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I Fondi strutturali nel quadro delle politiche dell'Unione Europea: le programmazioni 2000-2006 e 2007-2013

Un nuovo scenario: l’allargamento dell’Ue

Come recita il trattato sull’Unione europea: “Ogni Stato europeo può domandare di diventare membro dell’Unione. Esso trasmette la sua domanda al Consiglio che si pronuncia all’unanimità, previa consultazione della Commissione e previo parere conforme del Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono. Le condizioni per l’ammissione e gli adattamenti dei trattati su cui è fondata l’Unione, da essa determinati, formano l’oggetto di un accordo tra gli Stati membri e lo Stato richiedente. Tale accordo è sottoposto a ratifica da tutti gli Stati contraenti conformemente alle loro rispettive norme costituzionali.”
Così, in occasione del Consiglio europeo di Copenhagen del giugno 1993, gli Stati membri si sono espressi a favore di un allargamento dell’Unione verso i Paesi dell’Europa centro-orientale. Il Consiglio ha inoltre definito tre criteri che i Paesi candidati avrebbero dovuto soddisfare per essere considerati ammissibili:
- Criterio politico: presuppone la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela.
- Criterio economico: prevede l’esistenza di un’economia di mercato affidabile con la capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all’interno dell’Unione europea.
- Adesione all’acquis comunitario: implica la disponibilità ad accettare gli obblighi derivanti dall’adesione e, in particolare, gli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria.
Pertanto, il primo maggio 2004 Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovenia, Ungheria, Cipro e Malta sono entrati a far parte dell’Unione. Successivamente, il primo gennaio 2007, vi hanno aderito anche Romania e Bulgaria. L’allargamento ha rappresentato sicuramente una rilevante opportunità di sviluppo sia per i quindici che per i nuovi Stati membri dell’Unione, ma ha avuto conseguenze rilevanti sia sulla struttura economica della Comunità, sia sulle politiche comunitarie stesse. Si è trattato di un ampliamento diverso da tutti i precedenti, in quanto ha coinvolto Paesi con livelli di reddito assai più bassi della media comunitaria, con una struttura economica nel pieno di un complesso processo di transizione e con istituzioni politiche ed economiche diverse da quelle dei vecchi Stati membri e spesso anch’esse in cambiamento. Un’Unione con 27 Stati membri conta una popolazione di circa 490 milioni di abitanti, con un incremento di poco meno del 30% rispetto all’Unione a 15. Non altrettanto rilevante è stata, invece, la variazione del Pil complessivo: i 10 Paesi entrati nel 2004 hanno aggiunto circa un 5% al Pil comunitario misurato a prezzi correnti. Il successivo ingresso di Romania e Bulgaria ha aggiunto l’8,3% alla superficie dell’Unione, il 6,3% alla sua popolazione, ma solo l’1% al suo Pil. Come complessiva conseguenza il Pil pro capite medio comunitario si è ridotto; a parità di potere d’acquisto nel 2004 il Pil pro capite statunitense era del 60% più alto e quello giapponese del 19% maggiore.
Sono aumentate dunque le disparità tra Stati all’interno dell’Unione, ma ancora più evidenti sono le disparità regionali: molte delle Regioni dei 12 nuovi membri hanno un livello di reddito inferiore alle più povere Regioni dei quindici; un livello meno distante dalla media è stato registrato solo a Cipro e Malta, in Slovenia e nelle Regioni di Budapest, Praga e Bratislava. Le disparità di reddito sono scaturite principalmente da livelli di produttività molto diversi, dovuti sia alla composizione settoriale delle economie sia alle capacità delle imprese; è registrabile uno scarto enorme tra le Regioni con i livelli di produttività più elevati dell’Unione (quelle che includono le capitali nella parte occidentale e settentrionale) e le aree con i livelli più bassi, all’interno dei nuovi Stati membri. Le Regioni europee che occupano i primi posti della classifica per valore della produttività hanno un livello che è venti volte più alto di quello di molte aree della Bulgaria e della Romania. In aggiunta, diversa è risultata essere la struttura occupazionale dei nuovi Stati membri. In particolare è ancora forte la percentuale di addetti nell’agricoltura soprattutto in alcuni dei più grandi, come Polonia e Romania. In questi due Paesi, ad esempio, vi sono Regioni in cui oltre un terzo degli occupati lavora in agricoltura e la quota degli occupati nel settore dei servizi, seppur in forte crescita, è inferiore a quella dei vecchi Stati membri.
Certo, fra il 1995 e il 2004, i nuovi Stati membri sono cresciuti in maniera consistente, pur con differenti intensità. Tali Paesi hanno intrapreso ampie riforme per modernizzare e rendere maggiormente dinamiche le loro economie, mutando la propria struttura economica e incrementando la produttività. La stabilità fornita dall’ingresso nell’Unione ha stimolato l’intensificarsi delle relazioni commerciali e dei flussi di investimento tra i quindici vecchi Stati membri e i nuovi entranti, contribuendo, contemporaneamente, alla crescita di questi ultimi e a fornire nuove opportunità per le imprese dei vecchi Stati membri. Pertanto l’allargamento ha agito, da un lato, come un fattore di modernizzazione per l’Unione nel suo complesso, mentre, il processo d’integrazione ha richiesto ulteriori forti aggiustamenti nelle economie degli Stati membri per poterne sfruttare ulteriormente i vantaggi. L’allargamento dell’Unione a 27 membri ha rappresentato una sfida senza precedenti per la competitività e la coesione interna; ha determinato anche l’estensione del divario di sviluppo economico tra le Regioni europee, uno spostamento geografico del baricentro della politica di coesione verso est e una più difficile situazione occupazionale che evidenzia ampie necessità d’intervento.
Tutto questo ha avuto automaticamente forti conseguenze sulle politiche regionali dell’Ue, per diversi ordini di motivi. In primo luogo, l’ampliamento geografico e l’aumento delle disparità interne alla Comunità ha reso ancora più necessario rispetto al passato elaborare politiche regionali che favoriscano e accompagnino le grandi trasformazioni essenziali. In secondo luogo, il contributo finanziario dei nuovi membri al bilancio comunitario è piuttosto contenuto. Essi sono però destinatari privilegiati delle due principali politiche comunitarie: il basso livello di Pil pro capite delle loro Regioni li candida come beneficiari delle politiche di coesione; l’alto peso dell’agricoltura consente loro di accedere a rilevanti trasferimenti previsti dalla Politica Agricola Comune (PAC). Infine, la sensibile riduzione del Pil pro capite medio dell’Unione a 27 rispetto all’Unione a 15 ha fatto sì che tutte le Regioni dei quindici siano risultate comparativamente meno povere. Questo mero effetto contabile potrebbe avere effetti rilevanti per quelle Regioni che, per questo motivo, possono risultare non ammissibili per l’Obiettivo 1 (nella terminologia della programmazione 2000-2006) dei Fondi strutturali.

Questo brano è tratto dalla tesi:

I Fondi strutturali nel quadro delle politiche dell'Unione Europea: le programmazioni 2000-2006 e 2007-2013

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Informazioni tesi

  Autore: Chiara Tenerani
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Pisa
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Politiche e Relazioni internazionali - classe 60/s
  Relatore: Alessandro Volpi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 183

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