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La violenza come espressione delle relazioni infantili. Un’analisi sistematica dal punto di vista dell’antropologia psicologica

Quali disturbi si manifestano in soggetti vittima di violenza e maltrattamenti?

Se inizialmente la vittimologia si occupava delle caratteristiche psicologiche della vittima e della sua relazione con il reo, recentemente si è ampliato il raggio di indagine anche a tutti quei disturbi psicologici, sociali ed economici subiti dalle vittime. In generale ciò che una vittima subisce a livello psicologico, indipendentemente dal tipo di danno, è definito trauma psichico. Con questo costrutto viene designata una situazione in cui l’individuo subisce danni alla propria organizzazione del sé a causa di un senso di impotenza appresa derivante dalla mancanza di previsione dell’evento e di conseguenza di un suo fronteggiamento.
Un tratto distintivo di tutti i traumi derivanti da maltrattamenti, violenza ed abusi è l’assenza di modulazione affettiva reciproca causata dalla dissociazione tra carnefice e vittima. Il primo è incapace di provare empatia nei confronti della vittima, utilizzandola per proiettare i propri contenuti inaccettabili, al contrario la vittima si sottomette al carnefice per evitare lo sviluppo di sensazioni ed emozioni inaccettabili, scindendo ed identificandosi con il proprio aggressore (B. Bonfiglio, 2010, p. 11-12).
All’interno della letteratura scientifica manca una classificazione univoca del concetto di trauma. Questa mancanza è attribuibile alla connessione tra le caratteristiche del trauma (natura, intensità e frequenza) e la sensibilità individuale e soggettiva del singolo: ciò che può essere considerata un’esperienza traumatica per un individuo potrebbe non essere percepita allo stesso modo da un altro.

Tra le varie classificazioni presenti nella letteratura scientifica, troviamo quella di Lenore Terr secondo cui le esperienze traumatiche sono suddivisibili in due tipologie:
• tipo 1: con cui fa riferimento agli episodi traumatici causati da fenomeni inaspettati e circoscritti, come le catastrofi naturali, e che non sembrano produrre problematiche nella personalità dell’individuo.
• tipo 2: risultanti da ripetute e prolungate esposizioni a circostanze estreme, come l’abuso infantile protratto negli anni, e che sembrerebbero invece provocare disturbi di personalità.

Un’altra modalità di classificazione delle esperienze traumatiche riguarda la distinzione tra traumi singoli e traumi multipli. Questi ultimi implicano la concomitanza di diversi traumi e/o la loro ripetizione prolungata nel tempo. Queste esperienze possono essere suddivise in due categorie: i grandi traumi, che spesso conducono alla diagnosi di PTSD (Disturbo da Stress Post-Traumatico), e i piccoli traumi, rappresentati da esperienze traumatiche di minore entità che tendono ad avere un carattere cronico e che si verificano comunemente durante l’infanzia, nell’ambito della relazione con la figura che si prende cura del bambino (Antonella Montano, 2019, p. 16).

In questo contesto ci concentreremo su tutti quei fenomeni traumatici a cui solitamente si affianca lo sviluppo di un disturbo post-traumatico da stress. Queste includono abusi e molestie sessuali, violenza assistita e/o domestica, aggressioni, abusi emotivi o maltrattamenti psicologici, la trascuratezza fisica, medico- sanitaria, educativa ed emotiva. Spesso, a seguito di tali eventi traumatici, si può manifestare una sintomatologia post-traumatica che varia da individuo a individuo e che può portare allo sviluppo di un disturbo psicologico. In particolare, nei casi di eventi traumatici durante il periodo di sviluppo, si possono sviluppare disturbi della personalità, ovvero «[…] esagerazioni o distorsioni di tratti sottostanti, al punto che il comportamento che ne consegue diventa rigido e disadattivo» (Lingiardi, 1996, p. 112).

Tra i disturbi di personalità correlati maggiormente alle esperienze traumatiche, troviamo il disturbo borderline di personalità, il disturbo evitante di personalità, DEP e FSG ed infine il disturbo narcisistico di personalità.
Tra le psicopatologie che si sviluppano frequentemente a seguito di eventi traumatici, troviamo i disturbi correlati ad eventi traumatici e stressanti, al cui interno si inserisce il disturbo da stress post-traumatico (DSPT).
Individui affetti da Disturbo da Stress Post-Traumatico (DSPT) possono manifestare diverse variabili. In alcuni casi prevalgono i flashback dell’evento traumatico accompagnati da intense reazioni emotive, come paura e/o orrore. In altri individui, possono emergere prevalentemente pensieri negativi e/o disforici, mentre altri ancora possono sperimentare sintomi dissociativi.
Affinché venga effettuata una diagnosi di Disturbo da Stress Post-Traumatico è necessario che, oltre all’esperienza traumatica vissuta dal soggetto, si manifesti una sintomatologia precisa che includa:
• un processo di risperimentazione dell’evento traumatico attraverso alcune manifestazioni all’interno della quale rientrano i sogni, incubi, ricordi e pensieri intrusivi caratterizzati da elementi emotivi e/o fisiologiche e stati dissociativi (American Psichiatric Association, 2014, p. 314-319).
• Il soggetto mostra una tendenza ad evitare qualsiasi cosa possa richiamare alla mente l’evento traumatico (American Psichiatric Association, 2014, p. 314- 319).
• Un aumento dell’attivazione fisiologica: la persona colpita da questo disturbo si sente spesso in pericolo, come se la situazione traumatica non fosse mai terminata. Questo aumento dell’arousal può manifestarsi in vari modi, dal sobbalzo in risposta a specifici stimoli che ricordano l’evento traumatico, fino ad esplosioni di rabbia anche in assenza di provocazioni, rivolte sia verso gli altri che verso se stessi (American Psichiatric Association, 2014, p. 314-319).

Il DSM-5 (2014) identifica come cause determinanti del disturbo da stress post- traumatico (criterio A) l’esposizione a morte reale o minacciata, gravi lesioni e l’esperienza di violenza in senso ampio (sessuale, fisica, psicologica). È importante notare come, affinché si sviluppi il disturbo, il soggetto non necessariamente deve aver vissuto l’evento direttamente; rientrano nel criterio A anche coloro che hanno assistito a episodi violenti inflitti su altri soggetti. Inoltre, l’esposizione
prolungata a eventi traumatici nel tempo, può condurre allo sviluppo di una sintomatologia più ampia, nota come PTSD complesso.
Tra i vari modelli teorici che hanno cercato di interpretare il disturbo da stress post-traumatico, troviamo il modello bifattoriale del condizionamento proposto da Mower. Secondo questo modello la paura viene generata da meccanismi di condizionamento classico, creando un’emozione così intensa da portare il soggetto ad evitare qualsiasi situazione che possa ricordargliela. Questi meccanismi, a loro volta, rafforzano l’evitamento delle situazioni specifiche e tale comportamento viene rinforzato dalla riduzione della paura associata al non trovarsi in presenza dello stimolo condizionato, come ad esempio un particolare oggetto o evento (Ann M. Kring, 2017, p. 215).
La gravità del disturbo da stress post-traumatico (PTSD) è influenzata sia dalla gravità del trauma subito che dalla sua natura. Il trattamento tipico del PTSD comprende l’uso di farmaci, come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), in combinazione con la terapia psicologica. Quest’ultima implica spesso l’esposizione del soggetto a situazioni o stimoli legati al trauma, consentendogli di affrontare l’esperienza e ridurre i sintomi. Se possibile il soggetto viene guidato a rivivere l’evento traumatico direttamente, altrimenti si può ricorrere all’immaginazione. In aggiunta a questi approcci, alcune strategie, come la rielaborazione cognitiva, sono risultate efficaci nel contrastare i sentimenti di colpa ed i sintomi dissociativi nei soggetti affetti da PTSD (Ann M. Kring, 2017, p. 218-219).

Di frequente, in seguito ad un evento traumatico, l’individuo utilizza la dissociazione come meccanismo di difesa, cercando di allontanare dalla coscienza i ricordi, le emozioni e le esperienze dolorose, percependo un’illusione di controllo che in realtà è inesistente. I disturbi dissociativi sono frequentemente associati ad esperienze stressanti per il soggetto che «esperisce una perdita di continuità nella normale integrazione dei vari aspetti della coscienza – ovvero perde il senso di sé, della propria identità e memoria» (Anna M.Kring, 2017, p. 224).
Le difese dissociative assolvono dunque due funzioni: aiutare la vittima a distaccarsi dall’evento traumatico mentre si verifica e posticipare l’elaborazione dell’evento. Questi meccanismi generano una compartimentalizzazione dell’esperienza traumatica in modo da renderla più accessibile alla coscienza, come se il trauma non si fosse realmente verificato. Evidenza empirica che esemplifica la forte correlazione tra dissociazione e trauma infantile è quella di Brodsky che mostra come i soggetti vittime di abusi sessuali e/o fisici durante l’infanzia, riportavano altissimi livelli patologici di dissociazione (Gabbard, 2015, p. 285).

Il DSM-5 (2014) distingue tre tipologie di disturbi dissociativi: il disturbo di depersonalizzazione, l’amnesia dissociativa ed il disturbo dissociativo dell’identità. La depersonalizzazione comporta un distacco della persona dall’ambiente circostante e da se stessa; l’amnesia dissociativa ed il disturbo dissociativo dell’identità, implicano invece una condizione nel quale la persona non ha più accesso a determinate parti della sua memoria. Nell’amnesia dissociativa la perdita di determinati ricordi è connessa solitamente ad eventi traumatici. Tra le diverse prospettive teoriche che cercano di comprenderne la base, troviamo gli approcci psicodinamici, secondo cui l’evento traumatico verrebbe rimosso, e l’approccio cognitivo che contesta l’ipotesi della rimozione attraverso diverse evidenze empiriche (Anna M.Kring, 2017, p. 227).
Nonostante anche il disturbo dissociativo di identità presenti la perdita dei ricordi, un’altra delle sue caratteristiche principale è la presenza di almeno due identità nello stesso individuo che determinano, in base alle proprie differenze, i pensieri ed azioni del soggetto. Le spiegazioni alla base del disturbo si rifanno a due teorie: il modello post-traumatico, secondo il quale la dissociazione potrebbe svilupparsi come strategia di coping rispetto all’evento traumatico, ed il modello socio- cognitivo, secondo cui le esperienze di abusi genererebbero nella persona una richiesta di spiegazione in riferimento alla sofferenza provata, portando allo sviluppo di identità alternative in risposta alle suggestioni del terapeuta e delle influenze socio-culturali (Anna M.Kring, 2017, p. 230-231).

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La violenza come espressione delle relazioni infantili. Un’analisi sistematica dal punto di vista dell’antropologia psicologica

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Informazioni tesi

  Autore: Giada Calvaruso
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2022-23
  Università: Università Telematica Internazionale Uninettuno
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Scienze e tecniche psicologiche
  Relatore: Michele G. Bianchi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 97

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