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La dinamica dei prezzi e dei tassi di cambio: teorie ed evidenze empiriche

La teoria della parità dei poteri d’acquisto afferma che i livelli dei prezzi nazionali devono essere uguali una volta espressi in un'unica moneta. Questa nozione, supportata in teoria dai vantaggi generati dalla possibilità per gli operatori economici di sfruttare le opportunità di arbitraggio, non è osservata nella realtà. Numerosi sono i fattori che causano i fallimenti della parità dei poteri d’acquisto, tutti sintetizzabili nella non perfetta integrazione dei mercati internazionali.
I principali fattori impiegati dall’analisi empirica, per spiegare i fallimenti della parità dei poteri d’acquisto, sono la “distanza” e il “confine”. La “distanza” misura la presenza di costi di trasporto che non permettono un perfetto arbitraggio nei mercati dei beni. Con il termine costi di trasporto si intende riferirsi a qualsiasi cosa renda più costoso vendere un bene in un posto rispetto ad un altro.
L’effetto “confine” sulla dispersione dei prezzi è stato diviso in due effetti: un effetto barriere reali e l’effetto confine generato dalla contemporanea presenza di prezzi nominali vischiosi e tassi di cambio nominali estremamente volatili.
Un’unione valutaria eliminando le fluttuazioni dei tassi di cambio tra i Paesi membri dovrebbe allora ridurre drasticamente i fallimenti della parità dei poteri d’acquisto.
Recenti studi empirici, tra cui C. Engel e J. H. Rogers (2004), hanno mostrato che la semplice osservazione dei prezzi nei Paesi dell’UME non sembra aver messo in evidenza una riduzione della dispersione dei prezzi successivamente al 1999. La dispersione dei prezzi dei beni al consumo è stata declinante per tutti gli anni 90 ma la convergenza sembra essersi arrestata a partire dal 1999.
Un motivo per cui non si osserva una riduzione nella dispersione dei prezzi nei mercati dei beni europei potrebbe essere dovuto alla presenza di divergenti tassi di inflazione nei Paesi dell’UME a partire dal 1999. I divergenti tassi di inflazione nei Paesi Europei possono aver incrementato la dispersione dei prezzi compensando l’effetto dell’adozione dell’euro.
La maggiore integrazione economica dei Paesi aderenti ad un’unione monetaria, come l’Unione Monetaria Europea, facilita i rapporti commerciali tra questi Paesi. L’adozione di una moneta unica elimina i costi di cambio valuta e rende le transazioni commerciali più trasparenti, generando un incremento dei rapporti commerciali dei Paesi che la adottano. Un importante studio volto ad analizzare l’effetto di un’unione monetaria sul commercio è quello effettuato da Andrew K. Rose (2000). Secondo questo studio, due Paesi che condividono una moneta comune hanno rapporti commerciali tra loro, tre volte superiori ai Paesi con monete diverse.
Rose generò un ampio dibattito sul tema e raccolse molte critiche. Forse la critica più acuta al lavoro di Rose è che esso si basa su Paesi molto piccoli e/o poveri e pertanto poco adattabile ai grandi Paesi come i membri dell’UME.
Gli anni trascorsi a seguito dell’introduzione della moneta unica in Europa hanno dato i primi risultati relativi all’effetto dell’euro sui rapporti commerciali dei Paesi che lo hanno adottato. Alcuni autori tra cui Alejandro Micco, Ernesto Stein e Guillermo Ordoñez (2003) suggeriscono che l’euro ha già avuto un effetto importante sull’incremento delle relazioni commerciali dei Paesi dell’UME, un effetto compreso tra il 4 e il 16%. Inoltre l’euro non sembra aver deviato i flussi commerciali dei Paesi dell’UME dai Paesi esterni all’Unione ai Paesi interni. I Paesi dell’UME sembrano aver infatti incrementato i loro rapporti commerciali anche coi Paesi esterni all’Unione.
L’ultimo capitolo presenta infine un’analisi empirica sul legame esistente tra tasso di cambio nominale effettivo ed indici dei prezzi al consumo di diverse categorie di beni per due grandi economie: gli Stati Uniti e l’area dell’Unione Monetaria Europea. L’idea di fondo è di verificare se è il tasso di cambio ad incidere sui prezzi come afferma la teoria dell’inflazione indotta dai costi delle materie prime importate, o viceversa sono i prezzi al consumo ad influenzare il tasso di cambio come previsto dalla PPP.
L’analisi di causalità sui dati considerati mostra come esista un legame fra indici dei prezzi al consumo e tasso di cambio nominale effettivo; in particolare i prezzi al consumo influenzano il tasso di cambio mentre questo non ha alcun effetto su tali prezzi. Tale legame è inoltre del segno corretto almeno per quanto riguarda i dati relativi agli Stati Uniti.
Secondo l’analisi sviluppata infatti ad un incremento dell’indice generale dei prezzi al consumo degli Stati Uniti corrisponde un proporzionale deprezzamento del tasso di cambio nominale effettivo del dollaro. La parità dei poteri d’acquisto è verificata negli Stati Uniti almeno nel lungo periodo.

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1 Introduzione Il 1° gennaio 1999 undici Paesi Europei hanno adottato una moneta comune, l’euro, entrando a far parte dell’Unione Monetaria Europea. L’UME è stato un passo importante del processo di integrazione Europea iniziato con la costituzione della Comunità Economica Europea nel secondo dopoguerra. In molte regioni del mondo i Paesi affrontano la decisione se entrare o meno a far parte di un’unione monetaria. Un’unione monetaria incrementa l’integrazione economica dei Paesi che ne fanno parte. Così l’introduzione dell’euro dovrebbe incrementare l’integrazione economica dei Paesi che lo hanno adottato. Due importanti misure dell’integrazione economica raggiunta da un gruppo di Paesi sono date dalla dispersione dei prezzi e dall’ammontare dei rapporti commerciali. La non perfetta integrazione dei mercati internazionali fa sì che si verifichino differenze nei prezzi dei beni in Paesi differenti. Al crescere dell’integrazione economica tra i Paesi tali differenze dovrebbero diminuire, mentre aumenteranno i rapporti commerciali. In questa tesi dopo aver definito le nozioni relative alla teoria della parità dei poteri d’acquisto ed aver esposto i fattori che secondo la letteratura esistente causano i fallimenti di tale teoria, ci si sofferma sugli effetti di un’unione monetaria e in particolare dell’unione monetaria europea, sull’integrazione economica dei Paesi aderenti, misurata dalla dispersione dei prezzi e dall’ammontare dei rapporti commerciali. Secondo la teoria della parità dei poteri d’acquisto i livelli dei prezzi nazionali devono essere uguali una volta espressi in un'unica moneta. Questa nozione, supportata in teoria dai vantaggi generati dalla possibilità per gli operatori economici di sfruttare le opportunità di arbitraggio, non è osservata nella realtà. Numerosi sono i fattori che causano i fallimenti della parità dei poteri d’acquisto, tutti sintetizzabili nella non perfetta integrazione dei mercati internazionali. I principali fattori impiegati dall’analisi empirica, per spiegare i fallimenti della parità dei poteri d’acquisto, sono la “distanza” e il “confine”. La “distanza” misura la presenza di costi di trasporto che non permettono un perfetto arbitraggio

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Informazioni tesi

  Autore: Alessandro Paolino
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2005-06
  Università: Università degli Studi di Catania
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia e Commercio
  Relatore: Roberto Cellini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 182

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Parole chiave

arbitraggio
barriere al commercio internazionale
beni commerciati e non commerciabili
causalità
cointegrazione
convergenza dei prezzi
diversione di commercio
inflazione importata
inflazioni
legge del prezzo unico
mean reversion
modello di balassa-samuelson
modello di gravità di commercio internazionale
parità dei poteri d'acquisto
prezzi
pricing in moneta locale
tassi di cambio
unioni valutarie

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