentemente il focus dei ricercatori si è ampliato, grazie al progresso delle tecniche mediche e riabilitative: rispetto al passato, i pazienti con lesione spinale hanno una speranza di vita maggiore e, in seguito al decorso post-operatorio, si trovano ad affrontare la difficile situazione del reinserimento nel loro contesto familiare e sociale, accompagnata quasi sempre da un insieme di timori e sentimenti angosciosi per loro e i loro parenti (Gorla, 2010; North, 1999;).

La lesione spinale sia un evento sconvolgente ed improvviso, che porta a profondi cambiamenti oltre che a livello fisico anche a livello psichico-relazionale, già a partire dall’istante dell’incidente.
Fu Guttmann, neurologo e ideatore dell’attuale modello dell’Unità Spinale, a delineare per primo i due stadi che, di norma, succedono all’incidente traumatico (Guttmann, 1973): in una prima fase, o Stadio dello shock, i pazienti non si rendono conto della gravità della loro situazione e il pensiero appare offuscato.

Parte di questi effetti è dovuta anche alla somministrazione di farmaci come la morfina. Nello stadio successivo o Stadio di presa della coscienza, il paziente, lentamente, intuisce la propria condizione di disabilità. Durante questa prima fase (o Fase acuta) si è in totale dipendenza dalle cure mediche e infermieristiche; abitualmente emergono tendenze regressive e l’uso di difese estreme come il diniego.

Successivamente il paziente viene coinvolto attivamente nel processo riabilitativo e fisioterapico, ed è assistito nel processo di presa di coscienza delle proprie limitazioni fisiche; emergono ora la preoccupazione per le future difficoltà di adattamento al contesto sociale e lavorativo, oltre ad ansie legate alla sfera della sessualità che possono portare a tendenze depressive, crisi di disperazione e in alcuni casi ad acting-out suicidari (Beedie, Kennedy, 2002; Kreuter et al., 1996; North, 1999; Siösteen et al., 1990).

L’intervento psicologico dovrebbe essere attuato proprio durante questa seconda fase, non appena la persona inizia a prendere atto della propria situazione, coinvolgendo oltre allo psicologo, tutto lo staff del reparto (Gorla, 2010; Menarini, 2005). Dev’essere prestata attenzione anche ai familiari del paziente, aiutandoli ad entrare in contatto con il loro congiunto in modo attento e sostenendoli durante il processo riabilitativo.