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Non sento il battito... il lutto perinatale e il racconto di sé

Rappresentazioni mentali dei genitori e attaccamento durante la gravidanza

La maternità è un processo creativo complesso che si inserisce all’interno dello sviluppo della personalità femminile. È un evento biologico, sociale fondamentale, patrimonio dell’identità femminile. È un evento psicologico individuale che contiene esperienze, memorie, desideri e paure del vissuto passato. Attraverso la gravidanza, si viene a formare un legame molto forte con il bambino, un legame di attaccamento (Bowlby,1982), che è la tendenza innata del bambino a ricercare la vicinanza, l’attenzione e le cure dell’adulto o delle figure di riferimento affettivo. Negli ultimi cento anni, sono stati condotti numerosi studi su quelle che sono le rappresentazioni mentali dei genitori nel momento in cui si trovano ad aspettare un figlio, sul legame che ciascun genitore instaura con il bambino che dovrà arrivare e, ancora, studi sullo sviluppo oltre che fisico anche emotivo del feto già a partire dai primi mesi di gravidanza. Alcuni studi condotti in ambito psicoanalitico (Ferenczi, 1929; Winnicott, 1958; Mahler et al., 1975), insieme a quelli della Infant Research (Bowlby, 1969, 1973, 1980; Main, Kaplan e Cassidy, 1985, cit. in Bowlby, 1988; Stern, 1974, 1995; Sameroff e Emde, 1989), sostengono che la tendenza all’attaccamento del bambino sia legata ad una stessa disponibilità all’attaccamento verso il bambino da parte dei genitori, disponibilità manifesta già a partire dalle prime fasi della gravidanza. Questa disposizione parentale origina nell’investimento emotivo che i genitori fanno verso il bambino prima della sua nascita ed è dimostrato dalla reazione di lutto e dagli episodi depressivi a seguito di un lutto perinatale. Ancora, la gravidanza costituisce un momento di elaborazione del processo di separazione - individuazione dalla propria madre (Bowlby, 1969; Pines, 1972; O’ Leary, 2004). Rispetto allo sviluppo fetale, è stato messo in luce che il bambino, già a partire dalle prime settimane di gestazione, si presenta come un essere attivo, in grado di rispondere ed interagire con gli stimoli che provengono dall’esterno (Sontag, 1965; Negri, 2000; Righetti, 2007). Questi studi scientifici hanno dimostrato che attraverso il cordone ombelicale, che lega i corpi materno e fetale, passano tutte le sensazioni e le emozioni provate dalla madre. Questo significa che, sin dai primi giorni di gravidanza, si sviluppa una forte empatia tra madre e bambino e tutto ciò che viene provato dalla madre viene recepito anche dal piccolo nel suo grembo. Per esempio, il bambino si rilassa se si abbassa la frequenza del battito cardiaco, se la madre o il padre cantano o se si poggia qualche strumento che emette musica sulla pancia della madre; viceversa è come se il bambino scattasse nel momento in cui sente qualche forte rumore o se sente la mamma piangere. Perciò, il bambino, dal grembo materno, percepisce stimoli e suoni esogeni ed endogeni già a partire dai primi momenti della gestazione (Murooka, 1974; Madison, 1986; Van Den Bergh, 1990; Kisilevsky e Muir, 1991 cit. in Fiscon, 2005; Righetti, 2005).

A proposito dell’attaccamento in gravidanza, Stern (1995) ha individuato tre differenti modalità nelle future madri di rapportarsi all’esperienza della maternità:
1. modello di attaccamento evitante. Tali donne tendono a tenere a distanza l’esperienza della maternità, per poterla affrontare meglio. Sembrano meno coinvolte dalla gravidanza di quanto ci si potrebbe aspettare, anche se ciò, nel loro intimo, può non essere vero. Quando pensano alla famiglia di origine, generalmente assumono un atteggiamento distaccato e tendono a liquidare velocemente la propria storia personale, compresi i dettagli relativi al modo in cui furono accudite dalla madre. Si comportano come se il loro rapporto con i genitori non fosse significativo rispetto alla situazione attuale.
2. modello di attaccamento invischiato. Queste madri si calano così profondamente nell’esperienza della maternità da non riuscire mai a prendere le distanze per osservarla da una prospettiva “esterna”, altra da loro. Dunque, sono donne invischiate nel rapporto con la propria madre, così come, molto probabilmente, lo saranno in quello con il bambino in arrivo.
3. modello di attaccamento autonomo. È Il tipo di madre che si pone a metà tra i due precedenti. È disposta a lasciarsi prendere dal rapporto con il piccolo e anche ad avere dei legami piuttosto stretti con la madre, ma sempre in modo misurato. Le esperienze vissute da bambina nel suo rapporto con la madre evocano diversi pensieri e di sensazioni, ma non le impediscono di riflettere con atteggiamento distaccato sul proprio vissuto di madre e di figlia.

A partire dagli anni ’80, in psicologia ci si riferisce in maniera più specifica al concetto di attaccamento prenatale: è un concetto introdotto per la prima volta nel 1981, dalla Cranely, ed indica l’investimento affettivo (fantasie, rappresentazioni cognitive, atteggiamenti e via discorrendo) che i genitori hanno verso il bambino che attendono e che si sviluppa durante la gravidanza. Quando si fa riferimento al concetto di attaccamento prenatale, lo si descrive come una sorta di simbiosi passiva, nel senso che il bambino non si forma nell’utero materno come se fosse un budino in uno stampino ma, al contrario, è il ventre materno, è quel contenitore che si dilata progressivamente fino a circoscrivere la sagoma del bambino che cresce e si sviluppa in lei. È la madre che contiene il bambino, lo tiene chiuso e lo protegge in uno spazio fisico, poi mentale, in cui il piccino può muoversi liberamente, senza essere schiacciato, perché il materno contiene ma non comprime (Mieli, 2009). In realtà, prima che fosse delineato questo costrutto, la letteratura psicoanalitica aveva già messo in luce l’importanza della relazione di attaccamento neonatale vista come quella area di pensiero che i genitori dedicano al bambino non ancora nato e in via di sviluppo. Winnicott (1964), infatti, sosteneva l’importanza della comunicazione madre – feto, come preparazione al futuro legame di attaccamento che caratterizza il neonato e la madre subito dopo il parto. Secondo l’autore, essa è una relazione diadica e bidirezionale. È anche necessaria alla sopravvivenza del piccolo perché un bambino non può stare da solo dato che è parte di una relazione. Successivamente, Klaus e Kennel (1976), hanno trattato di una particolare forma di attaccamento che riguarda la relazione triadica madre – padre - figlio, conosciuta con il nome di bonding: è la connessione reciproca tra madre, padre e bambino, che permette la creazione del rapporto tra il bambino e chi si prende cura di lui. Dunque, il periodo della gravidanza è fondamentale per preparare la madre e il padre a sviluppare nel loro mondo mentale uno spazio adatto per riflettere sul bambino non ancora nato. Dagli anni ’70 in poi, sono stati condotti studi sistematici su questa area di ricerca, soprattutto in merito alle rappresentazioni che i genitori hanno dei propri figli. Alcuni psicologi dello sviluppo (Brazelton, Cramer, 1990) sostengono che, in realtà, vi sia un vero e proprio lavoro della gravidanza, ovvero, un processo psicologico di adattamento alla nuova realtà e di elaborazione dei cambiamenti rispetto alla vita precedente, che si può distinguere in tre periodi, ognuno dei quali corrisponde ad un diverso stadio dello sviluppo fetale. Nel primo, i genitori rivivono la loro infanzia e le difficoltà di crescita affrontate, la madre sviluppa bisogni di dipendenza molto forti e sentimenti ambivalenti nei confronti del feto; nel secondo la percezione dei movimenti fetali induce la madre a individuare il feto come diverso da sé e come possibile oggetto di relazione affettiva che si sviluppa attraverso le fantasie che i genitori producono sul bambino (il “bambino immaginato” di Lebovici); nel terzo il bambino viene vissuto sempre di più come individuo capace di interagire e la madre sviluppa il suo attaccamento personificando il rapporto con lui. Le rappresentazioni mentali che i genitori hanno rispetto al bambino portano la futura mamma e il futuro papà a sviluppare nuove sensibilità, desideri, paure, azioni e a rimettere in gioco le proprie fantasie infantili: è quella che viene chiamata costellazione materna, ovvero

«[…] quel mondo delle rappresentazioni che comprende non soltanto le esperienze che i genitori hanno delle interazioni attuali con il bambino, ma anche le loro fantasie, speranze, paure, sogni, ricordi della loro infanzia, modelli e aspirazioni per il futuro del bambino … queste rappresentazioni sono per la maggior parte basate e costruite a partire dall’esperienza dell’interazione, più precisamente dall’esperienza soggettiva di essere con un’altra persona.» (Stern, 1995; pp. 28-29).

In realtà, secondo una prospettiva psicodinamica, i bambini che vengono immaginati, pensati dai loro genitori sono soggetti ad un processo noto come morfogenesi del bambino rappresentato. Che cosa vuol dire? Significa che, durante la gravidanza, il feto cresce non soltanto nel ventre materno, ma anche nella mente dei genitori, che sviluppano degli schemi immaginativi rispetto al loro bambino. Questi schemi diventano sempre più dettagliati man mano che passano i mesi di gestazione: essi si modificano a causa di fattori biologici, fisici, sociali, psicologici e si perfezionano a partire dal quarto mese di gravidanza circa. La maggior parte degli studi svolti in ambito psicologico indica che l’attaccamento prenatale aumenta progressivamente con il progredire della gravidanza, in particolare a partire dal secondo trimestre di gestazione con la percezione dei primi movimenti fetali (Laxton-Kane e Slade, 2002; Cannella, 2005). Durante il primo trimestre della gravidanza, infatti, la coppia vive la fase della moratoria ed è la fase in cui il padre può sentirsi distante dalla sua compagna e dal rapporto a due che ella crea con il bambino (Smorti, 1987 a, b, c). Invece, il secondo trimestre, corrisponde alla fase di individuazione (del feto, nella mente materna) e anche di differenziazione perché la madre inizia ad avvertire un confine tra sé stessa e suo figlio (Mahler, Pine e Bergman, 1975; Raphael- Leff, 1980). Durante il quarto mese di gravidanza, infatti, anche attraverso le ecografie i genitori hanno la possibilità di vedere in maniera più concreta il loro bambino, la donna ne inizia a percepire i movimenti: le madri avvertono il “bambino in pancia”, secondo quella che Stern (1988) definisce sintonizzazione affettiva. Quindi, il secondo trimestre, è quello che prepara mentalmente la mamma a separarsi in seguito, attraverso il parto, dal bambino. Sono stati condotti anche molti studi (Perry, 1983; Vaughn et al., 1987; Zeanah e Barton, 1989) durante l’ultimo trimestre della gravidanza, i quali affermano che, intorno all’ultimo mese di gestazione, le madri sviluppano un’immagine relativa al temperamento del proprio bambino basandosi sulle proprie fantasie e emozioni, e che alcune rappresentazioni materne possono apparire più opache: è il tentativo della madre di proteggere sé stessa, il suo compagno e i familiari da un’eventuale discrepanza tra il bambino che ha immaginato per nove mesi e quello che si ritroverà tra le braccia. Di qui, anche l’abbandono delle rappresentazioni positive e l’avvicinamento a quelle negative e alla paura, all’ansia che il bambino possa nascere con qualche problema, malformazione o, in casi estremi, vi è un’inibizione immaginativa (Kitzinger, 1989) che può portare addirittura al pensiero che il bambino possa morire prima di nascere. Accanto alla preoccupazione materna primaria c’è anche una preoccupazione paterna primaria, che consente all’uomo di essere vicino alla sua compagna, di accompagnarla durante il viaggio della gravidanza, di avere cura di suo figlio durante i mesi della gravidanza e di superare le angosce di separazione e le gelosie incosce relative al bambino e alla relazione diadica madre - bambino. Dunque, il padre si trova a diventare una specie di contenitore materializzato delle angosce femminili: sostiene la sua compagna, la protegge e prepara anche l’ingresso nel nuovo nato in società (Winnicott, 1978; Stern,1995). Soulè (1980), con il concetto di bambino immaginario, afferma che, in realtà, il desiderio di un bambino è una fantasia che risale alla primissima infanzia ed è presente sia nel bambino che nella bambina. Nello specifico, la bambina, divenuta donna, avrebbe una sorta di utero di lana (Soulè, 1982), metafora con cui la psicoanalista indica che l’idea di maternità contiene l’idea di figlio e l’immagine di sé come madre, è uno spazio - tempo i cui confini oscillano tra piano reale e fantasmatico ed hanno a che fare con l’immagine ed il ricordo dei propri genitori: si fa riferimento al concetto di fantasma del bambino (Lebovici, 1983), che esprime l’idea di una gravidanza fisica, ma anche e soprattutto psicologica. Cioè, è come se si dovesse creare quello spazio mentale dove poter pensare e contenere il bambino che verrà, azione che inizia prima del concepimento, nel periodo in cui la gravidanza è attesa e cercata (Marinopoulos, 2005). È come se «prima di nascere nel mondo reale, il bambino nasce nella mente della madre , che gli dà forma e sostanza secondo un suo progetto di desideri » (Miraglia, 1992, p. 108).

Lecrappresentazioni materne del bambino che porta in grembo vengono costruite progressivamente durante la gravidanza, come afferma Soulè (1990) attraverso la metafora della madre che lavora sufficientemente a maglia: nel corso della gravidanza, la donna riesce ad immaginare un bambino fantasmatico ma, contemporaneamente, pensa anche al bambino reale che nascerà. Chiaramente, la qualità e il tipo di rapporto che i genitori instaurano con il feto e, poi, con il bambino, dipende anche dalle esperienze affettive che hanno vissuto i genitori dell’individuo nella famiglia di origine. Non a caso, Bowlby (1969) aveva parlato di modelli operativi interni proprio per mettere in luce che le persone, in questo caso i genitori, rispetto al figlio atteso, hanno una rappresentazione mentale delle prime relazioni vissute in famiglia che li influenza sull’attaccamento verso il proprio bambino. Bion (1962), invece, riteneva che fosse la comunicazione intrapsichica madre – feto a costituire la condizione che rende possibile il pensiero del bambino: infatti, pensava che affinché un feto e un neonato possano accedere al pensiero, sia necessario che la madre, attraverso il suo fantasticare, sognare ed amare il bambino già durante la gestazione, abbia creato per lui una sorta di contenitore per pensieri ed abbia pensato, in un certo senso, i primi pensieri del bambino. Per cui « il grado di accettazione che ciascuno dei partner ha saputo costruire verso le parti infantili e impreviste proprie e dell’altro risulta fondamentale per l’accettazione del bambino » (Cardinali e Guidi, 1992, p. 32). Con la gravidanza, avvengono tutta una serie di cambiamenti corporei che diventano presupposti necessari a quelli che sono i cambiamenti psicologici, con i quali si vanno ad integrare. Che cosa rappresentano questi cambiamenti? Segnalano la crescita del bambino a livello materiale, non più soltanto astratto. La percezione dei movimenti fetali rende più concreto e materializza un evento importante che dimostra anche che la realtà è cambiata, che sta cambiando, rende quasi visibile e tangibile l’esistenza di un feto che pian piano la madre può conoscere, anche se solo nella sua fantasia e immaginazione. La donna inizia a progettare, immaginare il bambino ed i cambiamenti che quest’ultimo apporterà nella vita e tutto ciò rappresenta un elemento importante perché simboleggiano anche che la donna sta preparando una sorta di culla psichica per fare posto al bambino nella sua vita di donna e madre futura e che, quando avrà raggiunto la maturità affettiva, potrà unire al suo ruolo quello, ormai acquisito, di madre. Il “bambino immaginario”, contenente aspetti di desideri, attese, timori, è prodotto dei sogni e delle fantasie; precede, ma facilita l’incontro con il bambino reale. Di conseguenza, il bambino visto, toccato, sentito, sarà un bambino preconosciuto (Bion, 1962) già “visto” e sentito, immaginato con gli occhi della fantasia in un momento precedente. Secondo il pensiero di molti autori, la gravidanza è una sorta di viaggio che compiono insieme i due partner e che consente ad entrambi di crescere da vari punti di vista. La gravidanza è un evento che tocca entrambi i partner, li cambia profondamente. E, se è vero che il bambino viene alla luce come frutto del corpo materno, è anche vero che cresce come figlio di due genitori, perché la donna ha ceduto parte del suo possesso sul generato.

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Informazioni tesi

  Autore: Rosaria Gaudino
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2014-15
  Università: Università degli Studi di Napoli - Federico II
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Psicologia
  Relatore: Santa Parrello
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 113

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bambino
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lutto perinatale
psicologia perinatale
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