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Professionisti della sanità nell'approccio ai problemi di salute mentale: indagine multicentrica descrittiva

Stigma e disagio sociale

La verità presentata dai media è invece ben diversa dalla realtà, poiché i soggetti sottoposti a trattamento per malattia mentale non sono necessariamente più violenti di chiunque altro.
Certo chi è affetto da disturbi mentali può compiere anche se molto raramente gesti estremi. Ma questo non giustifica il giudicare le persone con disturbo mentale potenziali criminali da controllare: questo atteggiamento finisce per dar corpo al pregiudizio più pesante della pericolosità che marchia ingiustamente e fa soffrire le persone che già si trovano in uno stato di sofferenza.
Davanti ad un ideale di pericolosità l’istintiva reazione umana è un sentimento di paura, e dalla paura umanamente ci si allontana e protegge.
Negli Stati Uniti più della metà dei tentativi di costruire residenze comunitarie per pazienti psichiatrici va incontro a fallimento a causa dell’opposizione dei residenti. Gli abitanti di una piccola località americana hanno fatto notare come tra i residenti vi fosse un alto numero di persone anziane e bambini che certamente sarebbero diventate vittime dei malati di mente della futura residenza.

 
Ad Hong Kong sempre in una piccola località fu espressamente chiesto dagli abitanti che la residenza venisse costruita ad una distanza di sicurezza dalla macelleria locale poiché la vista di sangue, carne e coltelli avrebbe potuto essere d’istigazione alla follia. Di fatto però la violenza nella nostra società civile è maggiormente originata da alcol, droga povertà e dalla facile reperibilità di armi.
Chi soffre di una malattia mentale viene rappresentato come soggetto appartenente ad una classe a parte, senza una famiglia né legami con la normale struttura sociale.
Numerose indagini su programmi televisivi hanno sottolineato come raramente i personaggi che soffrono di malattie mentali sono sposati o hanno un lavoro, come se si trattasse di una classe distinta caratterizzata in primo luogo (se non esclusivamente) dalla patologia di cui soffre.
 
Il problema è la terminologia utilizzata, ad esempio “schizofrenico” invece che “persona affetta da schizofrenia” vede identificarsi il paziente con la malattia negando però l’uomo nella sua individualità.
Nessuno infatti utilizzerebbe il termine “canceroso” per identificare una persona affetta da cancro, proprio perché riconosciamo che vi è una persona al di là della malattia di cui vogliamo prenderci carico.
La comunità scientifica si sforza di valorizzare l’essere umano come persona distinta dalla sua malattia.
Sono proprio le comuni pratiche, le piccole sfumature che i singoli soggetti componenti una comunità portano a mantenere vivo il pregiudizio. Lo “schizofrenico”, il “matto”, il “mentecatto”, lo “schizzato”, il “pazzo” sono tutti termini dispregiativi che ancora oggi sentiamo nominare sia in ambiente sanitario, tra “gli addetti ai lavori” che tra i comuni cittadini. Eppure non sono più di uso comune parole come “negri” e “storpi” ed il fatto che invece ci si rivolga ancora ai malati mentali con appellativi di tale peso è un’ulteriore prova di come la società civile in cui crediamo di vivere non sia così pronta ad accogliere il “diverso” nel suo “normale” stato sociale.
 
Sino ad ora mi sono concentrata nel sottolineare come lo stigma si ripercuota negativamente sulle persone. E’ molto importante considerare però che gli effetti dello stigma hanno ripercussioni sia sulle persone oggetto di stigma che sulle istituzioni che ne risentono in termini di esiti di salute e di costi sanitari a causa delle ri-ospedalizzazioni e dei drop out nei percorsi terapeutici in particolar modo se percorsi a lungo termine. (Corrigan, 2004)

Questo brano è tratto dalla tesi:

Professionisti della sanità nell'approccio ai problemi di salute mentale: indagine multicentrica descrittiva

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Informazioni tesi

  Autore: Jennifer Zucco
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi di Trieste
  Facoltà: Medicina e Chirurgia
  Corso: Infermieristica
  Relatore: Livia Bicego
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 128

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