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Alcuni aspetti del pensiero di Henry David Thoreau attraverso la storiografia più recente

Sul dovere della disobbedienza civile

Questo testo fu in un primo momento presentato nella sala pubblica di Concord, nel 1848. Fu poi pubblicato negli Aesthetic Papers di Mrs. Elysabeth P. Peabody nell’anno successivo, con il titolo Resistance to Civil Government. Il contesto nel quale l’opera si colloca è quello di un’America il cui governo viene definito come una «tradizione che si sforza di passare inalterata ai posteri, ma che perde parte delle propria integrità ad ogni istante. (…) Un governo che non ha mai portato avanti nessuna impresa con la stessa prontezza con la quale è venuto meno ai propri compiti». Per questo motivo Thoreau fa suo il motto del mensile di letteratura e politica United States Magazine and Democratic Review, in voga in quegli anni (1837- 1859): «Il migliore dei governi è quello che governa meno»; lapidaria intuizione che lo porta parossisticamente a concludere che «Il migliore dei governi è quello che non governa affatto».
Prima di etichettare il nostro come un anarchico, un sovversivo o un pazzo, è bene collocare le sue parole sullo sfondo della storia americana del periodo nel quale egli si trova a scriverle.
Dal 1846 al 1848 l’America era stata attraversata da venti di guerra dagli Stati Uniti al Messico, allo scopo di fissare i confini dello stato del Texas. Alla fine della guerra, si decretò l’annessione di California, Utah, Nevada, Arizona e New Mexico da parte degli USA.
Guerra ritenuta ingiusta, opera di un numero relativamente ristretto di persone che si servirono del governo come di un proprio strumento per soddisfare i loro interessi economici e fomentare le loro ambizioni imperialistiche, mentre la maggioranza del popolo era contraria. Prova che il governo, proprio come l’esercito, che ne rappresenta il braccio armato, è soggetto ad abusi e deviazioni. Thoreau solleva le stesse obiezioni tanto contro un esercito permanente, quanto contro un governo permanente. Tuttavia, non chiede che si abolisca il governo: ma chiede «immediatamente un governo migliore».
La spiegazione a questa presa di posizione, o di coscienza, la fornisce egli stesso: «Come deve comportarsi un uomo, oggi, nei confronti di questo governo americano? La mia risposta è che non può esservi legato senza che ciò gli rechi disonore. Non mi è possibile, neppure per un momento, riconoscere come mio un governo che sia anche una organizzazione politica schiavista».
Quando un sesto della popolazione di una nazione, che si è impegnata ad essere il rifugio della libertà, è formato da schiavi, e un intero paese viene invaso ingiustamente e sottomesso da un esercito straniero che impone la legge marziale, l’autore ritiene senza dubbio che «gli uomini onesti debbano ribellarsi e fare la rivoluzione».
Condannando coloro che «si considerano discendenti di Franklin e di Washington (…) e leggono tranquillamente il listino prezzi insieme alle ultime notizie dal Messico dopo pranzo, magari addormentandosi su entrambi», sostiene che il popolo americano debba porre la parola fine alla schiavitù e alla guerra contro il Messico, anche se ciò dovesse costargli la sua esistenza come popolo. Paragona il Massachusetts a «una puttana di rango, una sgualdrina vestita d’argento / ha lo strascico sollevato, ma l’anima che si trascina nel fango».
Pare che la colpa di queste due piaghe debba essere attribuita alla maggioranza al potere, che esiste e governa per una ragione di mera forza fisica superiore. Ma un governo in cui la maggioranza comanda in tutti i casi non può essere basato sulla giustizia, ancorché nei limiti in cui gli uomini la intendono.
«Il solo obbligo che ho il diritto di arrogarmi è quello di fare sempre e comunque ciò che ritengo giusto»; a tal proposito Thoreau invoca un governo in cui a stabilire il criterio di discernimento tra ciò che è giusto e ciò che non lo è non sia la maggioranza, bensì la coscienza individuale di ciascuno. «Dovremmo essere prima uomini, e poi cittadini».
Cittadinanza e voto costituiscono un binomio indissolubile in una democrazia, ma il nostro si scaglia anche contro questo diritto-dovere, che vede non andare mai oltre la convenienza. Perfino votare per il giusto è non fare niente per esso. È solo un modo di manifestare debolmente il proprio volere, dal momento che, alla fine, è il voto della maggioranza quello che decide.
«C’è ben poca virtù nell’azione delle masse»; non esita perciò ad affermare che coloro che si definiscono abolizionisti dovrebbero immediatamente ritirare il proprio appoggio al governo, sia di persona che in termini di proprietà al governo del Massachusetts, e non aspettare fino a quando costituiranno, grazie magari a un solo voto, la maggioranza, per lasciare che il giusto prevalga attraverso di essa. Se la schiavitù venisse abolita mediante questo processo, a quel punto gli unici schiavi sarebbero loro. È necessario e sufficiente avere Dio dalla propria parte, senza attendere altro. «Qualsiasi uomo più giusto dei propri vicini costituisce già una maggioranza di uno». E cosa dovrebbe fare quest’uomo giusto?
L’azione in base a un principio, la percezione e l’attuazione del giusto, trasforma le cose e i rapporti; essa è essenzialmente rivoluzionaria, e non si concilia interamente con ciò che esisteva. Divide Stati e Chiese, divide le famiglie, divide l’individuo stesso, separando il diabolico che è in lui dal Divino. È perciò tanto rivoluzionaria quanto pericolosa.
Infatti, gli uomini generalmente preferiscono aspettare, ritengono che se opponessero resistenza, il rimedio sarebbe peggiore del male. Ma è colpa del governo stesso se esiste questo
stato di cose, è esso a renderlo peggiore. Perché «non ha a cuore la sua saggia minoranza, grida e oppone resistenza prima di essere ferito, sempre crocifigge Cristo, scomunica Lutero, e dichiara ribelli Washington e Franklin».
Sembrerebbe che una deliberata e concreta negazione della sua autorità sia l’unico reato che il governo non abbia mai contemplato; se così non fosse, non avrebbe forse dovuto stabilire per questo una pena definita, adeguata e commisurata?
Così «sotto un governo che imprigiona chiunque ingiustamente, il vero posto per un uomo giusto è la prigione». È lì che lo schiavo in fuga, il prigioniero messicano rilasciato sulla parola, e l’indiano venuto a denunciare le ingiustizie subite dalla sua razza si troverebbero: su quel suolo separato, ma più libero e onorevole nel quale lo Stato mette coloro che non sono con lui, ma contro di lui: la sola dimora, in uno stato schiavo, in cui un uomo libero può abitare con onore.
«Ma quanti uomini ci sono, ogni mille miglia quadrate, in questo paese?». Secondo il filosofo, a malapena uno. L’Americano è degenerato in un Odd Fellow, un Tipo Strano: «un individuo riconoscibile dallo sviluppo del suo spirito gregario, da una
manifesta mancanza di intelletto, e di serena fiducia in se stesso; la sua prima e principale preoccupazione, venendo al mondo, è quella di accertarsi che gli ospizi siano in buone condizioni; e quella di raccogliere fondi per il sostentamento di eventuali vedove e orfani, prima ancora di avere indossato l’abito virile. Un uomo che, insomma, si avventura nella vita solo con l’aiuto della società di Mutuo Soccorso, che ha promesso di dargli decorosa sepoltura».
Eppure basterebbe che «un solo uomo ONESTO, cessando di tenere degli schiavi, si ritirasse seriamente da questa associazione, e fosse per questo rinchiuso nella prigione della contea. Ciò significherebbe l’abolizione dello schiavismo in America». Perché non conta quanto esiguo possa sembrare l’inizio: quel che è ben fatto una volta è fatto per sempre.
Una minoranza è priva di potere quando si conforma alla maggioranza; non è neppure una minoranza, in quel caso; ma diventa irresistibile quando è di intralcio con tutto il suo peso.
«Se mille uomini non pagassero le tasse quest’anno, ciò non sarebbe una misura tanto violenta e sanguinaria quanto pagarle e permettere allo Stato di commettere violenza e di versare sangue innocente. Questa è, di fatto, la definizione di una rivoluzione
pacifica. (…) Quando il cittadino si rifiuta di obbedire, e l’ufficiale dà le dimissioni dal suo incarico, allora la rivoluzione è compiuta». È qui racchiusa l’essenza del saggio: la disobbedienza civile come forma non violenta di resistenza alle iniquità perpetrate dallo Stato. Personaggi come Mohandas Ghandi e Martin Luther King hanno tratto da queste parole illuminate ispirazione e suggerimenti pratici d’azione per le loro rivoluzionarie, proprio perché non- violente, battaglie contro lo Stato. «Ma supponiamo pure che debba scorrere il sangue. Non c’è una sorta di sangue versato, quando viene ferita la coscienza? Attraverso questa ferita scorrono via la vera umanità e l’immortalità dell’uomo, ed egli sanguina fino a morte eterna». In casi estremi, dunque, è diritto dell’uomo onesto far valere le proprie idee e dimostrare la propria opposizione allo Stato anche con le armi, anche col proprio sangue. Quali uomini potrebbero attuare una rivoluzione, pacifica o meno, è presto detto: coloro che hanno meno legami col denaro. Più abbondano i soldi, minore è la virtù, poiché il denaro si interpone fra un uomo e i suoi oggetti, e li ottiene per lui: e non gli è necessaria una grande virtù per ottenerli. Inoltre «il ricco è sempre venduto all’istituzione che lo rende ricco». Coloro che sostengono il diritto puro, generalmente non hanno passato molto tempo della loro vita ad accumulare beni; tuttavia l’autore nota che anche tra gli uomini più liberi di sua conoscenza, il maggior timore di ognuno è la perdita della protezione da parte dello stato, e il tipo di conseguenza che un’eventuale disobbedienza potrebbe avere per i loro beni e le loro famiglie. E naturalmente, la pensa in modo diametralmente opposto: «per quanto mi riguarda, non mi piacerebbe pensare di dover mai fare conto sulla protezione dello Stato. (…) Non vale la pena di accumulare beni, poiché di sicuro svaniranno. Dovete vivere la vostra vita interiore, contare su voi stessi, rimboccandovi sempre le maniche, pronti a ricominciare, senza occuparvi di troppe faccende». E ancora: «mi costa meno, in ogni senso, incorrere nella pena prevista per la disobbedienza allo Stato, di quanto mi costerebbe obbedire. In quel caso, mi sentirei come se valessi meno».

Questo brano è tratto dalla tesi:

Alcuni aspetti del pensiero di Henry David Thoreau attraverso la storiografia più recente

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Informazioni tesi

  Autore: Giorgia Favaro
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Perugia
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Relazioni Internazionali
  Relatore: Fausto Proietti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 72

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