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La violenza di genere raccontata dai mass media. Un’indagine sulle narrazioni di femminicidio proposte da alcune testate giornalistiche.

Victim blaming

Con il termine victim blaming, usato per la prima volta dallo psicologo statunitense William Ryan, si intende la colpevolizzazione della vittima per il reato di stupro ed essa è funzionale al mantenimento della rape culture. Tale meccanismo di «rivittimizzazione» o «vittimizzazione secondaria», invisibile ma ben radicato nella coscienza collettiva, che porta all’attribuzione della responsabilità alla vittima, è un modo comodo e rassicurante per ignorare il problema di fondo; se così non fosse, se non si puntasse il dito contro la vittima, questo significherebbe mettere in discussione l’intero sistema di credenze e valori su cui si fonda la società, riconoscendone una millenaria prevaricazione maschile. La credenza fondante è quella di rifiutare il male, pensando sia la donna a dover evitare determinate situazioni, comportandosi bene, per fare in modo che niente di negativo possa succederle. La violenza di genere giustificata attraverso il victim blaiming, disloca i ruoli imputando alla vittima una corresponsabilità nella violenza subita, è una sorta di giustificazione collettiva. Il colpevole di un atto è chi compie quell’atto. A nessun’altra situazione sociale o psicologica è corretto attribuire la responsabilità di quello stupro, compiuto per lo più da comuni uomini eterosessuali e non da pazzi o criminali incalliti.
[…]
Il biasimo della vittima è un’alibi di chi vuol giustificare i propri soprusi, fa parte dei meccanismi che hanno la funzione di disimpegnare temporaneamente la condotta dai princìpi morali normalmente professati. Per illustrare tali meccanismi di disimpegno morale, si fa riferimento a quanto affermato da Albert Bandura nel 1977, il quale ne individua diversi:
• Etichettamento eufemistico: ridimensiona la sofferenza derivante dalle conseguenze distorcendo il reale significato dell’azione che risulta così mascherato (raptus passionale).
• Distorsione delle conseguenze: permette di minimizzare o ignorare la serietà delle conseguenze delle proprie azioni non considerandone gli effetti.
• Attribuzione di colpa: ci si convince che ciò che ha subito la vittima sia stato da lei provocato e meritato.
Quando si parla di disimpegno morale è opportuno far riferimento alle quattro forme individuate da Chiara Volpato nella sua opera Deumanizzazione

Come si legittima la violenza :
• La prima forma riguarda ristrutturazioni cognitive che ridimensionano i comportamenti negativi giustificandoli sul piano morale, etichettandoli in modo eufemistico.
• La seconda minimizza il ruolo dell’agente, diluendo la responsabilità attraverso il concorso di più persone.
• La terza forma indebolisce il controllo morale distorcendo o minimizzando le conseguenze degli atti compiuti.
• L’ultima riguarda le vittime, incolpate di ciò che subiscono (“se l’è cercata”, “così impara ad uscire di notte da sola”, “è successo perché indossava una gonna corta”, “perché non hai reagito?”, “avresti dovuto bere di meno”)

Da tutto questo deriva la ritrosia della donna a denunciare, in quanto si trasforma da vittima ad imputata alla quale vengono rivolte accuse per ciò che ha subito lei stessa; le vengono poste svariate domande riguardo la sua vita privata, sessuale, la sua rettitudine morale e i suoi atteggiamenti. Inoltre accade che la vittima di stupro decida di non portare alla luce ciò che le è accaduto per paura del giudizio altrui, di non essere creduta o di essere ritenuta lei stessa responsabile. «La sofferenza si accompagna alla vergognata dignità calpestata si associa alla perdita di autostima, la negazione di sé affonda in un profondo senso di impotenza, la paura viene amplificata dalla solitudine, la prevaricazione viene scambiata per desiderio.» Le donne abusate si sentono loro stesse colpevoli, poiché sanno già che si troveranno davanti ad un giudizio diffuso, così come le è stato insegnato dall’ambiente nel quale vivono. Spesso sono costrette ad affrontare attacchi di panico, sensazioni di disgusto, ira, confusione, impotenza e/o inadeguatezza, poiché si sentono in colpa per non essere riuscite a difendersi, a prevedere il pericolo in agguato. Siamo di fronte ad una frantumazione identitaria e la persona che la vive, senza adeguati sostegni sociali e senza strumenti per affrontare tale brutale realtà, proverà sempre un forte senso di paura.
Osservando il fenomeno del victim blaming vi è traccia di una sotto cultura che emerge esplicitamente e, oltre a scoraggiare le sopravvissute dal chiedere aiuto, minimizza l’attenzione nei confronti del carnefice impegnandosi a dare la colpa alla vittima per aver scatenato l’aggressività maschile.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La violenza di genere raccontata dai mass media. Un’indagine sulle narrazioni di femminicidio proposte da alcune testate giornalistiche.

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Informazioni tesi

  Autore: Sara Vanneschi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze dell'educazione e della formazione
  Relatore: Irene Biemmi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 66

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Parole chiave

donne
mass-media
violenza di genere
femminicidio
pedagogia di genere
testate giornalistiche

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