5
Ciò che appare meritevole di attenta analisi è la genesi stessa della crisi economico
finanziaria delle società di calcio professionistiche, dal momento che questa non è da
ricollegarsi ad una contrazione dal lato delle entrate (al contrario, i proventi dai contratti
con le televisioni hanno assicurato un flusso di danaro di notevoli dimensioni), quanto,
piuttosto, ad improvvide scelte strategiche da parte degli amministratori delle società,
che non hanno saputo sfruttare questa enorme rendita derivante dall’avvento delle pay tv.
Tutto questo è probabilmente riconducibile al ritardo con cui si è giunti al pieno
riconoscimento della validità, anche per le società che agiscono i questo settore, dei
paradigmi economico-finanziari di gestione, troppo a lungo trascurati in nome di una
presunta incondizionabilità della dimensione ludica e sportiva nei confronti di quella
economica e finanziaria.
Certo, l’asservimento del fenomeno calcistico (che rimane, comunque, un “gioco”)
alle sole regole del profitto e della buona gestione economica, appare impensabile, dato
il coagulo di implicazioni sociali e la natura di “servizio d’intrattenimento” che esso
ricopre nella società; tuttavia, appare chiaro come le società non possano continuare a
brillare di luce riflessa, sfruttando le complicità che, da sempre, si contano con il mondo
della politica, ma debbano dirigersi verso una piena autonomia economica.
La necessità di trovare un compromesso vincente e credibile tra le esigenze del
neocalcio (crescita delle entrate attraverso le televisioni, sponsorizzazioni, nuove
tecnologie, allargamento della dimensione “spettacolare” del fenomeno) ed i valori
tradizionali che contraddistinguono questa pratica sportiva (valori educativi e
Decubertiniani dello sport, lealtà sportiva e logica emozionale) è resa ancor più urgente
dalle parole del Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi: “Vicende recenti del calcio
manifestano l’urgenza di una sua rigenerazione morale, economica e organizzativa[...], i
danari dei diritti televisivi rischiano di essere una droga che uccide il calcio italiano”
(16 luglio 2004).
Il lavoro è strutturato come segue: nel primo capitolo viene presentato il quadro
normativo di regolamentazione del settore: gli aspetti legislativi e normativi che hanno
avuto, ed hanno tuttora, influenza diretta sull’operato delle imprese calcistiche di tipo
professionistico.
Il capitolo in questione si propone di dare una definizione generale del quadro
normativo in cui si muovono le società di calcio, analizzando il processo evolutivo della
struttura giuridica dei sodalizi sportivi (il passaggio da “associazione” a “società per
6
azioni”), la Legge di riordino del settore dello sport professionistico (n. 91/81), la
sentenza Bosman del 1995, con le sue conseguenze dirette sui bilanci civilistici e sul
regime dei trasferimenti in ambito comunitario.
Nel secondo capitolo si passano ad analizzare i tratti distintivi dell’economia delle
moderne imprese calcistiche, cui è stato riconosciuto il fine di lucro soggettivo e
l’allargamento dell’oggetto sociale, in corrispondenza dell’emanazione della Legge n.
586/96.
L’analisi si sposta poi sulle caratteristiche della domanda del “prodotto calcio”,
parallelamente al riconoscimento dell’importanza di un certo equilibrio concorrenziale
all’interno della competizione, condizione imprescindibile per l’espansione della
domanda. L’influenza dell’insieme delle istituzioni pubbliche sull’economia delle
società di calcio viene affrontata nel terzo paragrafo, considerando il fatto che l’impianto
organizzativo nazionale ed internazionale è in costante evoluzione e con non poche
contraddizioni interne. Infine, l’attenzione si sposta sulle modalità di pianificazione
strategica all’interno delle società di calcio, tenendo conto che è proprio da errori
compiuti nella pianificazione che ha avuto origine l’attuale stato di crisi.
Obiettivo del terzo capitolo è quello di fornire un’analisi quanto più completa
possibile delle risultanze economiche e finanziarie della crisi, analizzando le componenti
di reddito che maggiore importanza hanno assunto nel far precipitar l’equilibrio
economico di bilancio e procedendo all’individuazione dei tratti caratteristici di questa
crisi di settore (la crisi della figura del “presidente mecenate”, il legame indissolubile tra
imprese calcistiche e grandi gruppi industriali, le manovre surrettizie con cui si è cercato
di nascondere lo stato di crisi latente dell’industria calcistica).
Nel quarto e quinto capitolo (seconda parte del lavoro) sono state individuate alcune
delle possibili vie di risoluzione della crisi corrente: dalla possibilità di espandere le
entrate, come qualità e composizione, attraverso un’accelerazione della trasformazione
delle imprese calcistiche in società dell’entertainment (o “leisure company”);
all’individuazione di un meccanismo che nel mondo dello sport anglosassone, di
derivazione statunitense, ha consentito di contenere la distorsiva dilatazione dei costi per
gli atleti professionisti, influenzando positivamente anche l’ equilibrio della
competizione. Queste sembrano essere, almeno in prima battuta, le strade più percorribili
per uscire dalla difficile situazione in cui si trova il calcio italiano; senza dover ricadere
nel contestatissimo appoggio dello Stato, finora garante di quell’ala protettrice che ha
7
impedito al settore calcio di evolversi autonomamente e di intraprendere un percorso
virtuoso di crescita indipendente, scevro di ogni “contributo statale”, ormai bandito dalla
Unione europea.
Consci che la ricerca non ha carattere esaustivo, essa vuole essere soprattutto un
contributo all’analisi di una crisi senza precedenti all’interno del primo settore
dell’entertainment italiano, con la consapevolezza della rilevanza non solo economica
ma anche sociale del “gioco più bello del mondo” all’interno della società italiana.
8
1. Le società di calcio professionistiche
1.1 Dalle associazioni alle società sportive
Gli enti che svolgono un’attività sportiva, eminentemente a livello dilettantistico,
assumono in larga parte la forma dell’associazione. Nel nostro ordinamento giuridico non è
contemplata una definizione esplicita di “associazione”
1
; per definirne il concetto bisogna,
dunque, far riferimento alle norme contenute nel Codice Civile. Può essere intesa come
associazione ogni unione volontaria di persone che si proponga di svolgere in forma stabile
e duratura, in maniera organizzata, una qualsiasi attività al fine di conseguire uno scopo
determinato, attraverso l’utilizzo di mezzi propri. L’associazione persegue la realizzazione
di un risultato utile di carattere non economico, in capo ai partecipanti, per il tramite
dell’organizzazione e in virtù di essa
2
.
La maggior parte delle società affiliate alle Federazioni e agli enti di promozione
sportiva pongono in essere la loro attività nella forma di associazioni non riconosciute e cioè
prive di personalità giuridica
3
, struttura regolamentata dagli artt. 36, 37 e 38 del Libro I del
Codice Civile. Questa tipologia di struttura giuridica
4
si caratterizza per il fatto di esser priva
di personalità giuridica (pur avendo capacità processuale esplicata mediante persone fisiche
che agiscono in base al principio di rappresentanza organica
5
), di necessitare di un atto
costitutivo che non richiede una forma particolare (quindi redatto e sottoscritto anche senza
la presenza di un notaio), di poter acquistare immobili, mobili registrati e valori mobiliari,
intestando gli stessi all’associazione nella persona del legale rappresentante pro- tempore.
1
Pur essendo garantito, a livello costituzionale, il diritto per i cittadini di associarsi liberamente, senza
autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale (art. 18).
2
G.Cottino, Le Società-Diritto Commerciale- vol. I – t.II – Quarta edizione, Padova, Cedam, 1999, pag. 2.
3
E’ stato osservato come le associazioni non riconosciute siano comunque fornite di una capacità giuridica,
sebbene più ristretta e quindi limitata (N.Forte, Società e associazioni sportive, Milano, Ed. Il Sole 24 Ore, 2003,
nota 1).
4
Per una completa ed esaustiva panoramica su questo vedi F.Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei
comitati, Bologna, Zanichelli, 1976.
5
Cass. Civ., 21 giugno 1979, n. 3488. Nella stessa, si ribadisce il concetto di associazione non riconosciuta come
soggetto di diritto autonomo distinto dagli associati.
9
Attraverso i contributi degli associati si costituisce il fondo comune dell’associazione,
che costituisce la garanzia verso terzi per le obbligazioni assunte dalle persone che
rappresentano l’associazione
6
La disciplina civilistica di queste associazioni è regolata dagli artt. 36 e seguenti del
codice civile. Si tratta di una disciplina scarna ma non lacunosa, che rinvia agli “accordi tra
gli associati” l’ordinamento e l’amministrazione delle associazioni stesse
7
.
Una parte minore delle società, dei club, e dei circoli affiliati alle Federazioni sportive
sono costituite ed organizzate come “associazioni sportive riconosciute”, le quali si
distinguono dalle precedenti per varie ragioni. Sono, queste ultime, fornite di personalità
giuridica
8
, hanno autonomia patrimoniale ben definita, gli amministratori sono responsabili
per le loro azioni verso l’ente in base alle norme del mandato, godono di un particolare
regime tributario esonerativo ed agevolativo, possono attuare attività economiche
considerate non commerciali
9
. Le associazioni riconosciute, nella loro qualità di persone
giuridiche, sono iscritte nell’apposito registro istituito presso il Tribunale di ogni capoluogo
di provincia.
Data la maggiore semplicità nell’iter di costituzione e la minore articolazione normativa
di disciplina, l’associazione non riconosciuta è stata la prima forma organizzativa prescelta
in ambito sportivo e, come già ricordato, costituisce la fattispecie di organizzazione assunta
nella maggior parte delle società sportive dilettantistiche.
Come tutte le società sportive, anche le società calcistiche si costituirono, in origine, per
consentire la pratica atletico- agonistica dei propri tesserati. Funzionalmente, dato lo scopo
ricreativo che animava questi sodalizi sportivi, le prime società calcistiche si potevano
collocare nell’ambito di quelle associazioni che la dottrina qualifica come mutualistiche
10
. In
effetti, le esigenze economiche tipiche delle associazioni sportive non erano così dissimili da
quelle delle analoghe associazioni che perseguivano fini culturali o ricreativi: i costi erano
6
Artt. 37,38 del Codice Civile.
7
Questi accordi rappresentano la vera “fonte primaria”che disciplina l’associazionismo, facendo assumere valenza
normativa primaria a ciò che hanno stabilito in concreto gli associati (N.Forte, op.cit., pag. 4).
8
Le associazioni riconosciute sono, infatti, quelle che hanno chiesto ed ottenuto il riconoscimento dallo Stato;
riconoscimento concesso con decreto del Presidente della Repubblica. Il D.P.R. 24 luglio 1977, n.616, art.14,
tuttavia, delega alle regioni l’esercizio delle funzioni amministrative concernenti persone giuridiche private che
operano esclusivamente nelle materie dello stesso decreto e le cui finalità si esauriscono nell’ambito di una sola
regione. (F. Guido, Associazioni Sportive, Milano, Giuffrè Editore, 2000, pag. 4).
9
A condizione che rispettino gli obblighi comportamentali dettati dalla normativa specifica in essere.
10
Le associazioni mutualistiche si contrappongono alle associazioni edonistiche, in quanto perseguono il vantaggio
degli associati stessi e non di terzi estranei al rapporto associativo. Nell’ambito di tal categorizzazione s’
individuano le associazioni con scopo indirettamente economico, dalle associazioni con scopo non economico,
come appunto le associazioni con fini ricreativi (G.Falsanisi e E.F.Giangreco, Le Società di calcio del 2000,
Catanzaro, Rubettino, 2001, pag. 9).
10
limitati e coperti, in larga misura, dai contributi volontari di soci e sostenitori esterni, il
budget necessario era assai esiguo, largamente preventivabile, e commisurato alle ridotte
dimensioni economiche del settore.
Col passare del tempo, lo scenario iniziò a mutare. Soprattutto per quel che concerne il
comparto del settore calcio, il concorso di molteplici fattori che non furono solo culturali,
ma anche demografici, tecnologici e politici
11
, portò i connotati dell’organizzazione delle
associazioni sportive a mutare radicalmente, travalicando i confini originari. Considerando
un punto di vista strettamente economico, le conseguenze di questo mutamento furono
sostanzialmente due:
• L’associazione sportiva era impossibilitata a far fronte alle spese crescenti che si
trovava a dover sostenere, con il semplice contributo volontario degli associati ;
pertanto si rivolgeva al mercato, assumendo gradatamente connotati di tipo
imprenditoriale
12
.
• Il percorso evolutivo delle associazioni sportive, che da fenomeno puramente
volontaristico (o dilettantistico) si trasformarono in organizzazione d’impresa vera e
propria, fu accompagnato da un parallelo mutamento della struttura organizzativa
13
.
Si assistette quindi alla scomparsa della figura del praticante-associato, che aveva
caratterizzato l’evoluzione delle società sportive italiane fino agli anni sessanta, sostituita da
quella dell’atleta professionista
14
. Il professionista usciva dalla compagine associativa
(composta ormai esclusivamente da soggetti finanziatori), diventando soggetto autonomo
11
“E’a partire dagli anni ’60 che l’organizzazione del calcio in Italia si era avviata a cambiare la sua
fisionomia[…]fu allora che il gioco sportivo più amato dagli italiani completava il lungo cammino che lo aveva
condotto nel 1959 al riconoscimento formale del professionismo, con implicazioni economiche e commerciali
sempre più marcate[…]lo spirito sportivo degli anni ’60 non fu solo il risultato di una superficiale
modernizzazione[…]la FIGC registrava un’espansione senza precedenti: le società ad essa affiliate, 5315 nel
1961, erano diventate 7460 nel 1969, con 372.000 giocatori e con una crescita del 130%”. ( A.Papa, G.Panico,
Storia sociale del calcio in Italia, Bologna, Il Mulino, 2002, pagg. 301-302).
12
Cfr. S.Camerino, Associazione sportiva e impresa, in Riv. Dir. Sport. 1960, pag. 199; F.Ribera, Natura delle
associazioni sportive, in Riv. Dir. Sport. 1955, pag. 138.
13
Rispetto al regime normale dell’associazione non riconosciuta, il Regolamento Organizzativo delle associazioni
di calcio prevedeva caratteri e aspetti singolari per le associazioni stesse, soprattutto per quel che riguarda la
costituzione e la possibilità di agire nell’ordinamento sportivo. (Cfr. G. Falsanisi, E.F. Giangreco, op.cit., note 3,4).
14
A livello mondiale, la prima deroga all’ideale gentleman-amateur era stata fatta nel paese che aveva visto nascere
il calcio, in Gran Bretagna, dove il riconoscimento del professionismo risaliva al 1885. (A.Papa, G.Panico, op.cit.,
pag.132). Nel resto del mondo, il professionismo entrò nel calcio nel 1931 in Argentina, nel 1932 in Uruguay, nel
1934 il regime professionistico cominciò in Brasile. (E.Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio, Milano,
Sperling&Kupfer Editori, 1997, pag. 68).
11
legato alla società da un contratto che assicurava ad essa le prestazioni sportive dell’atleta,
contro il pagamento di un compenso
15
.
Il percorso che portò al riconoscimento dello status di calciatore professionista per gli
atleti militanti nelle associazioni calcistiche italiane merita una particolare attenzione, in
quanto esemplificativo dell’evoluzione nei rapporti fra il calcio e il quadro normativo che
doveva assicurarne la regolamentazione in un contesto di rapida e costante trasformazione.
In Italia, è solo a partire dagli anni ’20 che la stampa sportiva aveva iniziato ad esprimere
la necessità di procedere ad un cambiamento nella condizione professionale dei giocatori. Il
professionismo era invocato “come valvola di sicurezza alla tormentata ed equivoca attività
del nostro football”
16
. Lo statuto federale del 1909
17
, in linea con lo spirito del tempo, aveva
condannato la figura del professionismo, ancora legato com’era alla figura del gentleman-
amateur, che aveva caratterizzato le origini dello sport moderno. Tuttavia, negli ambienti
sportivi si era definitamene affermata l’idea della professionalità
18
. I trasferimenti di
giocatori da una società all’altra crescevano in maniera esponenziale, con costi d’ingaggio e
di “passaggio del cartellino” sempre più rilevanti. Le prime trasgressioni al regime
inderogabilmente dilettantistico imposto dell’organo di governo centrale si ebbero tra il
1912 e il 1914
19
e furono severamente punite. Ma i proclami di principio servirono a poco:
dietro la spinta alla riforma dello status del calciatore c’era la moltiplicazione del pubblico e
degli incassi , dei mezzi finanziari delle società; c’era la voglia di riscatto delle squadre
provinciali e la voglia di investire dei presidenti-mecenati che si affacciavano sulla scena
calcistica di quegli anni. Si arrivò così al Congresso di Roma del ’26 della FIFA, dove si
sancì il rinvio del problema alle singole federazioni, concedendo ad esse la facoltà di
compensare parzialmente i giocatori per il mancato guadagno causato dall’attività calcistica.
Fu proprio la formula del “mancato guadagno”ad aprire le porte al professionismo.
15
C’è da notare come, almeno inizialmente, in dottrina si escludeva la configurazione di società sportive come
“imprese di intermediazione nella circolazione dei diritti d’esclusiva sui giocatori”. La vendita di un giocatore era
un fatto episodico, legato a ragioni tecnico-disiplinari , difficilmente le società acquistano ed addestrano i giocatori
per poi rivenderli ad altre società (W.Bigiavi). Cfr. G. Falsanisi, E.F. Giangreco, op.cit., nota 5.
16
Annuario Italiano Giuoco del calcio, Modena, 1928, pag. 41, in A.Papa, G.Panico, op.cit., pag. 133.
17
Primo, organico, statuto della F.I.G.C. con il quale il governo del calcio estendeva i propri poteri su tutto il
territorio della penisola e si imponeva come l’unica e legittima autorità nel mondo del calcio, avocando a sé ogni
diritto di iniziativa, ogni giurisdizione sportiva.
18
Il calcio italiano negli Anni Venti, anno 2002, http://www.gazzettapolitica.it
19
Curiosamente, la prima figura interessata al passaggio allo status di professionista fu quella dell’allenatore e non
del calciatore. Il primo ritratto di allenatore professionista fu quello di William Thomas Garbutt, ex-calciatore
inglese giunto al Genoa nel 1912. (Il calcio italiano negli Anni Venti, www.gazzettapolitica.it).
12
In Italia, è con la carta di Viareggio del 2 agosto 1926 che per la prima volta si
ufficializza formalmente la distinzione fra calciatori dilettanti e “non dilettanti”, nonostante
la F.I.G.C non avesse dato riconoscimento formale al professionismo. Le sanzioni
comminate dall’organo federale furono puntuali ma poco durature, per la contraddizione che
già affiorava tra il profitto tecnico e i valori morali dello sport
20
.
Quello del passaggio allo status di professionista è solo uno degli aspetti caratterizzanti
la necessità di un profondo cambiamento sentito come tale dagli operatori del settore intorno
alla seconda metà del secolo. Era palese come la natura giuridica di associazione fosse
incompatibile con gli aspetti di natura economica-patrimoniale che le società calcistiche
privilegiarono nel controverso cammino di trasformazione da “gruppo di appassionati” ad
“organizzazione imprenditoriale” vera e propria con ingenti capitali da gestire e rapporti
sempre meno amicali, sempre più spiccatamente economici sia con i calciatori (fino alla
stipula di contratti di lavoro dipendente) che con i terzi ( merchandising, sponsorizzazioni).
Fu agli inizi degli anni sessanta che le istituzioni sportive nazionali si trovarono di
fronte all’esigenza irrinunciabile di risolvere una serie di problemi che affliggevano le
associazioni calcistiche federate. Per esse, la primitiva auto-regolamentazione prevista non
era più in grado di affrontare le problematiche che il mutato contesto socio-economico
portava con sé. I problemi sul tappeto consistevano essenzialmente nella presenza di
rilevanti posizioni debitorie, che andavano progressivamente aggravandosi, nell’esigenza di
imporre il rispetto di criteri operativi uniformi mirati al perseguimento di una sana e vigile
gestione economico-finanziaria, nell’ imporre l’ottemperanza alle disposizioni all’epoca
vigenti in materia societaria, fiscale e tributaria
21
.
Il fatto che la forma sociale-giuridica dell’associazione non riconosciuta fosse sempre
meno adatta all’esercizio di un’attività in rapida espansione in termini sia economici che di
seguito da parte del pubblico, apparve evidente alla stessa Federazione Italiana Gioco
Calcio, che passato un solo ventennio dall’emanazione della legge istitutiva del C.o.n.i.
22
,
approntò una radicale riforma.
20
A.Papa, G.Panico, op.cit., pag. 71.
21
G.Basile, M.Brunelli, G.Cazzullo, Le società di calcio professionistiche. Aspetti civilistici, fiscali e gestionali,
Roma, Buffetti Editore, 1997, pag. 8.
22
Comitato Olimpico Nazionale Italiano; organo dotato di personalità giuridica che svolge le funzioni di
coordinamento, indirizzo e controllo dello sport in Italia, nel rispetto delle regole e dei principi fissati dal Comitato
Olimpico Internazionale.
13
1.2 La Riforma del 1966
Da quanto sopraesposto risulta evidente come la sola F.I.G.C. rimanesse arroccata su
posizioni di principio che impedivano, per le associazioni calcistiche, l’adozione di una
struttura giuridica più adatta al mutato contesto socio-economico in cui operavano.
Tuttavia, l’incontrovertibile spinta al cambiamento portò, col passare degli anni, anche
la Federazione Italiana a mutare il suo atteggiamento: con delibera datata 16 settembre 1966
il Consiglio Direttivo Federale della F.I.G.C. stabilì di sciogliere i Consigli direttivi delle
associazioni calcistiche professionistiche dei campionati di serie A e B
23
e di nominare un
Commissario Straordinario per ciascuna di esse, con pieni poteri gestionali, allo scopo di
procedere alla liquidazione delle stesse ed alla loro costituzione in società per azioni
24
.
Il successivo 16 dicembre 1966 il Consiglio Federale licenziava uno Statuto tipo
25
vincolante per tutte le società professionistiche dei campionati maggiori. La F.I.G.C. prese
atto, quindi, delle occorrenze sopraggiunte nell’ambito dello sport professionistico.
Deliberando che per l’iscrizione al successivo campionato (1966/1967) fosse necessario
adottare la forma giuridica della società per azioni
26
, l’organo federale fece una scelta chiara
e precisa; la crescente esigenza di pubblicizzazione delle informazioni economico-
finanziarie relative alle società di calcio venne accolta, anche se al momento della sua
attuazione la pubblicistica di bilancio si mostrava di per sé carente
27
. Certo è che l’adozione
della struttura giuridica di S.p.A. consentì l’applicazione di disposizioni sulla redazione e
pubblicità del bilancio d’esercizio che assicurarono una gestione più trasparente e un
controllo più incisivo da parte delle autorità sportive competenti
28
.
23
Infatti, al tempo, la Lega nazionale professionisti comprendeva solo le società che partecipavano ai campionati
delle due massime serie (appunto A e B). Da sottolineare come anche alcuni affiliati alla Lega nazionale semi-
professionisti (serie C e D), pur non essendone obbligati, si adeguarono alla nuova normativa varata.
24
La F.I.G.C. dispose, a tal proposito, una modifica dello statuto federale secondo cui “Le società che stipulano
contratti con atleti professionisti devono avere la forma giuridica di società per azioni o di società a responsabilità
limitata, a norma delle vigenti disposizioni di legge”, in N.Forte, op.cit., pag. 28.
25
Per un’esaustiva analisi del contenuto di tale Statuto Federale si veda G.Minervini, Il nuovo statuto-tipo delle
società calcistiche, in Rivista delle Società, 1967, pagg. 677 ss.
26
Era l’art. 1 del nuovo Statuto-tipo a prevedere la costituzione di una “società per azioni denominata S.p.A.”.
27
C.Teodori, L’economia ed il bilancio delle società sportive. Il caso delle società di calcio, Torino, G.Giapichelli
Editore,1995, pag. 49.
28
Le associazioni calcistiche non riconosciute rispondevano alle loro esigenze di bilancio con un rendiconto
finanziario nel quale erano schematicamente riportati i flussi di cassa dell’esercizio, senza alcuna indicazione circa
la capitalizzazione dei costi d’acquisto del parco giocatori, né erano evidenziati gli ammortamenti relativi agli oneri
a carattere pluriennale. In pratica i sodalizi sportivi erano gestiti “per cassa”. Con l’adozione della forma giuridica
di Società per Azioni trovarono applicazione tutte quelle norme del Capo V, Sezione IX “Del Bilancio” del Codice
Civile, che assicurano piena pubblicità e immediata trasparenza riguardo la situazione economica-finanziaria delle
società.
14
La decisione assunta dal Consiglio Federale di imporre la veste giuridica di società di
capitali agli enti calcistici professionisti rispose, in definitiva, ai seguenti scopi:
- una chiara definizione delle responsabilità dei rappresentanti legali;
- imporre il rispetto di direttive omogenee di gestione;
- rispettare le disposizioni in materia societaria e fiscale;
- sanare le posizioni di debito delle associazioni quale premessa imprescindibile
per una gestione più ordinata e corretta
29
.
La previsione della forma giuridica di Società per Azioni era stata posta degli organi
federali nell’ottica di una politica di risanamento dei bilanci delle società di calcio, come
condizione necessaria per l’erogazione del mutuo sportivo, nonché per la concessione di
agevolazioni tributarie
30
.
La legislazione in essere al momento, va ricordato, si limitava a definire genericamente
le compagini quali società
31
, vietando loro la finalità lucrativa
32
. Proprio l’assenza
(statutariamente prevista) dello scopo di lucro impedì l’assimilazione dei sodalizi sportivi
alle società disciplinate dal Titolo V, Capo I del Codice Civile. Per tale ragione, quali
associazioni non riconosciute, i sodalizi sportivi (compresi quelli calcistici) erano
disciplinati dal Capo II del titolo II del Codice Civile
33
. Occorre comunque far notare come,
malgrado l’atteggiamento ostile assunto dalla dottrina e dalla giurisprudenza, l’adozione
della forma giuridica della società di capitali aveva trovato applicazione antecedentemente
alla Riforma del ’66. Ricordiamo qui gli esempi della S.p.A. Torino, costituita nel 1959 (ben
sette anni prima della Riforma), della S.p.A. Calcio Napoli, sorta nel 1964 e della S.p.A.
Modena Football Club, costituita nel 1962.
29
F.Manni, Le società calcistiche. Problemi economici, finanziari e di bilancio, Torino, G.Giapichelli Editore,
1991, pag. 14.
30
L’erogazione del mutuo ad interesse agevolato diretto al risanamento delle società calcistiche era infatti
subordinato all’assunzione, da parte dei sodalizi sportivi, della forma di società. (Ministero del Turismo e dello
Spettacolo, nota del 22 novembre 1966, in G. Falsanisi, E.F. Giangreco, op.cit., nota 14.
31
Sul significato da attribuire al temine società (con il quale l’art. 10 della legge 426/42- legge istitutiva del
C.o.n.i.- qualificava i sodalizi sportivi), la dottrina è divisa. Da un lato, si sosteneva il delinearsi di una fattispecie
giuridica a sé stante,differenziato dalle altre società ( art. 2247 c.c.), caratterizzata dal perseguimento di un interesse
sportivo meritevole di tutela al pari di quello delle società con fini spirituali e religiosi (cfr. sentenza Corte di
Cassazione del 30 settembre 1952). In giurisprudenza tuttavia, questa tesi venne respinta, sottolineando come con
il termine società fosse stato usato dal legislatore nel senso più ampio di “gruppo” o “ente collettivo” in genere,
quale che fosse stata la loro forma giuridica prevista. (G. Falsanisi, E.F. Giangreco, op.cit., nota 6).
32
Già il regolamento C.o.n.i. del 1942, all’art. 25, affermava che le società ed associazioni sportive non dovevano
tassativamente avere scopo di lucro.
33
G. Falsanisi, E.F. Giangreco, op.cit.,pag. 13.
15
La regolamentazione autoritativa del ‘66 del fenomeno calcistico, con la quale il
Consiglio Federale sciolse d’ufficio i Consigli direttivi delle associazioni professionistiche,
al fine di procedere alla loro ricostituzione sotto forma di S.p.A.; prestava il fianco a tutta
una serie di eccezioni di legittimità circa le modalità con le quali la trasformazione societaria
veniva pronosticata. La Corte di Cassazione
34
prima, il Consiglio di Stato
35
poi intervennero
sulla questione dichiarando illegittimo il provvedimento adottato dalla F.I.G.C., in quanto lo
scioglimento diretto di un ente privato (in tal caso le associazioni calcistiche) da parte di un
Ente Esterno (la F.I.G.C .) era da ritenersi lesivo di un interesse soggettivo e quindi da
considerarsi illegittimo. Questa possibilità di scioglimento coatta, si diceva nella sentenza
della Corte, poteva essere soltanto di competenza della legge di Stato
36
.
La controversia giuridica si risolse scindendo l’operazione in due parti distinte,
consistenti nell’adozione di una delibera di scioglimento da parte delle rispettive assemblee
alla quale ha fece seguito la ricostituzione di nuove società su iniziativa dei partecipanti alle
disciolte associazioni
37
. A onor del vero, la dottrina dell’epoca elaborò un criterio alternativo
che prevedeva la trasformazione dei sodalizi in società per azioni o società a responsabilità
limitata senza dover procedere allo scioglimento forzoso delle associazioni. Ci furono
sentenze che andavano proprio in questa direzione
38
. Nonostante queste pronunce, tale
orientamento non passò, a seguito dell’osservazione secondo la quale l’ordinamento
giuridico nazionale ammette la validità delle delibere di trasformazione solo per il passaggio
da una tipologia di società ad un altro mentre, nel caso in oggetto, la forma giuridica del
soggetto preesistente non era di natura societaria bensì di tipo associativa
39
.
34
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza del 14 marzo e 29 giugno del 1968, n. 2028, in M.Masucci, Le
società calcistiche, Bari, Cacucci, 1983.
35
Consiglio di Stato, VI Sezione, sentenza 4 luglio 1969, n. 354, in M.Masucci, ibidem.
36
Lo scioglimento di un ente privato imposto dalla F.I.G.C era ritenuto illegittimo, in quanto“…Si tratta di una
sanzione del tutto eccezionale che deve trovare necessariamente nella legge la sua specifica determinazione”.Cass.
Civ., SS.UU., 29 giugno 1968, in N.Forte, op.cit., pag. 29.
37
A.Tanzi, Le società calcistiche. Implicazioni economiche di un “gioco”, Torino, G.Giapichelli Editore, 1999,
pag. 26.
38
Sentenza n.3 del 19 Gennaio 1982 della Corte d’Appello di Firenze, in M.Masucci, op.cit.
39
G.Basile, M.Brunelli, G.Cazzullo, op.cit., pag. 9.
16
1.3 Legge 23 marzo 1981, n. 91 sullo sport professionistico
Con la legge n.91 del 1981 il legislatore elaborò una serie di disposizioni che davano
organica regolamentazione ad un settore, quello dello sport professionistico in Italia, troppo
a lungo trascurato. In seguito alla trasformazione dei sodalizi sportivi in società di capitali si
ebbe una svolta nei rapporti intrattenuti tra operatori economici (e ambito giuridico) e
mondo dello sport, del calcio in particolare
40
. L’infittirsi dei rapporti tra questi, unitamente
alla non sempre limpida disciplina applicabile alle neonate S.p.A. calcistiche, fu la
motivazione principale che spinse il legislatore ad intervenire
41
. Bisogna poi aggiungere che
il quadro economico complessivo in cui si muovevano i club professionistici del settore non
era poi così roseo
42
, a sottolineatura del mancato raggiungimento delle finalità cui mirava
l’imposizione della veste giuridica di società per azioni da parte del Consiglio Federale.
Precedentemente l’emanazione della legge 91/1981 furono presentate varie proposte di
legge volte ad una completa regolamentazione del settore sportivo, capace di risolvere i
problemi propri dei maggiori sodalizi calcistici, lasciando invece immutata la realtà delle
compagini più piccole. In una di queste (nota come proposta di legge Usvardi) si
contemplava una nuova forma associativa: l’associazione sportiva a responsabilità limitata.
Questa avrebbe dovuto ottenere riconoscimento formale da parte del C.o.n.i., che avrebbe
provveduto all’iscrizione nell’apposito registro. Il progetto di legge prevedeva inoltre
l’applicabilità delle norme codicistiche pur mantenendo l’esplicita esclusione delle norme
relative alla finalità lucrativa e, in particolare, nell’ipotesi di impiego di atleti professionisti,
di quelle dettate in tema di S.p.A. Contestualmente all’esclusione di ogni norma che
afferisse la finalità lucrativa era previsto l’obbligo di destinare gli utili di esercizio per il
50% ad un fondo gestito dal C.o.n.i.
43
.
La proposta di legge decadde, senza che ad essa facesse seguito un intervento del
legislatore in materia.
40
La legge in questione, pur essendo indirizzata a regolare i rapporti tra società e atleti nell’ ambito dello sport
professionistico, e quindi non indirizzata specificatamente al settore del calcio, costituì la base legislativa da cui
trassero origine i principali vincoli che caratterizzarono l’operato delle società di calcio. Cfr. C.Teodori, op.cit.,
pagg. 42-43.
41
Va fatto notare come, a differenza del 1966, in questo caso si è trattato di una vera e propria legge emanata dal
parlamento e non di una delibera di un organo “esterno” come la F.I.G.C.
42
Il disavanzo complessivo delle società di A e B passò infatti dai 18 miliardi del 1972 agli 86 del 1980. (A.Tanzi,
op.cit., pag. 29).
43
G. Falsanisi, E.F. Giangreco, op.cit.,pag 16.
17
A distanza di soli quattro anni (siamo nel 1978) si ebbe un nuovo intervento in campo
sportivo del legislatore. Lo spunto fu una pronuncia della Pretura di Milano
44
con la quale si
riteneva che il contratto avente per oggetto il trasferimento di un calciatore da una società ad
un’altra, dietro pagamento di una somma quale indennizzo per “cessione o vendita del
calciatore”, violasse la disciplina sulla mano d’opera
45
. Si inibiva quindi ai rappresentanti
delle società calcistiche delle società professionistiche affiliate alla F.I.G.C. lo svolgimento
di trattative per la stipula di contratti aventi ad oggetto il trasferimento di calciatori ad altra
società, fatta salva la facoltà dei singoli calciatori di contrattare con la società richiedente il
proprio ingaggio (a patto di aver ottenuto dalla società cedente il nulla osta per il
trasferimento). L’intervento pretorile bloccò il mercato estivo dei calciatori e mise in serio
rischio il regolare svolgimento del campionato di calcio 1978/1979.
Per scongiurare il rischio, venne emanato un Decreto Legge datato 14 luglio 1978,
n.367
46
; il quale forniva l’interpretazione autentica da dare circa la disciplina giuridica dei
rapporti fra ente sportivo e atleta iscritto alla federazione di categoria. In esso si evinceva
come la “costituzione, lo svolgimento e l’estinzione dei rapporti tra società o associazioni
sportive ed i propri atleti e tecnici, anche se professionisti[…]continuano ad essere
regolati, in via esclusiva dagli statuti e dai regolamenti delle federazioni sportive
riconosciute dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano, alle quali gli atleti ed i tecnici stessi
risultano iscritti”
47
. Risulta quindi che le norme applicabili relativamente all’acquisto ed al
trasferimento dei calciatori fossero quelle previste dagli statuti-tipo fatti propri dalle
federazioni riconosciute dal C.o.n.i. , derogando la disciplina vigente in materia di
collocamento
48
.
All’articolo secondo del Decreto Legge sopraccitato si rinviava ad una “disciplina
organica che […] tuteli adeguatamente gli interessi sociali, economici e professionali degli
atleti”, che avrebbe regolamentato compiutamente i rapporti intercorrenti fra atleti e società
(esposti nell’art.1). La disciplina in questione sarebbe dovuta entrare in vigore entro un anno
dall’entrata in vigore del Decreto n. 367.
44
Si tratta di un decreto della pretura stessa noto come “Decreto Costagliola”, dal nome del pretore che lo emise.
45
La Legge 23 ottobre 1960, n. 1369 sulla mano d’opera.
46
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale, n. 197 del 15 luglio 1978. Cfr. G. Falsanisi, E.F. Giangreco, op.cit., pag. 19.
47
Art. 1, 1°comma D.L. 14 luglio 1978, n. 367, in G. Falsanisi, E.F. Giangreco, ibidem.
48
Da intendersi, la Legge n. 264 (con le successive modificazioni)del 29 aprile 1949, sul collocamento della
manodopera.