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"Prima della tempesta". I rapporti Iran–Iraq dall’avvento di Khomeini alla Prima Crisi del Golfo

L’elaborato parte da un’osservazione sulle affinità etniche, religiose ed economiche tra Iran e Iraq. Questa premessa, supporto fondamentale e propedeutico del Primo Capitolo, può essere utile per comprendere le fasi successive dei rapporti negli anni esaminati e riflettere su come due paesi che condividono storia, risorse, religione siano potuti arrivare a una guerra tanto sanguinosa e mistificata dallo scontro ideologico. Proseguiamo poi direttamente con l’analisi delle relazioni diplomatiche negli anni della Rivoluzione Islamica. Si tratta del periodo in cui Khomeini, rientrato dall’esilio in Francia, espresse, con toni sempre più decisi, alla comunità musulmana il chiaro intento di voler diffondere la rivoluzione a tutto il mondo islamico e in particolar modo all’Iraq, la cui popolazione è per i due terzi sciita. Le dichiarazioni provocarono le prime frizioni tra il Partito Baath e la neonata Repubblica Islamica e furono accompagnate da inevitabili ripercussioni nella gestione delle politiche estere dei due paesi. La seconda e la terza parte entrano nel dettaglio dei rapporti tra Iran e Iraq negli otto anni di guerra. Il lavoro sottolinea come il conflitto, motivato da Saddam con il contenzioso sul confine dello Shatt al-Arab, sia nato in realtà per altre cause: la questione curda e le infiltrazioni iraniane sul confine settentrionale; le pretese sulla popolazione araba del Khuzistan; l’accesso ai complessi petrolchimici del Golfo; e la battaglia per l’egemonia regionale. In effetti, la percezione dei confini in Medio Oriente è totalmente estranea alla nozione di limites del mondo occidentale, all’hic sunt leones, alla frontiera come barriera ultima di difesa del proprio territorio. I confini in Medio Oriente sono eredità del colonialismo o ispirazione delle divisioni amministrative su base fiscale dell’Impero Ottomano. Si tratta quindi di barriere artificiose ed estranee al concetto musulmano di territorio. Consapevoli di questi aspetti in parte culturali, in parte legati alla tradizione arabo-musulmana abbiamo analizzato la fase di internazionalizzazione del conflitto, ripercorrendo il coinvolgimento indiretto e diretto delle superpotenze nella disputa irano - irachena e il prezioso supporto fornito attraverso la vendita di armi.
Inizialmente la guerra Iran - Iraq venne percepita come un conflitto regionale e Stati Uniti e URSS, dichiarandosi neutrali, espressero il poco sincero intento di non voler intervenire nella disputa. In realtà gli interessi in gioco erano tali da rendere indispensabile un loro coinvolgimento. L’intervento diretto delle superpotenze si sostanziò solo nell’ultimo biennio di guerra (1986-87) dopo l’attacco alle petroliere kuwaitiane. Il supporto esterno fornito, indistintamente, a entrambi i belligeranti è stato fondamentale e ha prolungato il conflitto, rendendolo uno dei più lunghi del XX secolo. La ricerca si conclude con l’analisi dell’intervento delle Nazioni Unite e il dopoguerra in Iraq e Iran. Dal momento in cui i belligeranti accettarono la risoluzione 598 del Consiglio di Sicurezza (nel 1988), le loro politiche estere cambiarono radicalmente rispetto al passato. Le relazioni furono formalmente riprese nel settembre 1990 in piena crisi del Golfo. Ovviamente, il riavvicinamento di Saddam a Teheran, con la riapplicazione del Tratttato di Algeri, fu determinato dai nuovi piani di guerra del rais, che lo portavano ad evitare ulteriori frizioni con i persiani. L’ultimo capitolo è dunque una descrizione dei rapporti tra Tehran e Baghadad tra le due guerre del Golfo, dimostrando come tra i due conflitti ci sia stata effettivamente una continuità. Tentiamo di offrire, descrivendo il boom militare iracheno e la condotta politica della Seconda Repubblica Islamica guidata da Rafsanjani e dall’Ayatollah Khamenei, una descrizione dei fatti che dovrebbe indurre il lettore a porsi la domanda di come sia stato possibile passare da un appoggio, pressoché incondizionato, a Saddam alla demonizzazione del rais solo due anni dopo la fine della “guerra dimenticata”. Le nostre ricerche sono state svolte a Londra presso alcuni Istituiti di alto valore scientifico: Royal Institute of International Affairs (RIIA), International Institute of Strategic Studies e la School of Oriental & African Studies (dell’Università di Londra). È stato dunque possibile condurre ricerche aggiornate, con particolare riferimento a riviste periodiche specializzate ed ai più recenti studi sull’Iraq e l’Iran e la crisi mediorientale nel periodo successivo alla rivoluzione iraniana. Di grande interesse è stata la consultazione di documenti e dichiarazioni pubbliche dei leaders iracheni e iraniani (non pubblicati in italiano) e, soprattutto, il confronto con le metodologie della storiografia anglosassone. A margine del lavoro abbiamo inserito una nota bibliografica che costituisce un’analisi ragionata delle opere consultate, delle fonti primarie, delle memorie e della letteratura storiografica di cui ci siamo serviti.

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6 I popoli che dimenticano il loro passato saranno vittime della storia Theodor Adorno La storia del Medio Oriente è una materia tanto appassionante quanto complessa, soprattutto per chi la studia da un punto di vista estraneo alle logiche socio-culturali e politiche del mondo arabo e musulmano. In Occidente si guarda spesso a questa, e ad altre aree del mondo, in modo troppo semplicistico e generalizzante. Spesso siamo, dunque, portati ad adottare stereotipi e luoghi comuni che non ci consentono di cogliere quanto di più specifico vi è nella storia e nella cultura del mondo musulmano. Perdiamo un confronto con la grande variabilità di queste società in rapporto a questioni come la natura delle relazioni sociali, il ruolo della donna, la produzione dell’identità, il senso e gli “usi” dell’esperienza religiosa. L’Iran e l’Iraq possono fungere da esempio rappresentativo di culture, non stati, in bilico tra passato e presente, tra laicismo e fondamentalismo religioso, autoritarismo e democrazia, tribalismo e concezione moderna dello stato, pace e guerra, tradizione e modernità. L’errore più grave è proprio quello di fare riferimento a nozioni che non appartengono alle società arabe, persiane o degli altri popoli della regione. Si utilizzano cioè concetti “inventati” dall’Occidente che hanno, inevitabilmente, plasmato ogni considerazione storica e politica di questa “preziosissima” area del mondo e, come dice Edward Said, “hanno esasperato, rafforzato, approfondito la percezione dell’identità.” 1 La stessa espressione Medio Oriente è stata coniata dal Mondo Occidentale e precisamente nel contesto degli interessi strategici delle potenze europee agli inizi del XX secolo. A quanto sembra, essa venne impiegata per la prima volta nel 1902 da uno storico navale americano in relazione agli interessi della Gran Bretagna, la quale mirava a contrastare le attività della Russia Zarista in Persia e a seguire gli sviluppi del progetto tedesco-ottomano di una ferrovia Berlino-Baghdad. Si trattava di interessi politico – militari incentrati sull’area 1 SAID E. W., Orientalismo: L’immagine europea dell’Oriente, I Edizione Italiana, Bollati Boringhieri, Torino, 1991, traduzione di Stefano Galli, I Edizione 1978.

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Informazioni tesi

  Autore: Antonio Stinelli
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2005-06
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Francesco Lefebvre D’Ovidio
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 256

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