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I contratti di sponsorizzazione tra esigenze di mercato e tutela della persona

Sponsorizzazioni e merchandising dell'emblema

Un'ipotesi per molti aspetti simile a quella appena considerata (concessione dell'uso dell'immagine per scopi pubblicitari e, in genere, commerciali), si ha quando il gruppo sponsorizzato – di solito un club sportivo – cede l'uso del proprio emblema allo sponsor, che se ne serve a fini di pubblicità o per applicarlo su prodotti (magliette, berretti, portachiavi, adesivi, orologi ecc.) destinati alla distribuzione omaggio o alla vendita.
Clausole di questo tipo sono frequentemente inserite nei contratti di sponsorizzazione che riguardano club sportivi molto noti. Il collegamento con la notorietà ed il prestigio della squadra aumenta l'attrattiva dei prodotti che ne riportano l'emblema (in particolare, ovviamente, presso i fans); come si sa, al giorno d'oggi, è fenomeno ricorrente quello dell'utilizzazione di segni distintivi, simboli, nomi, dotati di particolare notorietà e prestigio, da parte di imprese estranee ai titolari, per riportarli su propri prodotti e avvalersi dell'aura di celebrità che circonda questi logo.
Le figure, i segni, gli emblemi sono usati come elemento di decorazione e per allettare il pubblico, sollecitandone il ricordo, la simpatia, lo snobismo e non, va precisato, come marchi, e quindi in funzione distintiva. Si pensi, alla griffe di famosi creatori di moda, alle marche di lussuose automobili, ai nomi di località prestigiose e di persone celebri, riprodotti su capi d'abbigliamento, accessori, profumi ecc.
Agli accordi con cui il titolare cede l'uso di questi simboli, la dottrina
attribuisce il generico nome di merchandising, inteso, in senso lato, come commercio di celebrità. Il termine, nella sua più estesa accezione, è usato per designare tecniche di acquisto dei diritti di sfruttamento di una notorietà allo scopo di avvalersene nel commercio di determinati prodotti.
In un'accezione più ristretta, e più diffusa, viene definito come contratto di merchandising la particolare licenza con la quale il titolare di un marchio ne concede l'uso ad un altro imprenditore, per lanciare prodotti di natura notevolmente diversa da quelli per cui questo è stato utilizzato in precedenza. Naturalmente il titolare provvede a brevettare il marchio per i nuovi prodotti di cui si tratta.
Si parla di merchandising anche con riferimento alla concessione dell'uso di personaggi immaginari – di fumetti, cartoni animati ecc. – che vengono riprodotti su oggetti di vario tipo – giocattoli, magliette, orologi, poster, souvenir – destinati alla vendita o usati a scopi pubblicitari.
Più precisamente, il termine, è usato per designare l'accordo con cui un gruppo, in genere un'associazione sportiva, concede ad altri lo sfruttamento del proprio emblema. L'efficacia di questo tipo di clausole – spesso inserite in contratti di sponsorizzazione – è, ovviamente, subordinata alla titolarità di un diritto esclusivo sul proprio simbolo da parte del gruppo ( il problema è analogo a quello che già si è visto a proposito dell'ammissibilità di un diritto all'immagine della squadra sportiva.).
Da qualche anno molti dei club calcistici hanno provveduto alla revisione grafica dell'emblema e alla sua registrazione, anche a seguito di una circolare della Lega Nazionale Professionisti, che invita le società per garantire un'eventuale esclusiva delle aziende per ogni loro settore merceologico e, nel contempo, per garantirsi contro ogni abuso a provvedere alla revisione grafica del marchio, emblema e logotipo nonché al deposito e alla registrazione dei nuovi simboli.
La dottrina che si è occupata dell'argomento, lo ha fatto ponendosi in prospettive tra loro differenti. In via preliminare ci si è chiesti, con particolare riferimento alle società calcistiche (che sono quelle maggiormente coinvolte nel fenomeno), se l'emblema da esse usato debba considerarsi marchio in senso tecnico. Si è sottolineato che la tutelabilità di questi simboli come marchi si scontra con obiezioni di vario genere: è stato rilevato che i simboli sportivi hanno spesso scarsa idoneità a formare oggetto di validi marchi di impresa, perché di regola riproducono l'emblema della città di origine, anche se ritoccato, il che porrebbe problemi di tutelabilità sotto il profilo della mancanza del requisito dell'originalità.
È poi noto che la disciplina del marchio è legata ai criteri di classificazione merceologica: il marchio, cioè, è tutelato solo nell'ambito delle categorie dei prodotti che è destinato a coprire: anche se le associazioni sportive registrassero il proprio simbolo, la protezione non potrebbe, a rigore, estendersi al di fuori del settore specifico di registrazione. Per tacere del fatto che quello dei club sportivi non può essere considerato marchio in senso tecnico, non distinguendo alcun bene da essi fabbricato o commercializzato.
Esclusa, così in linea di massima, la possibilità di ricorrere alle norme dettate a tutela del marchio è stato proposto di avvalersi della protezione offerta dalla disciplina del diritto d'autore, inquadrando l'emblema delle società sportive tra le opere d'arte figurativa applicata all'industria (art. 2, n. 4, l. 22 aprile 1941, n. 633). Presupposto della tutela sarebbe, in questo caso, il carattere creativo dell'emblema, requisito che, nella specie, spesso sussiste, anche perché ai fini della tutelabilità delle opere dell'arte figurativa applicata è sufficiente un apporto creativo molto modesto. Alle norme del diritto d'autore, giurisprudenza e dottrina, riconducono il merchandising di personaggi immaginari e delle loro caratteristiche somatiche, proibendone l'impiego a scopi commerciali da parte di chi non sia autorizzato.
In effetti, il richiamo alla tutela apprestata dalla normativa propria del diritto d'autore non sembra fuori luogo, almeno quando l'emblema sia dotato di un certo carattere creativo, carattere che sicuramente gli compete nei casi in cui la società calcistica abbia provveduto a farlo ridisegnare proprio per conferirgli originalità e novità.
La tutelabilità dell'emblema è stata sostenuta anche da altri punti di vista: è opinione comune che le associazioni (riconosciute o meno) possano invocarne la tutela facendo riferimento, per analogia, alle norme dettate dal codice civile a proposito del diritto al nome, norme applicabili – secondo la comune opinione – non solo alle persone fisiche ma anche agli enti.
Come è noto, l'uso indebito del nome, che ricade nella previsione dell'art. 7 c.c., può consistere nell'usurpazione – e cioè nell'appropriazione da parte di un terzo del nome come proprio – o nell'utilizzazione abusiva; l'uso indebito costituisce atto lesivo solo quando arrechi pregiudizio al titolare.
Non può negarsi che, nel nostro caso, il pregiudizio esista: l'utilizzazione del nome altrui per ornare e caratterizzare prodotti commerciali lede l'interesse del titolare a disporne per gli stessi fini. [...]

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I contratti di sponsorizzazione tra esigenze di mercato e tutela della persona

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Informazioni tesi

  Autore: Moreno Bruno
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi della Calabria
  Facoltà: Economia
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Fabrizio Criscuolo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 160

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Parole chiave

contratto di sponsorizzazione
tutela della persona
sponsorizzazione sportiva
diritto all'immagine
mercato delle sponsorizzazioni
contratto atipico di sponsorizzazione

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