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Günther Anders e il problema della tecnica. Dal dislivello prometeico all'intelligenza artificiale

Rapporto e discrepanza tra l’uomo e la macchina

Per sfuggire a questa infelicità l’uomo cerca di rimediare adeguandosi fisicamente alle macchine: l’esempio che fa Anders è quello dello Human Engineering: il tentativo di una imitatio instrumentorum, una riforma di se stesso, per migliorarsi tanto da ridurre al minimo l’auto-degradazione e l’auto-sabotaggio che egli opera.
Egli inizia a sottoporsi mediante auto-metamorfosi. Si sottopone a situazioni estreme ed innaturali per studiare se stesso e per trovare dei punti deboli che consentano di essere adattati alle esigenze degli apparecchi.
Allo Human Engineering interessa vedere quali sollecitazioni anomale e innaturali l’uomo sia in grado di sopportare, quali soglie potrebbero essere modificate.
L’uomo, con questa ingegneria, si “trascende sempre di più32”, passando in una sfera che non è più naturale e che caratterizza il regno dell’ibrido e dell’artificio.
Lo scopo di questo è spogliare l’uomo dell’ottusità di cui è dotato a causa della sua natura, riducendo così la condizione di inferiorità e la sua umiliante e vergognosa infelicità.
Da questo esperimento ciò che capiamo è che è sempre la macchina che esige, che stabilisce cosa deve divenire l’uomo.
Anche l’esigenza morale, dice l’autore, si è trasferita dall’uomo alla macchina: il compito dell’uomo si limita a far funzionare le macchine per farle diventare “quelle che sono”.
È qui che Anders riprende ciò che ad oggi è cambiato rispetto alle generazioni precedenti. Mentre prima le attitudini dell’uomo erano intoccabili così come i loro valori dell’unicità e dell’insostituibilità rispetto alla macchina, oggi è diverso. L’uomo ha il dovere di favorire le attitudini della macchina e soffocarle è un’azione immorale.
L’uomo di oggi perde il punto di vista valoriale che aveva su di sé e legge se stesso con i criteri di giudizio che erano attribuiti al mondo delle cose.
L’uomo si trasforma in homo materia. E da questo passaggio da homo faber a homo materia che sta il suo declino, il declino della condizione umana.
Gli esperimenti dello Human Engineering sono i riti di iniziazione dell’epoca dei Robot.

Qui Anders parla della disumanizzazione, degradazione e privazione della libertà umana: il fatto che il fabbricatore diventasse strumento dei propri mezzi di produzione era ciò che spaventava la generazione precedente, ciò che era temuto; ad oggi invece queste nozioni sono divenute inoffensive.
L’uomo odierno pensa che la disgrazia stia nel suo non poter essere utilizzato, nel fatto che la sua usabilità sia limitatamente segnata. Lo sforzo dell’uomo è divenuto quello di portare a termine la sua riduzione alla passività per arrivare alla sua usabilità totale, la sua totale disumanizzazione.
Il problema qui è che chi è soggetto a questa “ingegneria applicata all’uomo” come dice l’autore, non vede niente di disumanizzante o inammissibile dal punto di vista morale, anzi è quanto egli brama. Essere macchina sembra essere il suo compito.
Quanto accade può essere racchiuso nella formula: “La disumanizzazione non spaventa il disumanizzato perché non è di sua competenza33”.
La domanda “che ne sarà dell’uomo in quanto uomo” non solo non lo turba più ma non lo riguarda nemmeno, dato che non fa parte del suo compito specializzato: non solo abbiamo subito un rivolgimento prometeico, accompagnato da un raffreddamento morale, stiamo bene nella nostra passività, ma siamo ignari di ciò che sta capitando, non sentiamo più, “Io non mi accorgo del mostruoso34.
Se l’uomo cambia percezione su di sé è perché si sente inadeguato ed inferiore rispetto a ciò che ha prodotto ed è questo che fa crescere in sé l’ambizione di sostituire l’immagine umana con l’efficienza e con l’essere mera cosa, che determina il tentativo tracotante di trasmutarci in esseri conformi a macchine, l’esperienza del mostruoso.
Il problema che ne scaturisce è sicuramente il fatto che si rischia di perdere l’idea di uomo.
Il rischio di questa metamorfosi dell’anima umana non è nell’asserire la positività di ciò che può essere utilizzato, ma l’attribuire tutto il valore esistente e il senso a ciò che può essere utilizzato, l’utilità diviene condizione esaustiva del valore dell’essere umano.
Questo atteggiamento passivo, il fatto che rinunciamo ad assumere noi stessi come unità di misura, ambendo alla reificazione e alla nostra trasmutazione in macchine, limitando la nostra libertà o rinunciandoci del tutto, è qualcosa di radicalmente nuovo ed inedito, a giudizio del filosofo.
Mai prima d’ora l’uomo aveva rifiutato totalmente il suo essere, mai aveva rinunciato a se stesso così radicalmente come dimostrato con l’operazione dello Human Engineering.
Il filosofo descrive questo atteggiamento umano come arrogante auto degradazione, superba manomissione e umiltà fatta di ὕβϱις: “non soltanto si arroga la superba manomissione dell’uomo, ma la inventa ex novo… la manomissione compiuta dall’uomo odierno è un novum che non gli capiterebbe mai in sé, è un torto che non gli verrebbe mai inflitto dall’alto’. Alle offese che deve aspettarsi dalle forze maggiori ne aggiunge un’altra, quella prodotta dall’autoriduzione a cosa35.
La reificazione è il motivo principale della vergogna prometeica ma solo quello principale in quanto ricorda il filosofo, le deficienze di cui si vergogna sono molteplici. L’uomo è, difatti, riproducibile: è mortale, unico ed insostituibile. A nessuno di noi è permesso di esistere in più esemplari e a nessuno di noi è concessa la possibilità di sopravvivere in forma di un nuovo esemplare.
Il fatto che noi ci sentiamo inferiori ai nostri prodotti, sebbene li produciamo, la nostra natura diversa da quella dei nostri congegni tecnici, essere qualcosa di diverso dal non- fatto, non essere un prodotto della stessa nostra creazione, la produzione umana è l’oggetto di ciò che l’autore chiama “il malaise dell’unicità36”.
L’insostituibilità che lo rende unico è concepita come un difetto di cui vergognarsi e di cui può liberarsi soltanto riducendosi a mera cosa: vuole farsi immortale e riproducibile in quanto questo sentimento si lega alla paura della morte. È esclusa per lui la possibilità di sottrarsi alla morte in quanto unico e deperibile, a differenza dei prodotti da lui stesso creati.

L’uomo tenta di sfuggire dall’unicità mediante l’iconomania: la mania che l’uomo ha delle immagini. Il mondo degli uomini è come un recipiente di immagini. Secondo Anders, un mondo senza immagini sarebbe un mondo vuoto.
Anche se l’uomo vive nell’originale, egli esiste anche nelle sue copie: mediante la produzione di immagini l’uomo è in grado di smentire la sua unicità, tuttavia la nostra moltiplicazione per mezzo di immagini è soltanto un artificio; a differenza dei nostri prodotti riproducibili in serie, la vergogna dell’uomo non si oblitera del tutto.
Dopo questa analisi approfondita sui sintomi della vergogna prometeica Anders arriva alla conclusione del fatto che se si ricorre alla macchina, vi sono due ordini di cose che vengono a cadere, che non contano più: 1) La competenza dell’uomo di decifrare da sé i suoi problemi in quanto la capacità di calcolare dell’uomo è nulla rispetto a quella della macchina; 2) l’uomo rispetto alla macchina è privo di logica computazionale, di risoluzione dei problemi, di equivalenti capacità di calcolo.
L’uomo è limitato rispetto alla macchina, difatti cadono molti problemi che non possono essere calcolabili di per sé; dunque, si rinuncia a priori alle domande morali37: se un problema non è traducibile, non è calcolabile, come nel caso dei problemi morali, vi si rinuncia a priori.
Ciò che prima era calcolabile ci sfugge di mano, non riusciamo a tenere sotto controllo gli esiti delle nostre azioni, agiamo ma siamo un segmento in un mondo ipernutrito di fantasmi, il mondo tecnico è esorbitante rispetto alla fantasia, alle nostre emozioni e alla nostra responsabilità.
Il tema della responsabilità è centrale nella speculazione teorica del filosofo e lo ritroviamo in più luoghi della sua opera principale, rilevante è l’esempio del gobbo che si vergogna della sua gobba e se ne vergogna perché i suoi sforzi rimangono vani, perché non ne è responsabile, perché non può farci niente: si vergogna della sua impotenza di fronte ad una condizione che non ha scelto lui, rispetto alla quale non è libero. “Ciò di cui non sono responsabile è appunto ciò di cui non rispondo: ossia quel che è sottratto alla mia libertà, che rientra nella sfera del fato, di ciò che è fatale… nella sfera della “impotenza” in senso più lato”38.

L’esigenza di libertà è limitata: l’individuo non vuole essere solo parzialmente libero ma assolutamente libero; questa pretesa individuale è patologica, in quanto arriva un momento in cui l’io scopre di essere anche altro da sé, perché è capace di un’attività autoriflessiva che lo porta momentaneamente “fuori da sé”. Si tratta di un atto riflessivo di identificazione che tuttavia fallisce perché l’io, allo stesso tempo, si identifica e non si identifica con se stesso: l’io si guarda con distacco pur non potendo uscire da sé.
La formula “voler sprofondare dalla vergogna”, secondo Anders, descrive perfettamente questa condizione in quanto la vergogna porta con sé colui che si vergogna, la via d’uscita da essa è il disfattismo, lo sprofondare insieme e il rendersi invisibili.
Nell’età della tecnologia contemporanea, sembra allora che l’io trovi se stesso non in quanto io, ma nella funzione di macchina, nell’attività meccanica, nell’essere parte di una macchina.
È qui che Anders fa riferimento al totalitarismo tecnocratico ovvero il pericolo che l’uomo venga schiacciato dalla dimensione artificiale. Se questa sarà la conclusione, si parlerà di dominazione tecnica, dove il potere è della macchina, della tecnica che ormai inghiotte tutto e incorpora in sé anche l’uomo.




32 Ivi, p. 44.
33 Ivi, p.47.
34 Questo è il tema della cecità che torna continuamente nell’elaborazione filosofica di Anders: cfr. Noi figli di Eichmann, cit., p. 45 e ss.
35 Cfr. G. Anders, L’uomo è antiquato, vol. I, cit. p. 53.
36 Ivi, p. 45.
37 Ivi, p. 65.
38 Cfr. G. Anders, L’uomo è antiquato, vol. I, cit., p. 71 e ss.

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Günther Anders e il problema della tecnica. Dal dislivello prometeico all'intelligenza artificiale

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Informazioni tesi

  Autore: Noemi Bova
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2022-23
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Scienze filosofiche
  Corso: Etica delle professioni
  Relatore: Serena Vantin
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 124

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