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Politica e società in Italia nel secondo dopoguerra

Verso il Referendum

Il governo di Ferruccio Parri fallì nel suo tentativo di rinnovamento, causato dal peggioramento dell’ordine pubblico, messo in crisi dalle occupazioni delle terre nel Meridione e dagli scioperi nelle fabbriche del Nord; altre cause di questo fallimento furono l’opposizione da parte dei liberali, capeggiati da Benedetto Croce e Luigi Einaudi, ed il mancato appoggio dei partiti di sinistra.

Tale governo, dopo soli cinque mesi di mandato, dal giugno al novembre 1945, fu sostituito dal governo De Gasperi: quest’ultimo era riuscito a riscuotere molta fiducia da parte dei partiti di sinistra, i quali ritenevano il leader democristiano l’unica figura in grado di tenere lontane ulteriori crisi politiche in vista delle elezioni amministrative.

In effetti egli riuscì ad ottenere dalla sinistra diverse concessioni, riuscendo contemporaneamente a rinviare la data delle elezioni politiche, dal momento che, essendo Ministro degli Esteri, era in abituale contatto con gli Alleati e questi gli consigliarono di far precedere le elezioni nazionali da quelle amministrative. In sostanza il ragionamento di base era ovvio, in quanto, come sostenuto da Lombardi, più tempo c’era perché “la lava incandescente del 1945” si raffreddasse, maggiori erano le possibilità per i moderati di vincere le elezioni.

A tal fine, De Gasperi minacciò una crisi ministeriale se il suo ragionamento non fosse stato condiviso da tutti gli altri, e dunque, le elezioni amministrative furono fissate nella primavera del 1946, ben più tardi rispetto agli altri paesi che, al pari dell’Italia, avevano sofferto fortemente l’occupazione nazista.

Intanto, nel novembre 1945, i liberali annunciarono di volersi ritirare dal governo dal momento che ritenevano oramai chiusa l’esperienza di Parri, De Gasperi appoggiò la loro mossa politica e al “Presidente” non rimase altra scelta che quella di presentare le proprie dimissioni, dichiarando al contempo la sua profonda amarezza per il “colpo di stato” realizzato contro di lui; ma i maggiori partiti di sinistra, comunisti e socialisti, non manifestarono alcun dissenso, in quanto già pensavano di conferire l’incarico a De Gasperi.

In effetti, il 10 dicembre egli diventò Presidente del Consiglio con una squadra formata da Nenni, come vice – presidente, Togliatti, come Ministro di Grazia e Giustizia ed il socialista Romita, come Ministro degli Interni.
Nei mesi successivi, De Gasperi propose numerose volte il referendum, per risolvere l’importante questione istituzionale relativa alla permanenza della Monarchia in Italia contro la forma repubblicana, non tanto perché auspicava la vittoria della prima, quanto perché voleva nascondere la diversità ideologica tra l’elettorato democristiano, favorevole alla Monarchia, e i dirigenti del partito, propensi alla Repubblica.

In relazione ai poteri da attribuire all’Assemblea Costituente, egli propose che la stessa non dovesse avere alcun potere legislativo, ma la sua funzione si sarebbe dovuta limitare alla stesura della nuova Costituzione, dal momento che egli temeva, con la presenza di Nenni e Togliatti al governo, un’evoluzione di tale organo in una “convenzione” improntata sul modello della Rivoluzione Francese.

A fronte della dura posizione assunta da De Gasperi su entrambe le questioni, la sinistra fu molto morbida, tanto che Nenni nel febbraio del 1946 annotò nel suo diario le proposte insistenti che erano state fatte nei suoi confronti per ottenere diverse concessioni: il timore di manifestazioni violente contro i ritardi e le polemiche del governo, di una crisi ministeriale, la possibilità di un intervento alleato, il rischio di provocazioni fasciste e monarchiche.

Oltre a questo aspetto, occorre rilevare che durante i governi Parri e De Gasperi, il tradizionale apparato burocratico – amministrativo, ereditato dal fascismo, non fu affatto modificato, anzi, il sistema fu consolidato nella sua interezza.
In effetti, comunisti e socialisti non erano interessati alla questione della riforma del potere centrale a Roma, dal momento che erano convinti della neutralità delle istituzioni statali e, contemporaneamente, rivolgevano il loro totale interesse a raggiungere il potere con le elezioni amministrative.

La conseguenza di tutto ciò fu che nel biennio 1945 – 1947 nulla fu realizzato per riformare “la macchina burocratica” dello Stato, neanche nel settore della giustizia, dove Togliatti rivestiva il ruolo di ministro.
Invece, fu fatto qualche tentativo per epurare il personale, ovvero per punire coloro che avevano in qualche modo sostenuto il regime fascista; tale rivendicazione era chiesta soprattutto dai battaglieri della Resistenza e dalle persone che avevano sofferto durante il regime di Mussolini.

Occorre però precisare che molti settori dell’amministrazione pubblica, tra i quali la magistratura, non furono nemmeno toccati: si osserva che su sessantaquattro prefetti in servizio, sessantadue erano stati funzionari sotto il fascismo, e quindi soltanto due di loro erano stati rimossi; la medesima osservazione può essere fatta per i centotrentacinque questori e per i loro centotrentanove vice, in quanto solo cinque di essi avevano partecipato in qualche modo alla Resistenza.
Anche diversi dirigenti fascisti furono assolti in modo scandaloso: Paolo Orano, capo di stato maggiore di Mussolini durante la marcia su Roma, venne dichiarato non colpevole in quanto mancava un nesso causale tra i suoi comportamenti e la distruzione della democrazia, stessa sorte toccò a Renato Ricci in quanto la guarda nazionale di Salò venne giudicata una forza di polizia interna.

Il processo di epurazione, pur se poco efficace, terminò nel giugno 1946 con la promulgazione di un’amnistia da parte di Togliatti; ciò fu molto criticato in quanto permise a molti torturatori fascisti di sfuggire alla giustizia.
Nello specifico, occorre ricordare l’assurda distinzione tra torture ordinarie e quelle particolarmente efferate: attraverso tale meccanismo, i tribunali riuscirono ad assolvere crimini terribili, quali lo stupro di gruppo ad una partigiana, la tortura di alcuni partigiani appesi al soffitto come fossero sacchi da pugilato, e infine la tortura tramite scariche elettriche sugli organi genitali.

In sostanza, l’unica reale epurazione fu effettuata dai Ministri democristiani contro i partigiani e gli antifascisti occupati nell’amministrazione statale; in effetti, gradualmente, De Gasperi sostituì tutti i prefetti nominati dal Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (Clnai), con funzionari di carriera scelti personalmente.
Infine, anche nell’ambito della polizia, il Ministro democristiano Mario Scelba, nel 1947 – 1948, epurò rapidamente il corpo poliziesco dal consistente numero di partigiani che vi erano entrati con la liberazione nel 1945.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Politica e società in Italia nel secondo dopoguerra

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Informazioni tesi

  Autore: Carlo Bernardi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi di Camerino
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Paolo Giovannini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 119

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