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Affirmative actions e reverse descrimination: il caso della Michigan State University

Alla fine dell'estenuante guerra civile che straziò gli Stati Uniti, nel 1865 venne approvato il XIII Emendamento, su proposta degli Stati del Nord, che aboliva la schiavitù; tale Emendamento infatti prevede che “la schiavitù o altra forma di costrizione personale non potranno essere ammesse negli Stati Uniti, o in luogo alcuno soggetto alla loro giurisdizione, se non come punizione di un reato per il quale l'imputato sia stato dichiarato colpevole con la dovuta procedura”. Per rafforzare tale principio, nel 1868 fu approvato anche il XIV Emendamento e la clausola dell’Equal Protection che afferma il principio per cui “Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti e soggette alla loro sovranità sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono. Nessuno Stato porrà in essere o darà esecuzione a leggi che disconoscano i privilegi o le immunità di cui godono i cittadini degli Stati Uniti in quanto tali; e nessuno Stato priverà alcuna persona della vita, della libertà o delle sue proprietà, senza due process of law, né rifiuterà ad alcuno, nell'ambito della sua sovranità, la equal protection of the laws”.
L'abolizione dell'istituzione schiavista, tuttavia, rafforzò e istituzionalizzò l'ideologia razzista; a partire dagli anni '70 del 1800, con l'affermarsi delle teorie del cosiddetto “razzismo scientifico”, moltissimi stati americani introdussero leggi discriminatorie (Black Codes e leggi di Jim Crow), tra cui il reato di “miscegenation”(mescolanza razziale), cioè la proibizione dei matrimoni e delle unioni interrazziali: in questo modo ebbe inizio il fenomeno della segregazione razziale. Proprio in tale periodo iniziò a diffondersi la tesi del “separate but equal” che trovò terreno fertile nella società americana fino agli anni ’50 del secolo scorso. In numerose occasioni, molti giudici statunitensi affermarono che ogni cittadino americano aveva gli stessi diritti degli altri ma che in base alla sua razza, doveva goderne separatamente da coloro che non erano come lui. I giudici, di fronte alle opposizioni di coloro che appartenevano a minoranze, si giustificavano asserendo che, semplicemente, riscontravano una situazione di fatto, una separazione che caratterizzava la vita quotidiana di ogni statunitense e che con il loro giudizio, orientato verso la separazione, cercavano esclusivamente di evitare quei conflitti sociali, facilmente scatenabili, quando le diverse razze si trovavano a dover stare insieme. Non tutti, comunque, erano dello stesso parere: infatti in una celebre “dissenting opinion” relativa al caso “Plessy v. Ferguson”, il giudice Harlan6 riaffermò strenuamente che “Our Constitution is color bind”.

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Informazioni tesi

  Autore: Sara Trabucco
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2006-07
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Diritto delle Pubbliche Amministrazioni e delle Organizzazioni Internazionali
  Relatore: Elisabetta Palici Di Suni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 64

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Parole chiave

affirmative action
brown v. board of education
diritti civili
diritto pubblico comparato
discriminazione
michigan civil rights initiative
popolazione afroamericana
proposal 2
razzismo
sentenze corte suprema
stati uniti
reverse descrimination

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