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“Diverso da chi?” Disabilità, pregiudizio e autonomia

Strategie per il superamento del pregiudizio

Un’analisi approfondita del pregiudizio induce a domandarsi se sia possibile combatterlo, ed eventualmente quale possa essere la strada idonea per rimuoverlo. Come abbiamo precedentemente detto, i pregiudizi e gli stereotipi sono molto resistenti al cambiamento poiché tendono ad autoconfermarsi grazie alla funzione protettiva dalle forti angosce. Secondo Calegari la riduzione del pregiudizio è ostacolata da meccanismi di resistenza personali, meccanismi che si attivano a difesa dell’Io e che adempiono a varie funzioni, infatti “la difesa dell’idea pregiudiziale è una difesa dell’io, una via individuata al fine di garantire una continuità del sé." Per modificare atteggiamenti pregiudiziali è necessario quindi produrre profondi cambiamenti a livello culturale, educare alla cultura della diversità. Per superare la cultura del pregiudizio sulla disabilità ci vuole un’azione educativa in grado di modificare i contesti nei quali il pregiudizio agisce e si crea, e che porti all’accettazione dell’alterità. Indispensabile è quindi avere una nuova cultura che non neghi l’evidenza, la diversità, ma l’assuma come valore e ricchezza.
Un contributo importante per l’individuazione delle possibili soluzioni utili a ridurre il pregiudizio, è l’ipotesi del contatto proposta da G.W. Allport. Secondo questo autore promuovere il contatto sociale tra gruppi diversi può avere effetti positivi sulla riduzione di atteggiamenti pregiudizievoli, quindi, se le persone avessero la possibilità di incontrare individui appartenenti all’outgroup, scoprirebbero che molti pregiudizi e stereotipi sono errati; di conseguenza, migliorerebbero i loro atteggiamenti e comportamenti nei confronti dell’outgroup.
È importante però sottolineare che non sempre il contatto porta ad avere relazioni intergruppi più positive.
Un autore molto importante nello studio del pregiudizio e nel superamento di quest’ultimo è senz’altro Erving Goffman, che in “Stigma” analizza le pratiche di inferiorizzazione sociale e di gestione dello stigma. Secondo il sociologo canadese “quando ci troviamo davanti un estraneo, quindi, è probabile che il suo aspetto immediato ci consenta di stabilire in anticipo a quale categoria appartiene e quali sono i suoi attributi, qual è, in altri termini, la sua identità sociale (…)”, quindi in altre parole è la società che stabilisce i criteri e gli strumenti che ci consentono di individuare quali attributi siano accettabili e quali no, e di conseguenza collochiamo l’individuo in una categoria sociale proiettando su di esso gli attributi e le aspettative connesse a quella categoria. Se l’attributo è socialmente desiderabile parliamo di prestigio, se non lo è si tratta di stigma.
Lo stigma è una particolare relazione tra l’attributo e lo stereotipo, l’attributo si configura come stigma quando produce un profondo discredito e nella nostra mente la considerazione della persona viene profondamente modificata: passa dall’essere persona completa ad essere persona screditata. Lo stigma è un attributo che in una determinata situazione viene valutato negativamente, per questo motivo Goffman ci fa notare che “ciò che conta davvero è il linguaggio delle relazioni, non quello degli attributi. Un attributo che stigmatizzi un tipo di portatore può confermare la regolarità di un altro, e dunque, in quanto tale, non è in sé né screditante, né meritorio.” Quindi l’attributo non può suscitare né assoluta credibilità né assoluto discredito. Vi possono essere due tipologie di persone stigmatizzate:

 Lo screditato, tale condizione è caratterizzata dal riconoscimento della propria diversità, il portatore di stigma è esposto alla conoscenza che gli altri hanno del suo stigma;
 Lo screditabile, è la condizione in cui si trova il portatore di stigma quando gli altri non sono a conoscenza del suo stigma.

Lo stigma è in questo senso una caratteristica definita in modo arbitrario, una generalizzazione di un particolare attributo meglio conosciuto come pregiudizio. Goffman individua due dimensioni dell’identità: l’identità sociale virtuale e l’identità sociale attuale, definendo la prima come l’identità che ci aspettiamo abbia la persona, tutto ciò che le viene attribuito dall’immaginario collettivo e che non le appartiene, e la seconda come l’identità che la persona si sente realmente.
La persona stigmatizzata si trova a fronteggiare una frattura nell’identità sociale, in quanto la visibilità dello stigma la colloca in una specifica categoria e le attribuisce l’identità sociale virtuale che limita l’espressione della persona e ne restituisce un’immagine falsa. Lo stigmatizzato ha perciò il desiderio di essere accettato senza l’interferenza dello stigma; il “normale”, però, spesso non riesce a superare la barriera che lo stigma innalza e questa mancata accettazione provoca una tensione nello sviluppo dell’interazione. La disabilità è, ad esempio, una categoria che ha un’identità collettiva che spesso si sostituisce a quella individuale, e lo sforzo della persona con disabilità è proprio quello di distruggere la “facciata collettiva” che gli altri gli hanno attribuito.
Lo stigma fisico evidente, come lo è la disabilità, spesso “ruba la scena” e viene prima della persona stessa, la squalifica che provoca l’attributo investe la persona nella sua interezza rendendola, agli occhi dei normali, incapace di fare tutto; l’incontro con la diversità provoca nei “normali” una sensazione di disagio dovuta all’imprevisto, poiché il diverso è portatore di novità, rappresenta qualcosa di poco conosciuto, e provoca delle emozioni e dei sentimenti (paura, disagio, dolore..), che non vengono riconosciuti come propri, ma vengono attribuiti all’altro e alla sua diversità. Questi sentimenti non riconosciuti, portano i “normali” ad avere comportamenti, come la “disattenzione civile” e il riconoscimento del ruolo di non-persona, che screditano l’individuo, innescando un meccanismo circolare di mancata accettazione e sentimento di non essere accettato.
In questo senso alla persona stigmatizzata viene attribuita una condizione d’inferiorità nella possibilità di essere umano a tutti gli effetti. Il muro che si crea dalla mancata accettazione da parte dei “normali”, si può abbattere solo quando le persone si riconoscono reciprocamente come individui che possono entrare in una relazione alla pari. E’ necessario riconoscersi diversi e accettare i sentimenti reciproci per andare oltre lo stigma, il pregiudizio. In conclusione, si può affermare che per Goffman lo stigma è un processo sociale complesso a due in cui gli individui partecipano in ambedue i ruoli. Essere stigmatizzato oppure essere normale è esclusivamente una questione di interazione e di prospettiva, infatti, una differenza assume rilevanza sociale solo quando viene concettualizzata dalla società nel suo complesso. Goffman in conclusione evidenzia che “lo stigma non riguarda tanto un insieme di individui concreti che possono essere separati in due gruppi, gli stigmatizzati e i normali, quanto piuttosto un pervasivo processo sociale a due ruoli in cui ogni individuo partecipa ad entrambi i ruoli, almeno in alcune relazioni e in alcune fasi della vita. I normali e gli stigmatizzati non sono persone, ma piuttosto punti di vista.” Lo stesso autore, però, nonostante l’analisi approfondita dello stigma e della gestione dello stesso, è scettico sull’esistenza di una soluzione concreta e autentica che impedisca allo stigma di influenzare le possibilità di incontro e di relazione.
Altra strategia per la riduzione del pregiudizio è stata individuata nell’opzione dell’inclusione sociale, in particolare nel concetto di partecipazione sociale, promuovere quest’ultima sembra essere utile per combattere il pregiudizio, poiché è tramite l’interazione e la convivenza che gli individui riescono ad accettarsi tra di loro. In questa ottica è quindi necessario allenare la mente alle contraddizioni, alle diversità a tollerare le ambivalenze, per far sì che si apra alla complessità della realtà; più la mente riuscirà ad aprirsi alla complessità più sarà in grado di combattere i pregiudizi. È necessario però sottolineare che l’obiettivo dell’inclusione, nonché della partecipazione sociale, non possa prescindere da un profondo cambiamento della società.

Questo brano è tratto dalla tesi:

“Diverso da chi?” Disabilità, pregiudizio e autonomia

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Informazioni tesi

  Autore: Giulia Ciccioni
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: L-39 Servizio Sociale
  Relatore: Marco Bontempi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 73

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