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Analisi scenica dell'Orestea

La trilogia Orestea, rappresentata da Eschilo ad Atene nel 458 a. C., è una creazione dello spirito umano tra le più perfette che, per la complessità dei temi, sfugge a qualsiasi tentativo di definizione; in nessuna opera, come in questa, la presenza di messaggi inerenti le strutture stesse della polis è così sapientemente mediata dall’azione scenica da formare un tutt’uno con essa.
L’ Orestea è l’unico esempio di trilogia che ci sia pervenuta, ed il solo caso nel teatro tragico in cui possiamo apprezzare la messa in scena di tre tragedie collegate in sequenza diretta fra loro e le variazioni nella scenografia dall’uno all’altro esempio.
Il presente lavoro è dedicato all’analisi scenica di questa trilogia. Esso è costituito da una parte introduttiva che tratta del teatro greco, del mestiere dell’attore, delle maschere, della vita di Eschilo, e una seconda parte costituita dall’analisi scenica vera e propria delle tre tragedie che ne fanno parte: Agamennone, Coefore ed Eumenidi.
L’analisi scenica, condotta sul testo dell’ Orestea curato da Vincenzo Di Benedetto ed Enrico Medda, si fonda sulla individuazione delle cosiddette didascalie interne, che hanno permesso, a chi scrive, basandosi sulle parole e notizie contenute in esso, di conoscere i movimenti sulla scena dei vari attori.
I poeti tragici, essendo anche registi delle loro opere, non si preoccupavano di completare i testi con spiegazioni riguardo alla messa in scena, alla mimica e ai movimenti del Coro e degli attori; essi si limitavano a fornire indicazioni a voce durante le prove.
I testi dei drammi antichi non appaiono corredati da esplicite notazioni didascaliche che definiscono le caratteristiche dello spazio scenico, i movimenti, i gesti previsti al suo interno, nonché l’aspetto dei personaggi, le posizioni, le andature e gli atteggiamenti che dovevano assumere durante la recitazione o le dinamiche di entrata ed uscita degli attori. Alcune di queste informazioni sono ricavabili dai testi stessi e dalle battute degli attori e del Coro che, con le loro parole, provvedono a chiarire e a specificare nelle forme didascaliche implicite quanto doveva prodursi sulla scena, aiutando lo spettatore a comprendere meglio ciò cui assisteva o ad immaginare ciò che non poteva essere rappresentato in modo realistico, per i limiti della drammaturgia teatrale.
Ad agevolare l’identificazione da parte del pubblico dei personaggi che giungevano in scena, provvedevano le battute che annunciavano l’avvicinarsi di qualcuno, di cui poi veniva specificato il nome. In altri casi i versi mettevano in evidenzia la qualità dei movimenti del personaggio: la fretta, la lentezza, l’indugio dubbioso, l’atteggiamento silenzioso che poteva precedere o seguire l’interazione dialogica.
L’analisi scenica è fondamentale per la messa in scena e l’allestimento di un’opera; analizzando il testo e rimanendo fedeli ad esso, è possibile capire come si deve presentare un personaggio o sistemare la scena.
Sfondo dell’ Orestea sono le vicende della casata di Atreo, stirpe maledetta, dove ad un certo punto il processo disgregativo si arresta grazie all’intervento delle strutture della polis che impongono il “nuovo” criterio di giustizia al posto di quello antico della vendetta. Secondo la legge del genos Oreste, che non poté fare a meno di uccidere la madre, ora non può non essere ucciso dalle Erinni, comportando la completa dissoluzione e l’annientamento della stirpe degli Atridi. Invece, con il giudizio dell’Areopago, il processo tradizionale viene bloccato e l’assoluzione del tribunale salva in extremis il genos contaminato dal miasma; dunque la polis si pone come fattore risolutivo dinnanzi alla disgregazione della discendenza.
L’analisi di questa tragedia mette in evidenza l’odio ed il disprezzo che nutrono i vari personaggi e consente di comprendere che non ci si può fare giustizia da soli ma è necessario l’intervento di un organo superiore, rappresentato dallo Stato.

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1 PARTE I 1.1 IL TEATRO IN GRECIA L’edificio teatrale 1 greco, che si trovava all’aperto ed era privo di copertura, era costituito da tre parti: la cavea, l’orchestra e la scena. La cavea, il cui nome originario era theatron (luogo in cui si vede), ovvero le scalinate dove sedevano gli spettatori, fu all’inizio trapezoidale. Successivamente ebbe la forma di semicerchio in quanto era più funzionale sia per guardare che per raccogliere i suoni. La cavea, che come appoggio sfruttava i declivi naturali, era attraversata verticalmente da scalette chiamate klimakes, che la dividevano in più settori, in orizzontale invece la tagliavano dei corridoi detti diazomata. A sua volta dalla cavea si potevano scorgere contesti paesaggistici suggestivi 2 , che assolvevano alla funzione di sfondo oltre che potevano fare da eco a quanto veniva detto. La cavea semicircolare porterebbe a far pensare ad una uniformità di posti, ma in realtà anche allora esistevano le gerarchie: agli alti funzionari civili e militari e agli orfani di 1 Per i Greci il teatro era sia il luogo che l’insieme degli spettatori. 2 Si può pensare al teatro di Siracusa con il mare, al teatro di Taormina con l’Etna, al teatro di Morgantina con uno sfondo paesaggistico.

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Informazioni tesi

  Autore: Barbara Trovato
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Palermo
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze dei beni culturali
  Relatore: Salvatore Nicosia
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 146

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