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Scienza all'Indice: il caso Galileo e la censura libraria nel XVI secolo

Tra scienza e teologia

«Ministri e professori» della teologia non devono «arrogarsi autorità di decretare nelle professioni non esercitate né studiate da loro». La situazione sarebbe simile a quella di un «principe assoluto», che «conoscendo di poter liberamente comandare a farsi ubbidire, volesse, non essendo egli né medico né architetto, che si medicasse e fabbricasse a modo suo, con grave pericolo della vita de' miseri infermi, e manifesta rovina degli edifizi».

Sono queste le parole con le quali Galileo nella Lettera a Cristina di Lorena criticava l'invadenza della teologia in campo scientifico. Per lo scienziato tra oggetti, metodi e finalità della riflessione esegetico-religiosa e quelli dell'indagine scientifica vi era un'indiscutibile separazione e per questo nelle questioni naturali non si doveva invocare l'autorità della Sacra Scrittura.

Questa consapevolezza portò Galileo ad esporre le sue idee sempre con grande prudenza, costantemente rimarcata nelle Lettere Copernicane. Nella Lettera a Dini (23 marzo 1615) giudica come un «soverchio ardire» il suo «voler porre bocca […] in esplicar sensi di sì alta contemplazione», dichiarandosi «imperito nelle Sacre Lettere», o ancora nella Lettera a Cristina di Lorena, in cui dopo aver espresso il disagio a trattare di «considerazioni, remote dalla mia professione propria», e aver manifestato l'intenzione di «sottoporsi» a «rimuover liberamente quegli errori ne' quali per la mia ignoranza potessi in questa scrittura incorrere in materie attenenti a religione», chiariva le sue conclusioni, specificando di «esserne reso cauto da chi più di me intende di queste materie, al giudizio de' quali io sempre mi sottopongo».

Oltre a ripetere più e più volte il fatto di non voler entrare in un campo estraneo alle sue competenze, nelle tre lettere a Dini, a Cristina di Lorena e a Castelli, Galileo espone una vera e propria proposta ermeneutica. Una proposta che contribuì alla sua condanna avvenuta nel 1633. Vediamo di cosa si tratta.

Nella Lettera a Castelli Galileo sostiene che i testi sacri, per «accomodarsi all'intendimento dell'universale», dicono «molte cose diverse, in aspetto e quanto al significato delle parole, dal vero assoluto», poiché non sono obbligati a «contenersi con tutto rigore dentro a i limiti e ristretti significati delle parole», ma «ammetton in molti luoghi esposizioni lontane dal suono litterale».

Il «vero senso» delle Sacre Scritture va ricavato mediante un'operazione interpretativa: «È necessario che i saggi espositori produchino i veri sensi, e n'additino le ragioni particolari per che siano sotto cotali parole stati profferiti».

Al contrario, la natura è caratterizzata da un'intrinseca necessità e per questo non può essere sottoposta a nessuna operazione ermeneutica. Essa è «inesorabile e immutabile e nulla curante che le sue recondite ragioni e modi d'operare sieno e non sieno esposti alla capacità de gli uomini» e «non trasgredisce mai i termini delle leggi imposteli».

Molto spesso Galileo definisce la natura come qualcosa di «inesorabile». Questo termine compare spesso nell'opera dello scienziato in un'accezione etimologica (dal latino inexorabilis), inteso cioè come «non passibile di preghiere o di invocazioni». A questo riguardo, nella Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari (1613), la natura è descritta come «sorda e inesorabile a' nostri preghi», e nel Saggiatore (1623) come «sorda ed inessorabile a i nostri vani desideri».

La natura è, quindi, organizzata secondo leggi inderogabili e immutabili ed in tal senso caratterizzata da un significato univoco e non passibile di operazione interpretativa. A differenza dei parlanti, la natura non è capace di variare la propria espressione in base alla capacità di comprensione dell'interlocutore, non curandosi degli interessi degli uomini ed essendo regolata da un linguaggio di "cose" ed "eventi" caratterizzato da regole stabili e necessarie.

Di conseguenza, le conclusioni scientifiche non possono essere messe in dubbio da passi della Sacra Scrittura. I passi scritturali, a differenza dei fenomeni naturali, che, come abbiamo già detto, sono regolati da un legame necessario e univoco e per questo non suscettibili a qualsiasi possibilità interpretativa, sono passibili di un'interpretazione che ha il fine di determinarne il senso autentico. In altri termini, la Sacra Scrittura – in virtù della capacità espressiva propria del linguaggio verbale – è soggetta ad aggiustamenti di significato ed è passibile di interpretazione:
Pare che quello de gli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone innanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio per luoghi della Scrittura ch'avesser nelle parole diverso sembiante, poi che non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi così severi com'ogni effetto di natura.

Tutto quello che finora è stato detto deve essere posto in correlazione con quella regola ermeneutica, che si suol definire "principio dell'accomodamento", secondo la quale nelle questioni riguardanti i fenomeni naturali il linguaggio delle Sacre Scritture era stato appunto "accomodato", aggiustato, per essere compreso dalle persone incolte. Questo era possibile proprio grazie alla modulazione espressiva della parola. Tale principio venne spesso utilizzato dai sostenitori della teoria eliocentrica per eliminare quel contrasto esistente tra la teoria copernicana e il dettato biblico, circoscrivendo l'autorità delle Sacre Scritture ai soli aspetti etici e religiosi. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Scienza all'Indice: il caso Galileo e la censura libraria nel XVI secolo

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Informazioni tesi

  Autore: Eleonora Sarrocco
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi Ca' Foscari di Venezia
  Facoltà: Lettere
  Corso: Lettere
  Relatore: Valerio Vianello
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 76

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