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Il divismo femminile nel cinema americano degli anni Trenta

Star e spettatori

Nell'ambito delle relazioni che si instaurano tra star e spettatori entrano in gioco diversi tipi di meccanismi psicologici e modelli di identificazione che a loro volta chiamano in causa infinite sfumature dell'inconscio collettivo e individuale, la sfera onirica e le tematiche legate al genere e alla sessualità. Nel suo famoso libro, il semiologo e teorico del cinema, Christian Metz, partendo da un'analisi di carattere psicoanalitico, cerca di individuare i modi in cui si costituisce il significante cinematografico, quel significante con cui lo spettatore si misura e in cui cerca un "buon oggetto" di identificazione. Ne emergono tre modelli di identificazione, che possono essere compresenti tra loro: l'identificazione speculare, il voyeurismo e il feticismo. L'identificazione speculare parte dal presupposto che il film somigli ad uno specchio, ma c'è una sola cosa che non vi si può mai proiettare, il corpo dello spettatore. Partendo dalla teoria di Lacan secondo la quale la scoperta della soggettività avviene nel momento in cui il bambino per la prima volta si riconosce allo specchio, questo "gioco identificatorio" viene reiterato anche al cinema, nel momento in cui lo spettatore può identificarsi con se stesso, o meglio, con sé come puro atto della percezione concretizzata nel punto di vista della macchina da presa, è quella che viene definita identificazione primaria, strettamente legata al dispositivo cinematografico (mentre l'identificazione secondaria è quella che lo spettatore stabilisce con un personaggio del film). Il secondo modello è quello voyeuristico, la pulsione voyeuristica trova il suo fondamento nella necessità di porre una distanza tra sé e l'oggetto del desiderio, questa condizione viene riproposta al cinema ed ulteriormente esasperata, perché l'oggetto del desiderio non solo è distante ma è totalmente assente, in quanto esibito solo come "effige". Ne deriva dunque che il cinema si fonda su una sorta di voyeurismo allo stato puro, poiché una distanza incolmabile separa lo spettatore dagli oggetti del suo desiderio, assenti e collocati in un altrove desiderabile ma inaccessibile. Infine, per quanto riguarda il feticismo, Metz dice che "il feticcio è il cinema nel suo stato fisico, come esecuzione tecnica, come prodezza, come exploit; exploit che sottolinea e accusa la mancanza su cui si fonda il dispositivo (l'assenza dell'oggetto rimpiazzato dal suo riflesso), exploit che consiste nel far dimenticare questa assenza".
Il cinema con la sua tecnica ci parla dunque di una realtà perduta e al tempo stesso si offre come adeguato sostituto di questa perdita, occulta una mancanza e contemporaneamente la confessa. Addentrarsi in un'esposizione dettagliata dei numerosi altri contributi, oltre a quello offertoci da Metz, in merito ad un'analisi psicologica delle dinamiche cinematografiche richiederebbe un capitolo a parte. Dunque, a scopo riassuntivo, preferisco proporre, ai fini della mia tesi, il contributo di Andrew Tudor che, in una prospettiva sociologica applicata al cinema, ha indagato i meccanismi di identificazione che si possono instaurare tra star e spettatore. Tudor, nel suo esaustivo schema, individua quattro diversi tipi di relazione possibile: Affinità emotiva, la categoria più debole e comune, basata esclusivamente sulla simpatia che lo spettatore può provare nei confronti di un particolare personaggio e che può dipendere sia dalla star e dalla storia, sia dalla personalità del singolo spettatore: un coinvolgimento standard. Auto-identificazione, si ha quando il coinvolgimento ha raggiunto un punto tale che lo spettatore si pone nella stessa situazione della star, fino a sperimentare le stesse sensazioni dei personaggi sullo schermo. Imitazione, il tipo di coinvolgimento più comune tra i giovani spettatori e che trascende lo spazio e il tempo del film, in quanto fa si che la star diventi un vero e proprio modello da imitare nella vita di tutti i giorni. Proiezione, l'imitazione trascende nella proiezione "quando il processo supera la semplice imitazione dell'abbigliamento, della capigliatura, del baciare, e così via".

"Tanto più è profonda la proiezione tanto più la persona vive la propria vita in rapporto alla star preferita (...) Chiedendosi cosa avrebbe fatto la star in questa situazione, lo spettatore che si proietta nelle star, la usa come un modo per affrontare la propria realtà. Nei casi estremi tutte le esperienze del quotidiano vengono mediate in questo modo. Il mondo reale si costituisce a partire dal mondo della star".

Lo schema di Tudor si definisce come non basato sull'attrazione sessuale, a partire dalla scoperta di Leo Handel secondo il quale le persone tendono ad amare i divi del proprio sesso. Ma, come sottolinea Richard Dyer, si potrebbe tranquillamente dimostrare che l'attrazione per il proprio sesso è essa stessa attrazione sessuale e che, partendo dalla considerazione dell'omosessualità come tabù sociale, il cinema abbia offerto, mediante il fenomeno divistico, un'esperienza sostitutiva e "travestita" di sentimenti omosessuali ad un pubblico non omosessuale. Sono inoltre talmente tante le dinamiche di genere e sessualità che entrano in gioco nelle relazioni tra spettatore e star, in particolar modo in riferimento alle figure femminili, per non riservare loro, nel secondo capitolo, un'analisi a parte e più approfondita.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il divismo femminile nel cinema americano degli anni Trenta

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Informazioni tesi

  Autore: Ilaria Rossi
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: DAMS - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Veronica Pravadelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 184

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