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Lo spettro dell'ansia. Graphic novel e videogiochi dagli anni ottanta ad oggi

Videogiochi: un’arte da comprendere

Ogni termine legato allo spettro dei videogiochi è da anni campo di battaglia tra i suoi difensori e detrattori, pronti ad avvalersi di qualsiasi evento di cronaca o studio medico (vero o falso che sia) per aggiungere un’argomentazione alla propria arringa. Effettivamente i campi semantici di questo argomento sono davvero molteplici, in quanto è possibile parlare di videogiochi non solo come forma di intrattenimento, ma anche in senso lavorativo, come forma di approccio educativo, ed in tanti altri settori. È importante chiedersi allora anche se il videogioco può considerarsi una forma d’arte. Analizzando i dati che abbiamo a disposizione, la risposta più veloce sarebbe sicuramente si: sapendo che arte è definita in quanto techne, il videogioco essendo assimilabile a diverse forme artistiche quali l’architettura (più di tutti) o il cinema, possiamo dare per assodato che anche il videogioco sia arte:

Nell'autunno del 2005, il celebre critico statunitense Roger Ebert ha involontariamente scatenato un intenso dibattito sulla natura del medium videoludico. [...] Ebert ha dichiarato che il videogame entra intrinsecamente inferiore rispetto a forme d'arte "vere e proprie", come la letteratura e il cinema. […] Sebbene sul piano meramente estetico (grafic design, musica e sonoro) i videogiochi possiedono alcune caratteristiche artistiche, il medium in quanto tale non rientra nell'alveo dell'arte.14

Analizzando il videogioco dal punto di vista comparatistico, possiamo evidenziare come questo sia caratterizzato dalla fusione e dall’armonia di innumerevoli comparti artistici che collaborano nella realizzazione di un unico media: il reparto grafico, che fonde elementi di disegno (anche con diversi stili) ad elementi architettonici; il reparto dedito alla programmazione, che deve effettuare calcoli analitici precisi per il corretto funzionamento del gioco stilando centinaia di linee di codice; per non parlare delle musiche (spesso originali); il reparto narrativo che scrive storia e dialoghi; quello dell’adattamento che si occupa della traduzione e diffusione del gioco in questione, e tanti altri reparti che spesso non vengono considerati, ma fondamentali affinché un progetto del genere vada in porto.
Innumerevoli inoltre sono gli studi in psicologia che effettuano continue ricerche sulla valenza e sull’importanza del videogioco per la formazione della persona, non escludendo i possibili rischi che si possono sempre rincorrere. Volendo parlare dei rischi che può portare l’abuso del videogioco, è facile pensare negli adolescenti, come questi possano essere la causa di un calo nel rendimento scolastico, fino ad arrivare addirittura disturbi quali l’Ahdh Disorder «Indicata in italiano dalla sigla DDAI, questa patologia si riferisce a un disturbo da deficit di attenzione e iperattività, tipico della fase evolutiva. […] Caratterizzato da una sostanziale incapacità di autoregolazione, può riguardare in maniera esclusiva l'attenzione [...], l'iperattività [...] o entrambe le aree»15.
Tra le varie ed innumerevoli categorie di videogiochi esistenti, molti sviluppatori dedicano buona parte del loro operato nello studio ed applicazione di metodi psicologici da inserire nelle loro opere, in questo modo non solo cercano di far affezionare il videogiocatore al titolo per i suoi contenuti, ma anche per le sensazioni e l’aiuto che il gioco in questione gli provoca:

Tra le potenzialità dei videogiochi, merita particolare attenzione la possibilità di una loro applicazione in ambito riabilitativo. Attraverso questi media è possibile attivare un processo di cambiamento che coinvolge persone affette da deficit fisici o psichici, al fine di acquisire competenze e tecniche funzionali al miglioramento del proprio benessere e della propria condizione.16

Strettamente legata al concetto di videogioco ovviamente c’è la figura del videogiocatore, il soggetto che in prima persona interagisce con l’opera videoludica e che può tanto esserne vittima quanto suo benefattore. In base al legame tra il giocatore e questo medium o addirittura dalle sue capacità di gioco è possibile distinguere i videogiocatori in diverse categorie:
I casual gamers, che rappresentano la fetta più grande dei videogiocatori, ovvero coloro che hanno un approccio sporadico con il mondo dei videogiochi e che trascorrono periodi di tempo limitati davanti ad un pc o una console e che preferiscono giocare ad un modesto numero di giochi, spesso appartenenti alla stessa categoria o alla stessa saga.
Gli appassionati di videogiochi sono quelli che più di tutti investono risorse economiche in quest’ambito, passano buona parte del loro tempo o giocando o informandosi riguardo le novità che entreranno a far parte del mercato videoludico, spesso fanno parte di forum online, dove soprattutto negli ultimi anni si stanno creando vere community di videogiocatori. Essendo un mercato in crescita, soprattutto a seguito della pandemia, nell’ultimo decennio gli eventi a loro dedicati sono cresciuti di numero in scala globale e la figura dell’influencer che tratta principalmente di videogiochi e cultura nerd/pop è diventato un vero lavoro, con fama assimilabile a quella di un attore o atleta sportivo.
Infine possiamo trovare il giocatore competitivo, che come l’influencer presenta un’effettiva possibilità lavorativa per moltissimi atleti. Determinati videogiochi infatti ormai sono considerati sport elettronici (e-sports) in cui molti atleti gareggiano in tornei e competizioni nazionali e mondiali, come anche le prossime Olimpiadi a Parigi nel 2024. Il videogiocatore competitivo infatti è colui che non gioca, solo, per passione, bensì come allenamento per migliorare giorno dopo giorno con schede che possono prevedere anche sessioni di 10 ore al giorno, un’apposita dieta e studi di matematica ed informatica.
Indipendentemente dalla categoria di videogiocatori a cui si appartiene, l’aspetto che più unisce il giocatore al videogioco è la rappresentazione dell’io che quest’ultimo permette. La possibilità di rappresentare sé stessi o, in maniera opposta, di chi vorremmo essere mediante un avatar, «[…] una rappresentazione grafica che, nel contesto dei mondi virtuali, serve all’utente per rappresentare la propria utenza»17, permettendoci di godere di un’immersività che altri media come il cinema o la letteratura non possono raggiungere. Allo stesso modo questa forte immersione sensoriale comporta il forte rischio di venire ingannati dalla tecnologia e percepire il prodotto digitale come elemento del mondo reale e questo effetto è anche chiamato media presence18.





14 Matteo BITTANTI, Intermedialità. Videogiochi, cinema, televisione, fumetti, Unicopoli, Milano 2008, p.11
15 Stefano TRIBERTI, Luca ARGENTON, Psicologia dei videogiochi. Come i mondi virtuali influenzano mente e comportamento, Apogeo, Milano 2013, p.151
16 Francesco BOCCI, Francesco ITALIANO, Andrea ZANACCHI, Dentro il videogioco. viaggio nella psicologia dei videogiochi e nei suoi ambiti applicativi, Ananke lab, Torino 2019, p.167
17 Stefano TRIBERTI, Luca ARGENTON, Psicologia dei videogiochi. Come i mondi virtuali influenzano mente e comportamento, cit., p. 28.
18 Cfr. Ibidem, p.60.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Lo spettro dell'ansia. Graphic novel e videogiochi dagli anni ottanta ad oggi

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Informazioni tesi

  Autore: Michele Iaccarino
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2022-23
  Università: Università degli Studi di Napoli - Federico II
  Facoltà: Lettere
  Corso: Lettere
  Relatore: Elisabetta Abignente
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 51

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