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Rai, dal regio decreto alla rivoluzione del sistema televisivo

Rai e politica, un binomio indissolubile?

"Senza la televisione Nixon non sarebbe stato eletto vicepresidente nel 1952; senza la televisione non sarebbe stato battuto da Kennedy nella corsa alla Casa Bianca nel 1960."

Partiamo da questo assunto per capire quanto televisione e politica da sempre sono collegate. E non solo, come in questo caso la televisione ha condizionato la politica, ma sempre più spesso e in quasi tutti i servizi pubblici europei la politica condiziona la televisione. Dal secondo dopoguerra in avanti, il sistema politico e quello dei media cominciano a interagire e a condizionarsi reciprocamente, soprattutto nei paesi che hanno scelto la democrazia come scelta di libertà. L'opinione pubblica intesa come "sfera pubblica" o "spazio pubblico", così come lo definisce Hebermans, acquista un peso crescente. Il dialogo-dibattito fra cittadini e classe politica è il tratto che caratterizza la comunicazione entro le regole della democrazia. Il popolo ha accesso a questioni d'interesse comune, composto da gruppi sociali con un'identità comune e ha la possibilità di esercitare un'influenza nei confronti dello Stato e dei mass-media. Raggiungere un pubblico così vasto, e nello stesso tempo così eterogeneo, non è un'impresa facile: il meccanismo attraverso cui si costruisce l'immagine di un partito o di un uomo politico e già in auge negli anni venti – trenta e segue immancabilmente le fasi che presiedono al lancio di un prodotto, di una marca, di un'azienda. La televisione rivoluziona gli usi e i costumi della società e della politica, perché mette in scena una realtà che fino ad allora non era stata né visibile né udibile. Il popolo italiano, in piena ricostruzione economica, vuole essere informato e divertito, mentre il governo considera la televisione come un mezzo principale per educare la nazione.

Come ci dice Ernesto Rossi:
"I servizi radiotelevisivi sono di valido aiuto per il miglior funzionamento delle istituzioni democratiche se sono gestiti come servizi pubblici complementari della scuola e della stampa d'informazione, per sviluppare lo spirito critico, per diffondere la cultura e per informare obiettivamente e imparzialmente su quanto accade nel mondo. Ma se vengono affidati, in condizioni di assoluto monopolio, ad una società di proprietà statale, in cui i dirigenti sono nominati dal governo, questi stessi servizi possono diventare il più pericoloso fra tutti i diabolici strumenti che il progresso tecnico ha finora messo nelle mani dei governanti, per rimbecillire i cittadini e renderli succubi ai loro voleri."

Questa definizione è molto forte ma ci fa capire il potere che può assumere la politica per mezzo della televisione, e l'interesse che la stessa ha nel dominarla.

Durante l'avvento della televisione l'Italia è impegnata a fare ben altro, qualcosa di molto più importante. Sono gli anni in cui si vara la Costituzione, tanto che nelle edizioni del 1948, 1953 e 1958 non si menziona il servizio pubblico. È solo dopo le elezioni del 1958, che vedono ancora una volta trionfare la Democrazia Cristiana, con l'avvento di Fanfani al governo a guida della maggioranza composta da DC e Psdi, che la questione di accesso a tutti i partiti alla Rai si ripropone con forza. Tanto da far esprimere la neonata Corte Costituzionale che, nel 1960, si pronuncia nel merito: Lo stato monopolista di un servizio destinato alla diffusione del pensiero ha l'obbligo di assicurare in condizione di imparzialità e obiettività la possibilità potenziale di goderne (…) a chi sia interessato ad avvalersene per la diffusione del pensiero (Cfr. Corte Costituzionale, sentenza 6 luglio 1960, n.59). Durante il terzo governo Fanfani, viene promossa la nascita di "Tribuna Elettorale", uno spazio concesso a tutti i politici sulla rete nazionale dopo il giornale della sera.

Molto anni prima dell'arrivo della par condicio, la Rai decide di trasmettere una serie di conferenze-stampa e di conversazioni di ugual durata per tutti i partiti che hanno una rappresentanza in parlamento.

Per avere un'idea dell'influenza che la televisione va via via conquistando, fra la fine degli anni cinquanta e l'inizio degli anni sessanta, basti pensare che alla fine del 1963 ben due terzi della popolazione italiana, circa 25 milioni di cittadini, seguono programmi televisivi almeno una volta a settimana, mentre nella media giornaliera i telespettatori superano i 14 milioni.

È il pubblico il vero protagonista di questa sorta di "rivoluzione mediale", una svolta che troverà il suo massimo compimento dopo il 1975.

Per capire come cambia la strategia radiotelevisiva in un periodo che potremmo definire cruciale per la storia italiana del secondo dopoguerra, bisogna capire come cambia il telespettatore. L'offerta, infatti, si razionalizza alla ricerca di uno speciale rapporto con l'audience. Nelle caratteristiche del pubblico del periodo, che precede la riforma della Rai del 1975, si intravede una tendenza all'aumento: si passa da poco più di 2 milioni del 1962 a 14 nel 1966, fino ai 20 milioni del 1970, con un allargamento della fascia serale che interessa progressivamente la fascia che precede il telegiornale e quella successiva, il cosiddetto prime time. Anche la composizione del pubblico si trasforma; mentre negli anni cinquanta, le classi medie e medio-alte rappresentano l'asse portante del progresso di espansione, a partire dagli anni settanta, gli standard scolastico-culturali si abbassano. Non si tratta di strati culturali bassi ma di nuovi gruppi come donne e bambini. Nel 1973 si configura un nuovo assetto della pubblicità televisiva, dopo gli accordi raggiunti con l'associazione degli utenti di pubblicità, l'UPA. Fino ad allora la Rai, aveva mantenuto il tempo destinato agli spot al di sotto del limite del 5 per cento del totale delle ore previsto dalla concessione del 1952; in conseguenza di questa politica restrittiva si era creato uno squilibrio fra la notevole domanda di pubblicità e la scarsa possibilità di soddisfarla, dati i limiti degli spazi disponibili. Fino al 1977 l'unico spazio un po' più ampio è costituito da "Carosello".

La legge di riforma della Rai viene approvata il 14 aprile del 1975. La legge si muove in ottica di garanzia, che consente a tutti i soggetti politici e sociali di essere in qualche modo rappresentati all'interno dell'ente. L'obiettivo di fondo non sarà mantenuto e si tramuterà in una spartizione, da parte dei partiti, dell'intera programmazione e informazione radiotelevisiva.

Negli anni ottanta si decidono le sorti del sistema radiotelevisivo italiano. Oltre a Canale 5 e altre due reti private, Italia 1 e Retequattro iniziano a scardinare il monopolio pubblico nazionale. Bisogna per questo correre ai ripari.

Il mercato televisivo va verso la saturazione e porta con sé un'organizzazione e ricomposizione di pubblico. Siamo alle soglie di una società multimediale, dove cinema, radio, televisione e stampa si incrociano e si influenzano reciprocamente creando una pluralità di pubblici con stili di vita e di consumo completamente diversi. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Rai, dal regio decreto alla rivoluzione del sistema televisivo

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Informazioni tesi

  Autore: Catena Maria Luisa Iannì
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2013-14
  Università: Università Telematica Internazionale Uninettuno
  Facoltà: Scienze della Comunicazione
  Corso: Comunicazione Media e Pubblicità
  Relatore: Giuseppe Feyles
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 103

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il caso di ard: come si muove la germania
reggio decreto n.1067/1923
il caso bbc: nessuna pubblicità in presenza di can

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