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Una lettura metaforica della realtà aziendale tra i vizi capitali dei manager

Quando l’avarizia si manifesta nel manager

Le metodologie usate dal manager avaro per la coordinazione del lavoro sono quelle del comando e del rigoroso controllo, che si fondano sulla poca interazione a livello decisionale e all’imposizione di scelte a carattere individuale del manager, per la particolare fatica nel condividere tipica del vizio. I collaboratori sono ritenuti come semplice fattore esecutivo, senza nessun tipo di voce in capitolo. Ogni stakeholder dell’azienda è trattato esclusivamente in via contrattuale, non esistono i concetti di fiducia, di relazioni, di logica di gruppo. In questo tipo di imprese è inammissibile parlare di innovazione, perché lo status quo è la certezza su cui si basa ogni decisione. Il manager che presta il proprio lavoro in un’azienda che ha uno stampo così marcatamente autoritario è tendenzialmente un individuo che commette peccato di avarizia, in quanto ama l’idea di poter accentrare su di sé ogni responsabilità decisionale e non riesce a delegare nessuna attività ai propri collaboratori, per quanto capaci e fedeli essi possano essere.
L’avarizia si esplicita nei casi in cui si presenta l’occasione per implementare delle nuove tecnologie, dei miglioramenti o dei cambiamenti che andrebbero ad incidere notevolmente sul risultato aziendale: il manager, pur di non cambiare lo stato attuale delle cose, è disposto anche a rinunciare a dei profitti o a dei notevoli vantaggi competitivi. Il rischio è senza dubbio l’acerrimo nemico dell’avarizia manageriale, da evitare in ogni situazione in cui è possibile. Per quanto sia razionalmente probabile che un investimento si possa trasformare in un miglioramento, l’executive avaro si concentra sulla minima possibilità di poter perdere qualcosa. Egli infatti si riserva di attuare delle modifiche in modo lento e graduale, evitando a priori l’idea di un cambiamento radicale, che è fuori da ogni logica di sicurezza. Per un manager che commette il peccato di avarizia, ciò che conta veramente sono solo gli elementi tangibili iscritti a bilancio: in questo aspetto in particolare egli rivela di non adeguarsi alla situazione generale, in cui la gestione della relazione, del benessere organizzativo e della logica del Customer Relationship Management sono alla base della mera sopravvivenza (non del successo) di un’azienda. Queste caratteristiche sono fondamentali, nell’evoluzione del mercato e della cultura della società attuale; andare in controtendenza, rievocando un modello organizzativo che è superato già da parecchio, porta direttamente alla disfatta.
Il manager avaro non prende decisioni con creatività, nell’ottica di distinguersi dal competitor, ma al contrario si conforma a quelle che sono le scelte più classiche e ovviamente meno rischiose. La salvezza per lui è da cercare nei mercati di massa, nell’efficacia dei costi, nell’economia di scala. L’attaccamento al proprio ruolo fa del manager avaro un soggetto che basa sulle proprie individuali esperienze pregresse il precedente per le successive: come si vedrà per il vizio della superbia, tale comportamento si può rivelare fallimentare, perché ogni contingenza ha la propria particolarità. La novità è rischio, ed il rischio lo destabilizza.
Il non osare del manager avaro è però rischioso per l’azienda che, pur avendo delle potenzialità di crescita elevate, si vede privare della possibilità di metterle a frutto.
[…]
Il manager che pecca di avarizia non riesce a rinunciare di accentrare il potere decisionale sulla sua persona, e tantomeno è in grado di delegare nessuna attività centrale per il proprio ruolo. La gerarchia che egli ama è un’arma a doppio taglio, perché non gli permette di affidarsi alla possibilità di aiuto da parte dei collaboratori, che vengono esclusi a priori nel processo decisionale e si demotivano, riducendo la loro produttività.
[…]
L’avarizia si può esprimere anche come un ritorno ai valori del passato per affrontare più solidamente il presente ed il futuro. Rivelare un attaccamento alle proprie origini può essere fonte di rilancio e di nuovi stimoli per un’intera organizzazione.
[…]
In realtà è proprio la fragilità delle fondamenta ideologiche delle organizzazioni di oggi che costituisce il problema più forte per il manager. Nel momento in cui egli capisce che il passato è un punto di forza sul quale insistere per affrontare il presente, tutti gli altri problemi si semplificano e convogliano in un ridimensionamento, e il vizio dell’avarizia si esprime nella sua forma positiva.
[…]
Il vizio dell’avarizia rappresenta quindi anche la sana gestione delle proprie risorse, è la capacità di guardare al futuro con l’obiettivo di crearsi una sicurezza, senza dubbio anche materiale, comportandosi in maniera saggia. In qualità di virtù, l’avarizia costituisce una forma di oculatezza, di parsimonia, che risalta in particolare per la contrapposizione alla smania del consumismo dilagante negli ultimi anni. Scegliere di accumulare significa vivere il presente con meno, ma soprattutto in modo più semplice, in una sorta di ritorno ai valori del passato, che radica delle certezze che permettono di affrontare solidamente sia il presente che il futuro. Nella contingenza che si sta verificando attualmente, caratterizzata da un vuoto valoriale che disorienta, il ritorno al passato e alle radici costituisce un buon antidoto per scacciare l’angoscia dell’instabilità, a cui il manager di oggi è costretto.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Una lettura metaforica della realtà aziendale tra i vizi capitali dei manager

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Informazioni tesi

  Autore: Francesca Bidoggia
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Verona
  Facoltà: Economia
  Corso: Marketing e Comunicazione
  Relatore: Angelo Bonfanti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 185

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