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Segi e Gestoras Pro Amnistìa: limiti e prospettive della tutela giurisdizionale nel terzo pilastro

Un conflitto possibile con la Corte europea dei diritti dell’uomo e le corti nazionali

Si può dire che risale agli anni “70 l’entrata in campo della Corte di giustizia per quanto riguarda i diritti fondamentali della persona umana, seguita da quella delle istituzioni della Comunità europea. Dopo l’affermazione negli anni “60 della propria incompetenza a controllare il rispetto di detti diritti fondamentali, riconosciuti dalle costituzioni degli Stati membri, da parte delle norme comunitarie, la Corte è costretta infine a riconoscere che questi diritti dell’uomo sono principi generali del diritto comunitario, di cui essa è obbligata ad assicurare il rispetto.

Questa giurisprudenza è stata all’origine di una presa di coscienza da parte delle istituzioni europee della necessità di assicurare il rispetto dei diritti umani nell’esercizio delle loro funzioni. Si sono susseguite, infatti, da parte loro diverse dichiarazioni che contenevano un impegno politico in tal senso, ma la tappa fondamentale di questo processo è costituita dalla presenza nel Trattato UE, a partire da Maastricht, dell’art. 6, nel quale in capo all’Unione si crea l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali come risultano dalla CEDU e dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri.

Dal 1992 non sono stati fatti significativi passi in avanti in questo processo; la Commissione ha dovuto abbandonare il suo progetto di far aderire la Comunità e l’Unione europea alla CEDU, a seguito del parere negativo della Corte di giustizia in merito, e la Carta dei diritti fondamentali firmata a Nizza il 7 dicembre 2000 non ha potuto entrare a far parte del diritto “costituzionale” dell’Unione, a causa del fallimento del progetto del Trattato costituzionale, e ancora oggi non è uno strumento giuridicamente vincolante.

Ciononostante nei cinquant’anni circa in cui hanno operato la Corte di giustizia e la Corte europea dei diritti dell’uomo, giurisdizione incaricata di vegliare sul rispetto da parte degli Stati membri del Consiglio d’Europa, che coincidono in parte con gli Stati membri della Comunità e l’Unione Europea, dei diritti dell’uomo, nessun vero conflitto è sorto tra le due corti.

Data l’inesistenza di mezzi formali di cooperazione tra le due giurisdizioni, come per esempio la possibilità per la Corte di Lussemburgo di porre quesiti pregiudiziali alla Corte europea dei diritti dell’uomo, le due giurisdizioni hanno dovuto, perciò, instaurare un dialogo informale ed essere vigilanti sulle rispettive giurisprudenze, anche perché le loro competenze, nel corso del tempo, si sono trovate a coincidere a tal punto che si è ormai verificato più volte che entrambe siano state costrette a pronunciarsi su una medesima fattispecie.

Questo succede soprattutto quando le vittime di una violazione di un diritto riconosciuto nella Convenzione imputabile ad un atto della Comunità o dell’Unione Europea, non potendo attaccare direttamente l’organizzazione internazionale che, come si è detto, non può ancora aderire alla CEDU, cercano di far accertare la responsabilità dello Stato membro che ha dato attuazione a tale atti.

Infatti tale responsabilità è stata individuata già nel 1990 dalla Commissione europea dei diritti dell’uomo nel caso “M & Co v. Germania”, in cui si affermava che poco importava che la violazione dei propri obblighi convenzionali fosse la conseguenza di disposizioni interne o della necessità di conformarsi ad un altro obbligo internazionale. Nel rapporto della Commissione europea dei diritti dell’uomo viene anche avanzata per la prima volta la teoria della “protezione equivalente” dei diritti fondamentali, che sarà ripresa nel leading case in materia, la sentenza “Bosphorus” della Corte europea dei diritti dell’uomo.

In base a questa linea giurisprudenziale il trasferimento di competenze e sovranità ad un’organizzazione internazionale come la Comunità europea non è incompatibile con l’obbligo degli Stati di rispettare i diritti e le libertà della CEDU, se tale organismo internazionale offre al suo interno una “protezione equivalente” dei diritti fondamentali. Nella decisione sul caso “Bosphorus”, in particolare, la Corte di Strasburgo riafferma che la Comunità europea fornisce questa protezione “equivalente”, ma specifica che si tratta di una presunzione semplice, che, quindi, può essere rovesciata dalla prova contraria (che la presunta vittima della violazione della Convenzione ha l’onere di presentare), che dimostri la tutela dei diritti umani offerta dall’ordinamento giuridico comunitario sia manifestamente insufficiente.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Segi e Gestoras Pro Amnistìa: limiti e prospettive della tutela giurisdizionale nel terzo pilastro

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Informazioni tesi

  Autore: Stefania Carminati
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: scienze giuridiche curriculum francese
  Relatore: Giacomo Di Federico
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 44

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Parole chiave

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