1. L’antologia Se Habla Español. Voces Latinas en USA 
Sia Paz Soldán che Fuguet appartengono a una nuova corrente narrativa 
latinoamericana che privilegia tematiche legate alla comunicazione di massa e alle 
nuove tecnologie nei paesaggi urbani del continente.  
Fuguet ha curato, e Paz Soldán ne ha preso parte, l’antologia McOndo
1
, 
segnalata dalla critica, insieme al manifesto del gruppo messicano della 
Generazione del Crack
2
, come momento di svolta della proposta estetica di una 
nuova generazione di narratori. 
Edmundo Paz Soldán, nato a Cochabamba (Bolivia) nel 1967, è approdato 
negli USA per studiare alla University of Alabama ed è attualmente professore di 
Letteratura Latinoamericana alla Cornell University (Ithaca, New York).  
Ha pubblicato i romanzi Días de papel (Premio Nacional de Novela Erich 
Guttentag, 1992), Alrededor de la torre (1997), Río fugitivo (finalista al Premio 
Internacional de Novela Rómulo Gallegos, 1998), Sueños digitales (2000) e le 
raccolte di racconti brevi  Las máscaras de la nada (1990), Desapariciones 
(1994) e Amores imperfectos (1998). Nel 2002 ha ricevuto il premio Nacional de 
Novela de Bolivia, per la sua opera El delirio de Touring. 
Alberto Fuguet è nato in Cile nel 1964, è vissuto in California fino all’età di 
dodici anni, quando la famiglia è tornata al paese d’origine. Laureato in 
giornalismo all’Universidad de Chile, Fuguet  ha pubblicato per la prima volta nel 
1990 Sobredosis, una raccolta di racconti brevi cui hanno fatto seguito tre 
romanzi: Mala onda (1991), Tinta roja (1996) e Por favor rebobinar (1998). 
Critico cinematografico e giornalista, proclamato nel 1999 dalla rivista Time e 
da CNN come uno “dei 50 leader latinoamericani del nuovo millennio” è stato 
uno dei promotori, con il cileno Sergio Gómez, di McOndo, il movimento 
letterario che proclamava la fine del realismo magico e pubblicava giovani autori 
di “una nueva generación literaria que es post-todo: post-modernismo, post-
                                                 
1
 Alberto Fuguet, Sergio Gómez (a cura di), McOndo,  Mondadori , Barcelona 1996. 
2
 La “generación del crack” (crack nel senso di rottura e non di droga!) nasce nel 1996 nello 
stato di Hidalgo, Messico, dove su una piccola rivista, appare un manifesto letterario firmato da 
cinque giovani scrittori: Ignacio Padilla, Jorge Volpi, Eloy Urroz, Vicente Herrasti e Ricardo 
Chávez Castañeda. Si propongono di abolire la letteratura “bananera” e di tornare alle radici del 
boom latinoamericano, per recuperare il rispetto, che avevano le prime opere di quel ‘mitico’ 
momento culturale ispanoamericano, per il lettore intelligente. Per articoli su questo movimento si 
segnala la rivista Lateral sul sito  http://www.lateral-ed.es
 4
yuppie, post-comunismo, post-babyboom, post-capa de ozono. Aquí no hay 
realismo mágico, hay realismo virtual”
3
.  
Ben accolto da parte della critica, il libro Se habla español, “se ha convertido 
en el pim-pam-pum que cabe esperar de toda compilación. En la acalorada 
presentación del libro en Chicago, un escritor de los no incluidos, residente en esa 
ciudad, puso el grito en el cielo y, dado que sólo 14 de los 36 antologados viven 
en EE UU, subrayó que el libro no hace justicia al subtítulo Voces latinas en 
USA”
4
. 
Le critiche che vengono rivolte a questa antologia non sono, come velatamente 
afferma Ricardo de Rituerto nel suo articolo, solo un atto di rabbia da parte degli 
esclusi, ma contestano sia una certa “malafede” del sottotitolo, che la posizione 
ideologica dei curatori. 
Il sottotitolo della raccolta, Voces latinas en USA, infatti, ci lascia credere di 
avere sotto gli occhi i racconti scritti da giovani latini che vivono negli Stati Uniti, 
quando invece, come ci fa notare Diana Palaverish
5
, fra i trentasei autori inclusi, 
solo quattordici appartengono a Latinos, ovvero a discendenti di latinoamericani 
nati o residenti negli USA. Gli altri ventidue sono giovani scrittori che vivono in 
America Latina e che, per la grande maggioranza, non hanno mai vissuto negli 
Stati Uniti.  
Se si applicasse la definizione più restrittiva del termine latino
6
, secondo la 
quale la persona oltre a risiedere permanentemente negli USA deve essere nata in 
questo Paese, soltanto uno dei trentasei autori (Santiago Vaquero Vásquez) 
potrebbe essere qualificato come tale. 
Inoltre, se si esclude il domenicano-americano Junot Díaz, non sono 
rappresentate in nessun modo le voci degli scrittori chicani, cubani e portoricani, 
che sono il gruppo numericamente e culturalmente più importanti nel mercato 
culturale statunitense. 
Ci si domanda, quindi, come sia possibile che questa antologia realizzi ciò che 
i curatori, citando José Martí, si propongono nel prologo: narrare gli Stati Uniti 
                                                 
3
 Per una lettura critica si rimanda all’articolo di Diana Palaverish, “Rebeldes sin causa. 
Realismo mágico vs. realismo virtual ”,  in “Hispamérica” vol. 29, n.86 (2000): 55-70. 
4
 Ricardo M. de Rituerto,  “El libro Se Habla Español reúne a 36 escritores latinos en EE UU”,  
in “El País – Cultura”, 7-4-2001 in  www.elpais.es  
5
 Diana Palaverish, Macondo y otros mitos, 2002 in www.literaturas.com  
6
 Per una definizione di “Latino” si rimanda a José Cuello, Latinos and Hispanics. A Primer on 
Terminology, in http://www.cbs.wayne.edu/latinos 
 5
“desde las entrañas mismas del monstruo”
7
 o come i racconti scritti in spagnolo 
possano essere la prova che i Latinos negli USA scrivano in questa lingua, mentre 
sappiamo che molti scrivono in inglese (o in spanglish) e che i racconti dei pochi 
Latinos inclusi (Paternostro, Stavans, Quiñonez e Díaz ) sono stati inizialmente 
scritti in inglese. 
Se, invece, lasciamo da parte il desiderio di “narrar la diversidad de la 
experiencia latinoamericana en USA”, per concentrarci sulla voglia di “invertir 
toda una tradición literaria anglo - en la cual los escritores del Norte escriben 
sobre los paraderos exóticos del mundo subdesarrollado y postcolonial - y 
sustituirla por un viaje al revés, donde los sureños escriben sobre su sentimiento 
de verse seducidos, atrapados o perdidos en Estados Unidos, un lugar tan 
maravilloso y exótico como la América Latina imaginada por los 
norteamericanos”
8
, allora il senso di questa antologia cambia, perché allora si può 
certamente dire che, in questo mondo globalizzato, non si può prescindere dagli 
Stati Uniti e che chiunque, anche senza averci mai vissuto, possa avere un 
immaginario (e quindi scrivere) su questo Paese. E il sottotitolo fuorviante può 
essere solo attribuito, come sostiene Palaverish, all’abile azione commerciale di 
Alfaguara che pubblica negli Stati Uniti per la prima volta in spagnolo, 
indirizzandosi a un ampio pubblico che parla il castigliano. 
Il libro si articola come un viaggio “por el Planeta USA”, con capitoli che 
riprendono le diverse zone degli Stati Uniti e, nel prologo, questo viaggio si 
riassume: 
"Partamos de Miami, chico, la puerta de entrada. Aquí 
definitivamente se habla español. Luego viramos hacia el 
Oeste (esto es muy norteamericano: el viaje literario este-
oeste, go west, young man, go west) y nos topamos con el 
Sur, ya’ll, territorio aquí de enfermeros y Greyhounds. 
Proseguimos el viaje hacia el Southwest, bato, ese espacio 
que alguna vez fue mexicano y en cuyas mesetas y desiertos 
se encuentran ilegales y pruebas atómicas. Nos dirigimos 
luego hacia California, dude, el Sueño Americano por 
excelencia. Después nos vamos hacia el Midwest, carnal, en 
el que todas las planicies y vientos parecen terminar en 
Chicago. Pasamos hacia el industrial y vetusto Este, brother, 
para culminar el viaje en la inmensa e intensa Nueva York, 
                                                 
7
 Alberto Fuguet, Edmundo Paz Soldán , Se habla español. Voces latinas en USA, cit., p.14 
8
 Diana Palaverish, Macondo, cit., p.4 
 6
pana, la nueva gran capital del deseo y la decepción 
latinoamericana" (p.20)  
e un desiderio di “amistad panamericana cada día más sólida (really)”.(ibid.) 
Una visione ottimista e edulcorata della globalizzazione e di un’amicizia 
panamericana difficile da ritrovare sia nella vita quotidiana degli immigrati 
latinoamericani negli USA (che proprio in questa primavera del 2006 affollano le 
strade del Sud-Ovest per protestare contro una legge che equiparerebbe gli illegali 
ai criminali), sia nei racconti contenuti nell’antologia, che ci parlano della 
continua frustrazione del “sogno americano” tanto inseguito. 
Secondo Palaverish, i curatori dell’antologia parlano di “desvanecimiento de 
las fronteras” (p.15) perché fanno parte di quei borghesi di classe alta o medio alta 
che dall’America Latina si spostano con facilità per studiare e viaggiare negli Stati 
Uniti o  comprano gli oggetti di consumo più trendy nel loro Paese. 
Purtroppo la frontiera geopolitica  tra il Nord e il Sud del continente americano 
è lì, presente più che mai ed è, come scrive Gloria Anzaldúa “una ferita aperta 
lunga 1950 miglia che divide un pueblo, una cultura. (…) mi lacera  mi lacera  me 
raja  me raja”
9
 perché, per i latini che vivono negli Stati Uniti, “la condizione di 
appartenenza molteplice, ma allo stesso tempo di estraneità costante, non 
necessariamente corrisponde a una condizione di «felicità» della nostra epoca. 
Paradossalmente nel mondo globalizzato non è facile costruire incontri di culture. 
E ciò non perché essi non siano (…) ma perché non sempre essi sono percepiti ed 
elaborati nella loro complessità”
10
. 
Molti intellettuali di origine ispanoamericana, soprattutto i Chicanos, di origine 
messicana, si sono interrogati negli ultimi decenni sulla propria identità, sulla 
propria lingua, sulla frontiera (che nel 1848, in seguito al Trattato di Guadalupe-
Hidalgo, ha lasciato a nord una fetta di nazione messicana e i rispettivi abitanti), 
sulla diaspora dei nuovi immigrati illegali (i wetback o los mojados) e hanno 
cercato di costruirsi una nuova identità mestiza tra “spazi interstiziali” tra le 
frontiere e le culture. 
                                                 
9
 Gloria Anzaldúa , Terre di confine/La frontera, Palomar Edizioni, Bari 2000, p.29. 
10
 Patrizia Calafato, “Introduzione” a Patrizia Calefato, Gian Paolo Caprettini, Giulia Colaizzi 
(a cura di) Incontri di culture. La semiotica tra frontiere e traduzioni, Utet Libreria, Torino 2001, 
p. XII. 
 
 
 7
Al di là della visione rosea di Fuguet e di Paz Soldán  che “más que encentrarse 
en un ellos y un nosotros” credono “que hay de «ellos» en «nosotros», y de 
«nosotros» en «ellos»” (p.21), penso che sia più realista la visione di Palaverish 
che ci ricorda come purtroppo, né la cultura né il capitale viaggino dal Sud al 
Nord del continente americano, anzi, e che l’unico traffico fertile che si osserva 
nella direzione opposta è quello senza tregua del traffico umano, legale e illegale. 
 
Ho scelto di tradurre il racconto di Francisco Piña, Seven Veces Siete, presente 
nell’antologia alla sezione “Central Standard Time” (pp. 169-175), perché ci fa 
intuire, in maniera ironica, le differenze tra i “nosotros”, tra i Latini presenti negli 
Stati Uniti, e nello spazio di poche pagine ci mette in contatto con alcuni dei 
concetti chiave della tradizione chicana negli USA. 
Dell’autore, Francisco Piña, non si sa molto, se non quello che di sé stesso ci 
racconta nella breve biografia  che appare sulla rivista culturale Contratiempo, 
con la quale collabora: 
“Francisco Piña. Verdulero originario de Tequisquiapan, 
México. En Chicago se convirtió en diseñador gráfico por 
accidente. Pero ser diseñador no ha sido su sueño. Por eso se 
ha dedicado a aprender a escribir. Por desgracia, todavía se 
dedica a diseñar y a armar libros y revistas. De estos trabajos 
sobresalen los catálogos de arte Marcos Raya y Gabriel 
Villa, este último de pronta publicación”
11
.  
 
Il catalogo d’arte Marcos Raya: Fetishizing in Imaginary  è stato pubblicato 
per il Mexican Fine Arts Center Museum di Chicago, e il nome di Piña appare 
nelle mostre d’arte di Pilsen (Chicago), nelle traduzioni di studi sulla crescita 
demografica dei Latinos a Chicago e in varie riviste culturali. 
Insomma, un personaggio culturalmente curioso ed eclettico. 
 
 
 
 
 
                                                 
11
 www.revistacontratiempo.com  
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