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I prezzi predatori e la concorrenza

Il processo concorrenziale genera vincitori e vinti. Le imprese lottano, in un sistema di libero mercato, per la sopravvivenza e la supremazia all’interno del loro settore industriale o mercato. La fortuna di un’impresa è data dalla capacità di interagire con il proprio ambiente e ritagliarsi una posizione di vantaggio sui concorrenti sostenibile nel lungo periodo. Per fare ciò, l’operatore economico deve valutare le proprie azioni misurandone gli effetti sulla struttura industriale e l’utilità attesa anche in considerazione del fatto che essi inneschino effetti negativi sui concorrenti, o conducano a fenomeni di cooperazione con essi. Tale tipo di comportamento è generalmente definito “strategico”.
Il comportamento strategico rientra nella categoria dei comportamenti unilaterali dell’impresa, ossia dei comportamenti che non sono il risultato di un’intesa con i concorrenti. Tale tipo di comportamento posto in essere da un’impresa dotata di potere di mercato ed in contrasto con le norme di diritto antitrust è detto anticoncorrenziale, escludente o predatorio: “è predatorio il comportamento strategico unilaterale che esclude i concorrenti dal mercato per monopolizzarlo artificialmente o per conservare, sempre artificialmente, la posizione monopolistica già conquistata” .
Il comportamento unilaterale crea il problema, nel diritto della concorrenza, di individuare il fattore che segna il passaggio dalla classe della concorrenza sui meriti alla patologia della predazione. Questo problema caratterizza tutta la disciplina dei comportamenti anticoncorrenziali: l’intera Section 2 dello Sherman Act e parte della Section 2 del Clayton Act negli Stati Uniti; la parte più rilevante dell’art. 82 del Trattato CEE e di tutte le analoghe disposizioni nazionali dei paesi dell’Unione (in Italia l’art. 3 legge n. 287/1990); un segmento importante delle discipline in tema di concorrenza sleale (nel nostro diritto la parte dedicata agli atti contrari alla correttezza professionale: art. 2598, n. 3 c.c.); nonché le varie discipline specifiche sulla vendita sotto costo (in Italia, l’art. 15 del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 114).
Un punto d’attacco quasi obbligato al problema dei comportamenti unilaterali è costituito dal tema del presente lavoro: il predatory pricing. La pratica è tradizionalmente considerata l’archetipo del comportamento predatorio: di fronte alla vendita in perdita operata dall’impresa in posizione dominante è facile assumere di trovarsi dinanzi ad un comportamento dettato dall’intenzione di eliminare i concorrenti dotati di minori capacità finanziarie. Il problema si pone nel momento in cui si debba determinare il concetto, tipicamente economico, di “vendita in perdita” necessario ad individuare lo spartiacque tra la pratica predatoria e concorrenza sui meriti. Il tema pertanto richiede lo sviluppo di specifiche argomentazioni scientifiche che possano essere maneggiate dai giuristi. Tale fenomeno ha creato un vivace circuito d’interscambio tra esperienza giuridica e scienza economica, sviluppatosi in maniera peculiare negli Stati Uniti.
L’analisi della letteratura giuseconomica sul tema dei prezzi predatori risulta, pertanto, un passaggio obbligato per gli approfondimenti critici dedicati all’ordinamento comunitario e a quello nazionale. Ed è per questo che, nel presente lavoro, è stato dedicato un capitolo importante all’analisi economica del tema, senza la quale sarebbe risultata complessa la comprensione dei criteri di giudizio adottati dalle autorità nazionali e comunitarie.

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ALCUNE NOZIONI PRELIMINARI 1.1 . Premessa. Il diritto comunitario della concorrenza prevede tre fattispecie oggetto della disciplina: a) le intese tra (due o più) imprese (art. 81 UE); b) l’abuso di posizione dominante (art. 82 UE); c) le operazioni di concentrazione (Regolamento n. 4064/89). La disciplina delle prime due vuole regolare il comportamento delle imprese nel mercato, con lo scopo di sanzionare eventuali condotte suscettibili di falsare, restringere o impedire il libero e regolare svolgimento della concorrenza. La disciplina delle concentrazioni invece, vigila ex ante sulle dinamiche strutturali per impedire il formarsi, attraverso il collegamento organico di più entità economiche, di centri di potere sproporzionati rispetto al mercato e quindi in grado di controllarlo e falsificarne i meccanismi. Considerazioni analoghe possono essere fatte per la disciplina antitrust nazionale, introdotta con la l. 10 ottobre 1990, n. 287 (“Norme per la tutela della concorrenza e del mercato”), la cui derivazione dalla disciplina comunitaria risulta evidente, tant’è che nella stessa si dice: “l’interpretazione delle norme contenute nel presente titolo è effettuata in base ai principi dell’ordinamento della Comunità europea in materia di disciplina della concorrenza” 1 . Come si evince anche dal titolo, il presente lavoro si occupa solo ed esclusivamente dell’abuso di posizione dominante, e nello specifico del predatory pricing, e pertanto della fattispecie prevista dall’art. 82 UE dall’art. 3 l. n. 287/90, oltre che, naturalmente, dall’art. 2598 cc. nella disciplina della concorrenza sleale. Risulta evidente, dalla lettura dei 1 Art. 1, 4 o co., l. n. 287/90.

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Informazioni tesi

  Autore: Mauro Mammina
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2002-03
  Università: Università degli Studi Ca' Foscari di Venezia
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia Aziendale
  Relatore: Davide Sarti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 201

FAQ

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