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Fenomenologia della morte, tanatofobia e necrofilia nella società contemporanea

Tanatometamorfosi

L’aspetto più orripilante della morte è che essa – per ragioni che seguono un corso naturale – implica l’imbruttimento e la distruzione del corpo. Questo disfacimento del corpo sembra andare di pari passo con quello dell’anima; inoltre l’immagine del cadavere in putrefazione rimanda all’annullamento della persona ed alla disgregazione del gruppo sociale a cui appartiene. Per queste ragioni la decomposizione è sgradevole alla vista ma questo processo naturale, che prende il nome di tanatomorfosi, può essere ritardato, nascosto, bloccato o evitato. A seconda delle varie culture vi sono diverse strategie per impedire alla natura di fare il suo corso e la ben riuscita di ciò consente al defunto di andarsene in pace. Trattando dignitosamente la salma e limitandone il deterioramento progressivo si placherà anche il suo spirito che non sfogherà la sua ira sui superstiti, i quali sono tenuti a rispettare le sue esigenze.

La putrefazione si può evitare mediante la cremazione mentre la tumulazione e l’inumazione, invece, fanno sì che essa avvenga lontano dagli occhi dei superstiti e si consumi all’interno di una cassa ermetica. In questo caso il processo non viene evitato ma dissimulato. Esistono poi dei trattamenti il cui scopo è quello di rallentare o arrestare la decomposizione e tutte queste pratiche prendono il nome di tanatometamorfosi. L’esempio più antico lo abbiamo con la mummificazione, pratica che non interessa soltanto gli antichi Egizi. Basti pensare agli Incas, alle teste Maori ed alle mummie dei frati Cappuccini che si trovano nelle Catacombe di Palermo. La mummificazione non era dissimile all’imbalsamazione perché il procedimento era analogo, cioè venivano adoperati dei balsami speciali di origine vegetale. Questo procedimento veniva osservato anche dagli antichi Romani e si pensa che essi abbiano tramandato questa usanza alle colonie greche. Al giorno d’oggi esistono delle tecniche moderne di imbalsamazione il cui ingrediente fondamentale è la formaldeide.
A partire dalla seconda metà del XIX secolo, con l’esigenza di vegliare il corpo in condizioni igieniche adeguate, si è sviluppata una pratica denominata tanatoprassi. Essa consente la disinfezione della salma, la conservazione ed il ripristino mediante l’iniezione di agenti chimici, in genere formaldeide. Grazie a tale procedimento la salma non subisce deterioramenti significativi fino alla sepoltura ed è garantito un migliore aspetto estetico in quanto i lineamenti del viso non si deturpano eccessivamente con il rigor mortis. Inoltre si cerca di agire sui traumi e sulle ferite tramite interventi chirurgici o con l’utilizzo del trucco, applicato da numerose agenzie funebri. Oltre alla componente estetica, la tanatoprassi si occupa soprattutto di quella igienica in quanto previene la fuoriuscita di liquami e gas organici potenzialmente pericolosi. Essa è significativa non solo per le funzioni funebri, ma anche in ambito medico. Con l’arresto della decomposizione infatti è più semplice condurre un’autopsia. L’obiettivo fondamentale della tanatometamorfosi è comunque, in ambito culturale, quello di rendere dignitoso l’aspetto del defunto finché esso è al cospetto dei vivi ed in certi casi anche successivamente. Esso deve essere socialmente accettabile, in modo che possa essere reintegrato nella comunità.

Patologie legate alla morte
Con l’industrializzazione e l’evoluzione della medicina le aspettative di vita dei cittadini si sono alzate, a differenza di un paio di secoli fa. Con le nuove scoperte in ambito medico, che hanno permesso di debellare virus mortali e la possibilità per tutti di potersi vaccinare, la morte è passata dall’essere un fatto quotidiano all’essere una cosa eccezionale. Se prima ammalarsi e morire era molto comune, adesso sembra essere diventato inammissibile, una sconfitta per il progresso. Non si è più abituati ad essere a contatto con la morte ed essa ci terrorizza. Il timore della morte – e la sua tabuizzazione – in questa società è un dato di fatto, ma in alcuni casi può sfociare nel patologico. Esiste infatti una patologia denominata tanatofobia, ovvero l’ossessiva paura della morte. Questa patologia è legata ai disturbi d’ansia, all’ipocondria e alle crisi di panico, durante le quali si ha una sensazione di morte imminente. Il soggetto è ossessionato dalla paura di morire e non può neanche sentir menzionare la morte; è angosciato da tutto ciò che le è correlato e non può presenziare ai funerali né recarsi nei cimiteri. La sua preoccupazione maggiore è quella di scacciare questo pensiero e ciò non gli consente di vivere serenamente in quanto ha paura della paura. Questa angoscia può essere originata da un trauma, spesso legato all’infanzia. La tanatofobia è associata alla necrofobia, ovvero la paura dei cadaveri. Il timore di essere seppelliti vivi – cui tanti film si sono ispirati – invece, prende il nome di tafofobia.

I traumi infantili legati alla morte possono generare le fobie sopraindicate, ma in alcuni casi possono anche dare origine a strane manie perverse. L’esempio più noto è quello della necrofilia, ovvero l’attrazione per i cadaveri e tutto ciò che è morto ed inerte. Il termine è stato coniato per la prima volta nel 1860 dal dottor Richard von Krafft-Ebing, il quale associava questa patologia al sadismo. Anche il termine sadismo appare per la prima volta grazie a Krafft-Ebing e secondo lui la necrofilia è un tipo di “amore” che non si ferma nemmeno di fronte alla morte. Successivamente, nel 1901 a Lione, il laureando Alexis Epaulard pubblicò una tesi intitolata Vampirisme, nécrophilie, nécrosadisme, nécrophagie. A causa di questo scritto, che comunque forniva dettagliate documentazioni su casi clinici – ad esempio su Victor Ardisson, detto “il Vampiro del Muy” – per un certo periodo è stata fatta confusione tra necrofilia e vampirismo. Si tratta infatti di due cose ben distinte in quanto i necrofili amano i morti, mentre i vampiri sono ossessionati dalla vita altrui. Con “vampiro” si tende ad indicare un morto che ha bisogno di intrattenere relazioni sadiche con i vivi, di bere il loro sangue che rappresenta la vita. Sotto questo punto di vista, quindi, il necrofilo è l’esatto opposto. Questa confusione è stata causata da una superstizione che vedeva i vampiri come mangiatori di cadaveri. È opportuno notare che esistono due tipi di necrofilia secondo Ernest Jones. Il primo, il più “normale”, spinge il soggetto a continuare le relazioni con l’oggetto amato (la salma del consorte ad esempio) anche dopo il decesso. Il secondo è un’ossessione per i cadaveri, anche se si tratta di sconosciuti, e prevede la compulsione ad avere rapporti sessuali di tipo sadico con essi. La motivazione che spinge a consumare rapporti sessuali con i cadaveri deriva dal bisogno di avere un partner non reattivo, di fronte al quale non ci si possa sentire inibiti. I morti sono indifferenti alla timidezza e non possono né reagire né tanto meno giudicare, per questo il necrofilo può essere paragonato al voyeur, perché in ambedue i casi non viene stabilito un vero e proprio contatto.

Simile alla necrofilia è la necromania, dove vi è sempre un rapporto sessuale dopo il decesso, che però in questo caso viene intenzionalmente provocato. Il necromane tortura, sevizia ed uccide le sue vittime ed abusa dei lori corpi esanimi. Spesso dilania le loro carni e se ne ciba (necrofagia), conservandole o lasciandole marcire appositamente. L’esempio più celebre è il caso di Jeffrey Dahmer, soprannominato “Il mostro di Milwaukee”. Fu un serial killer processato per ben diciassette omicidi e le vittime erano tutti ragazzi minorenni, spesso adescati in locali gay. Il suo modus operandi prevedeva solitamente l’adescamento, la narcotizzazione e, dopo aver attirato le vittime nel suo appartamento, lo stupro e lo smembramento; infine abusava di loro post mortem. Egli inoltre conservava le parti del corpo in formaldeide o in frigorifero, scattava numerose fotografie e dipingeva i teschi delle sue vittime. Fu condannato all’ergastolo grazie alla denuncia di un superstite e morì in carcere in seguito ad un’aggressione.
La tendenza a conservare parti umane non la hanno solo i necromani, ma caratterizza anche alcuni serial killer, come ad esempio Ed Gein che costruiva suppellettili, sedie ed oggetti per l’arredamento, servendosi di ossa e pelli umane. La conservazione di cadaveri non implica necessariamente la compulsione a farci sesso. Nel 2011, ad esempio, a Niznhy Novgorod, in Russia, venne arrestato un uomo perché aveva una collezione di “bambole umane” nel suo appartamento. Anatoly Moskvin, storico molto conosciuto nel suo paese e parlante ben tredici lingue, aveva anche lo strano “hobby” di collezionare bambine morte. Il suo intento non era quello di profanarle, anzi le vestiva come bambole, le truccava e festeggiava tutti i loro compleanni come se fossero state vive. Secondo lui i genitori non davano sufficiente importanza alle loro figlie defunte, per questo si sentiva in dovere di accudirle al loro posto e di riservare loro un trattamento speciale. L’ossessione di Anatoly per le bambine morte deriva da un trauma infantile: i genitori lo costrinsero a baciare una bimba morta nella sua bara quando era piccolo. Inoltre sognava di avere una figlia ma scoprì di essere sterile. Attualmente si trova in un istituto psichiatrico poiché non è ritenuto in grado di affrontare un processo: nonostante sia una specie di genio i suoi discorsi sono deliranti e all’arresto affermò che faceva tutto questo «per tenere le bambine al caldo perché le loro famiglie le avevano abbandonate al freddo».
In conclusione possiamo dire che tutte queste patologie – anche se si tratta di manie gravi che sfociano nella psicopatia o nell’omicidio – sono provocate da un trauma, spesso avvenuto in tenera età, legato al lutto e alla morte.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Fenomenologia della morte, tanatofobia e necrofilia nella società contemporanea

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Informazioni tesi

  Autore: Elisa Righetti
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2016-17
  Università: Accademia di Belle Arti
  Facoltà: Pittura
  Corso: Pittura
  Relatore: Matteo Chini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 104

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