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Il ''Lazarillo de Manzanares'' di Juan Cortés de Tolosa come epigono e superamento della tradizione canonica picaresca

Un approccio allo spazio letterario del pícaro di Tolosa

In ultima analisi ritengo di estrema importanza focalizzare questa fase del mio studio su un altro aspetto tanto rilevante quanto caratterizzante della prosa picaresca. Innanzitutto occorre determinare in che tipo di spazio si compie il movimento del pícaro di Tolosa inteso nel suo pieno senso storico-reale.
Come altri pícaros, sempre in viaggio lungo le vie affollate e polverose della Spagna barocca, anche il Lazarillo epigono percorre un cammino rigorosamente a piedi, dove la strada diviene scenario storico-reale indispensabile per le sue tappe e campo dell’esperienza diretta del mondo. Ma la fitta rete viaria che percorre tutta la Spagna aurea, con le sue molteplici fermate, i suoi angoli, i suoi incroci e i suoi bivi, non solo rappresenta il cuore pulsante dell’azione picaresca, ma, soprattutto, diviene ciò che Franco Moretti ha rilevato, nel suo Atlante del Romanzo Europeo (1997), come “spazio della letteratura”.
Partendo dal concetto chiave di “carte letterarie”, Moretti, come pochi, si è posto il problema di rintracciare quei topoi o spazi letterari all’interno dei quali l’azione dei personaggi, intesi non solo come creature di finzione astratte, ma, soprattutto, in quanto entità dinamiche e corporee, diviene visibile e inscindibile dalle sue coordinate spazio-temporali.
Occorre, così, rivalutare ciò che molta critica letteraria ha spesso tralasciato ovvero l’indissolubile rapporto di complementarietà tra geografia e letteratura e, soprattutto, quanto la geografia si sia rivelata un valido strumento di lavoro per rintracciare e dare senso al movimento e all’azione delle figure letterarie.
Inoltrarsi nell’ambito di studio della geografia della letteratura significa, innanzitutto, distinguere tra “spazio della letteratura” e “letteratura dello spazio”.
Se quest’ultima, infatti, ha come suo oggetto di studio la diffusione della letteratura nello spazio, in quanto essa stessa profondamente radicata nel suo contesto di storicità reale, compito primario dello “spazio della letteratura” è, invece, quello di individuare lo scenario fisico o immaginario delle opere letterarie, che nel caso della produzione picaresca diviene più che mai vivido e tangibile.
Ma non solo. L’apporto della geografia nel campo della letteratura, sottolinea Moretti, ha svolto un contributo più che fondamentale nel definire i contorni fisico- reali dei luoghi letterari, permettendo di rintracciare la “logica interna della narrazione” o meglio quello “spazio semiotico” intrinseco che sorregge l’intreccio narrativo e sul quale si organizza e sviluppa la materia letteraria.
Così l’importanza di sondare, scandagliare e interpretare le “carte letterarie”, come quei luoghi più o meno fisici o immaginari della letteratura, diviene mossa necessaria non solo per conferire valore e dimensione storica alle entità letterarie, ma, più specificamente, sostiene Moretti, per ridefinire il ruolo della geografia in rapporto alla letteratura, in quanto ‹‹[…] forza attiva, concreta, che lascia le sue tracce sui testi, sugli intrecci››.
Partendo dallo studio delle carte letterarie di Moretti, diviene più che mai necessario indagare lo spazio nel quale si inseriscono e si susseguono, incalzanti, gli episodi avventurosi del Lazarillo de Manzanares.
A prescindere dalla sua natura di epigono, anche nel Lazarillo di Tolosa la vida del protagonista non solo si trova intimamente radicata nel suo contesto storico, che in questo caso è la Spagna regale di Felipe III (1599-1621), ma, in particolare, si inserisce all’interno di una realtà geografica, fisica e concreta, ben delimitata nei suoi confini nazionali e caratterizzata, per lo più, dai suoi pittoreschi scenari urbani e rurali, dalle sue piccole e grandi città barocche, tutte insieme mete di un viaggio sia corporeo che simbolico.
Accanto al procedere lento e regolare del cammino andante, con le sue soste e i suoi imprevisti, emerge, dunque, l’idea di uno spazio “nazionale” ben definito, che diviene, finalmente, scenario e sfondo quotidiano di una serie di imprese antieroiche, ormai lontane e prive delle gloriose hazañas e degli intrepidi slanci d’avventura, che costituivano gli estesi viaggi d’oltremare dei valorosi cavalieri.
Se lo spazio letterario dei caballeros resta, quindi, indefinito e permeato dall’idea di un mondo unitario, dove l’elemento prodigioso converge e forma un tutt’uno col piano del reale, al contrario il pícaro agisce all’interno di un cosmo ben racchiuso dai suoi confini nazionali, che si estende lungo la strada maestra del mondo natio. La Spagna dei “Lazarillos” richiama, perciò, l’immagine di una “grande scacchiera” o meglio si configura come ‹‹[…] una nazione di strade, dove gli sconosciuti si incontrano e camminano insieme, si raccontano la propria vita, bevono, si dividono il pagliericcio››, suggerisce Moretti.
Gli spazi infiniti e dilatati dei prodi eroi cavallereschi vengono, quindi, ridimensionati dai brevi e tranquilli tragitti che il pícaro percorre a piedi, spesso soffermandosi presso qualche taverna lungo la via o imbattendosi, per caso, anche in loschi individui umani.

La monotonia del “viaggio di terra” viene, così, spezzata dagli incontri fortuiti dei contatti umani e dai pericoli insidiosi della strada picaresca, rendendo il flusso dell’azione temporale un movimento quasi a singhiozzo, discontinuo, ma pur sempre ricco di avvincenti avventure.
Ancora una volta ci ritornano utili le acute osservazioni di Guillén circa il tipo di movimento che l’eroe picaresco compie all’interno del suo mondo ordinario, che, finalmente, diviene entità concreta e quotidiana. In sostanza occorre approfondire ulteriormente la distinzione tra due tipi di movimento, uno di carattere “orizzontale” e l’altro di carattere “verticale”.
Il primo si realizza, come già detto, in relazione a uno spazio geografico nazionale, che viene esplorato e gradualmente scandito dalle tappe del cammino andante del pícaro protagonista. Tali peregrinazioni non solo permettono al furfante spagnolo di appropriarsi di uno spazio geografico a lui familiare, ma segnano in special modo l’indissolubile legame che il protagonista picaresco intesse col suo milieu tanto amato quanto rinnegato.
Il Lazarillo di Tolosa, infatti, si fa portatore massimo dell’ambivalente sentimento di amore e odio, che da un lato lo lega profondamente al regale ambiente della madrepatria, dall’altro, al contrario, lo spinge a rinnegare le infamanti origini del suo entorno familiare. Il riscatto dallo status di disonore iniziale e il desiderio di rottura con l’ambiente di infamia costituiscono gli ingredienti indispensabili dell’azione picaresca e, senz’altro, la molla necessaria per il compimento del grandioso progetto borghese, che nel caso di Lazarillo, assume i connotati di un’eroica ascesa sociale.
L’ambizioso processo di aburguesamiento configura, dunque, un tipo di movimento “verticale”, che nel pícaro di Tolosa raggiunge il pieno della sua realizzazione sociale, ma, soprattutto, mette in rilievo quel divario incolmabile che, ormai, oppone l’astratto sistema dei nobili ideali cavallereschi dai materiali principi utilitaristici dei quali, invece, i pícaros si fanno portatori.
Eroi di due mondi antitetici, in essi, infatti, il viaggio acquisisce sfaccettature e funzioni contrastanti, ma, soprattutto, delinea traiettorie spaziali estremamente opposte.
Tale iato spazio-temporale e primariamente ideologico viene scandagliato dall’attenta riflessione di Bachtin, nucleo tematico del suo saggio Le forme del tempo e del cronòtopo nel Romanzo in Estetica e Romanzo (1937).
Attraverso la lente analitica di Bachtin scorgiamo nel mondo del picaresco la totale assenza del “prodigioso”, elemento che non solo permea tutta la narrazione dei romanzi cavallereschi, divenendo un tutt’uno con la realtà, ma che mostra l’appartenenza dei suoi eroi a un mondo straordinario ‹‹riempito da una medesima gloria, da una medesima concezione delle gesta e dell’onta››.
Agli antipodi di questo cosmo, dove tutti i protagonisti ‹‹si glorificano e glorificano altri›› e si slanciano in grandiose prove di lealtà e onore, troviamo il basso mondo dell’esistenza umana, abitato da svariati furfanti e pícaros affamati.
Qui non solo lo spazio, ma anche il tempo della realtà è scandito dal ritmo tranquillo e quotidiano della vida humana, che, se nel romanzo cavalleresco ci appare “incantato”, poiché anch’esso deformato dal tempo del “prodigioso”, nel picaresco, invece, è scandito dal susseguirsi lineare degli avvenimenti episodici che il pícaro ripercorre a ritroso.
Tuttavia è proprio sul piano spazio-temporale della vita quotidiana, del mondo consueto e banale, che, secondo Bachtin, fanno il loro ingresso le emblematiche figure del buffone, dello sciocco e, ovviamente, del furfante.
Nonostante la loro estrazione di carattere popolare, legata al primitivo mondo delle maschere e dei costumi del teatro in piazza, il loro intimo rapporto con la temporalità dello spazio quotidiano permette a tali figure di ricoprire una nuova funzione sociale e letteraria e di occupare, all’interno del romanzo, una posizione privilegiata ossia quella di “smascherare”, in quanto maschere esterne alla vita sociale, le ipocrisie e la “cattiva convenzionalità” di un sistema umano corrotto e fallace.
Non si tratta, tuttavia, di meri tipi umani, bensì, spiega Bachtin, di veri e propri “attori della vita”, il cui legame con la realtà assume un significato prettamente “metaforico” in relazione all’esistenza umana.
Essi, quindi, si pongono ai margini del mondo sociale e in quanto “estranei” o, come nel caso del furfante, half-outsider godono del diritto e del privilegio di denudare e ribaltare qualsiasi aspetto della vita e dei rapporti umani.
Così dietro la beffarda e ingannevole parodia del buffone, la sana ingenuità dello sciocco e l’astuto ingegno del furfante, si nasconde la celata condanna dell’autore, che solo attraverso queste maschere può iperbolizzare e raffigurare ‹‹la vita come commedia e gli uomini come attori››.
Ritorna, ancora una volta, l’emblematico dissidio tra “homo interior” e “homo exterior” che, come abbiamo già visto, lacera in due l’animo del furfante spagnolo.
In quanto voce dal basso che si eleva sulle ipocrisie e l’inautenticità delle maschere umane, il pícaro si colloca, infatti, sulla soglia di un mondo, nel quale, da un lato, desidera affermarsi, ma che, dall’altro, egli condanna aspramente per le sue falsità.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il ''Lazarillo de Manzanares'' di Juan Cortés de Tolosa come epigono e superamento della tradizione canonica picaresca

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Informazioni tesi

  Autore: Rosalba Occhipinti
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Catania
  Facoltà: Dipartimento di Scienze Umanistiche
  Corso: Lingue e Letterature Comparate
  Relatore: Gaetano Lalomia
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 135

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