acquisizioni
4
. Altri invece li menzionavano, ma dedicavano loro poco spazio. Erano inclini a 
giudicarli come una branca della storia sociale e non ne mettevano in rilievo né le peculiarità 
storiografiche, né il legame con l’attualità politica
5
.  
Analisi critiche come quelle di Nicola Gallerano hanno fatto risaltare come, spesso, la 
massiva apertura storiografica alle scienze sociali sia stata il pretesto per una riduzione del 
marxismo a semplice repertorio linguistico – “si sono addormentati storici politici e si sono 
svegliati storici sociali”
6
 –. Non potrebbe esser fatta la stessa osservazione per gli storici dei 
nuovi studi sulla cultura socialista. Questi, valutando di trovarsi all’interno di una crisi del 
movimento operaio, cercarono di mantenere saldo il legame tra storiografia e politica e 
stimarono di poterlo fare proprio tramite una profonda innovazione metodologica
7
. 
Per cercare di comporre un quadro completo ho effettuato uno spoglio della 
Bibliografia Storica Nazionale, procedendo sistematicamente dal 1975, quando questo nuovo 
interesse verso la cultura socialista mostrava di prendere avvio, al 1999
8
. Lo spoglio non è 
rimasto confinato alle voci direttamente connesse con la storia del movimento operaio, ma si è 
esteso anche a tutte quelle voci come, ad esempio, bibliografie, fonti pubblicate, storie della 
cultura che avrebbero potuto contenere altre opere inerenti la rassegna. In questo modo ho 
ottenuto un’ampia raccolta di titoli sulla cultura socialista nella quale individuare gli studi 
inerenti la rassegna, ma ho anche dovuto prendere atto che alcune opere, che avevo 
individuato in precedenza, non erano state segnalate nella Bibliografia Storica Nazionale.  
Per fare in modo che questa rassegna, pur con tutti i suoi limiti, potesse costituire uno 
strumento utile e orientativo, che desse risalto ad un preciso interesse di ricerca, anzitutto ho 
cercato di costruire un’appendice bibliografica, ove raccogliere tutti i testi consultati che 
                                                 
4
 Su questo punto chiari gli esempi e i confronti fatti in R. Pisano, Socialismo italiano, «Studi storici», 
35 (1994), n. 1, pp. 99-110 e M. Ridolfi, Ripensare la storia del socialismo, «Studi storici», 35 (1994), n. 1, pp. 
111-127. 
5
 Esempi di questa lettura: I. Granata, Il socialismo italiano nella storiografia del secondo dopoguerra, 
Roma-Bari, Laterza, 1980, p. 87; N. Dell’Erba, Il socialismo riformista tra politica e cultura, Milano, Franco 
Angeli, 1990, pp. 164-165. 
6
 N. Gallerano, Fine del caso italiano? La storia politica tra “politicità” e “scienza”, «Movimento 
operaio e socialista», n. s., 10 (1987), n.1-2, p. 18 
7
 Forse l’espressione più chiara di questo concetto si trova nell’ Editoriale redazionale con cui 
«Movimento operaio e socialista» (cfr. 23 (1977), n. 1, pp. 3-6),  l’unico vero e proprio punto di riferimento per 
tutti gli anni Ottanta dei nuovi studi sulla cultura socialista, annunciava il cambio di direzione nelle ricerche 
storiografiche portate avanti. Molto espliciti anche saggi come P. Favilli, Storia e socialismo: letture marxiste di 
Ettore Ciccotti, «Ricerche storiche», 15 (1985), n. 2, pp. 373-403. 
8
 Ultimo volume posseduto al momento dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. 
 5
potessero essere ascrivibili all’interno di quest’orientamento
9
. In secondo luogo ho cercato di 
descrivere alcuni presupposti storiografici che potessero essere distintivi. 
Nell’ambito di questi studi, gli anni Ottanta e Novanta si sono rivelati più produttivi 
quantitativamente ma poco innovativi, tanto da non oltrepassare, in linea di massima, le 
ipotesi di ricerca definitesi entro l’inizio degli anni Ottanta
10
. Per questo ho ritenuto di dover 
incentrare la trattazione soprattutto sul decennio compreso tra primi anni Settanta e primi anni 
Ottanta, al fine di comprendere come e perché queste ricerche avessero preso avvio. La 
limitazione del campo di analisi mi è sembrata poter ampliare le prospettive di questo lavoro, 
offrendo la possibilità di aprire, per quanto piccolo, uno spiraglio sulla totalità dell’evoluzione 
della storiografia del movimento operaio iniziata in quegli anni.  
In questo modo è stato anche possibile approfondire il contesto storiografico. Ho 
ricostruito alcuni momenti della storia della storiografia del movimento operaio italiano dal 
secondo dopoguerra a tutti gli anni Settanta e uno spaccato degli studi e delle idee della 
storiografia internazionale.  Il fine era illustrare i momenti storico-politici, gli studi, gli storici 
maggiormente ripresi o discussi nei nuovi studi sulla cultura socialista. 
Per quanto riguarda la storiografia italiana sono emerse varie riflessioni sul rapporto 
tra politica e storiografia, a cominciare dall’avvio della storiografia del movimento operaio 
nel secondo dopoguerra, ai bienni del ’55-’56 e del ’68-’69, per non citare che i momenti più 
noti. Comprensibilmente nei nuovi studi sulla cultura socialista e di conseguenza in questa 
parte della trattazione è stata dedicata molta attenzione a momenti particolari dello studio 
della cultura della classe operaia e del primo socialismo, come le ricerche di Gianni Bosio o 
gli studi di Ernesto Ragionieri. È stata data molta importanza ad analisi che rimettessero in 
discussione la nascita della coscienza di classe, come le affermazioni di Gastone Manacorda 
del ’63 sulla dicotomia tra nascita della coscienza di classe e affermazione del capitalismo in 
Italia – “le idee, insomma, circolarono più rapidamente e vennero in effetti importate prima 
                                                 
9
 L’appendice si estende cronologicamente dal 1973 al 2004. Se alcune mancanze saranno inevitabili 
ma involontarie, altre sono il frutto di precise scelte, come nel caso degli studi sull’emigrazione, compiuti dagli 
stessi storici dei nuovi studi sulla cultura socialista – ad esempio Patrizia Audenino – , poiché anch’essi atti a 
ricostruire la circolazione delle idee, ma che avrebbero implicato un allargamento anche ad altri campi di studio, 
a discapito di un tentativo di chiarezza. 
10
 Vari giudizi, credo, confermino la mia opinione. Tra questi rimando a quanto scritto in F. Andreucci, 
Introduzione, a Id., Il marxismo collettivo. Socialismo, marxismo e circolazione delle idee dalla Seconda alla 
Terza Internazionale, Milano, Franco Angeli, 1986, p. 8 e G. Isola, La ribalta socialista in Italia tra Otto e 
Novecento, «Ventesimo secolo», 1 (1991), n. 2-3, p. 388. 
 6
delle macchine e dei capitali”
11
 – o gli studi, tendenti a ricostruzioni di lungo periodo, di 
Giuliano Procacci
12
.  
Un punto su tutti era particolarmente messo in risalto dai nuovi studi: le ricerche della 
storiografia del movimento operaio, a partire dal secondo dopoguerra, pur nella loro 
eterogeneità, erano sottese da una comune certezza. Che si contrapponessero o meno al 
rapporto della storiografia del movimento operaio con lo storicismo, che fossero più vicine al 
Pci o al Psi, confidavano sull’esistenza di una classe e di un movimento operai.  
Negli anni Settanta del Novecento in Italia la politica e la sua funzione subirono una 
profonda rimessa in discussione. Per quanto concerne i partiti di sinistra, iniziarono a disfarsi, 
pur senza risvolti elettorali immediati, le radici di un’identità e ad accentuarsi le questioni 
sollevate dalla distanza tra una prospettiva ideale e l’urgenza dei problemi del presente
13
. 
Prendeva avvio quel processo i cui risultati Paolo Favilli ha riassunto laconicamente nel 2000, 
affermando che “non esiste più la classe operaia in questa fine secolo. Ci sono soltanto gli 
operai”
14
. La perdita di questa certezza diede luogo, già dagli anni Settanta, ad alcune risposte 
storiografiche molto discusse nei nuovi studi sulla cultura socialista. Se da una parte si tenne 
conto notevolmente dell’apertura alle scienze sociali, dall’altra fu analizzato e criticato il 
lavoro di Stefano Merli
15
.  
Storici come Tommaso Detti, Franco Andreucci, Gabriele Turi coinvolti, anche se in 
modo differente, nell’avvio di un nuovo approccio alla cultura socialista, riconobbero a Merli 
non solo il merito di un lavoro di grande valore, ma soprattutto di aver posto nitidamente alla 
storiografia del movimento operaio il problema dell’individuazione della nascita della 
coscienza di classe in Italia. Non giudicarono però che avesse compiuto una ricostruzione 
                                                 
11
 G. Manacorda, Formazione e primo sviluppo del Partito socialista in Italia. Il problema storico e i 
più recenti orientamenti storiografici, in Id., Rivoluzione borghese e socialismo. Studi e saggi, Roma, Editori 
Riuniti,1975, p. 169.  
12
 Per un’idea cfr. G. Procacci, La lotta di classe in Italia agli inizi del secolo XX, Roma, Editori Riuniti, 
1970. 
13
 Per un quadro sintetico delle priorità, negli anni Settanta, di una storiografia del movimento operaio 
che intendeva rinnovarsi e diventare un strumento di maggior divulgazione, per rispondere sia a una 
semplificazione della politica che al suo allontanamento dalla quotidianità, cfr. M. Salvati, Prefazione, a Ead. (a 
cura di), Cultura operaia e disciplina industriale, «Annali della Fondazione Lelio e Lisli Basso – Issoco», vol. 
VI, 1982, pp. 13-19. Per una lettura generale del rapporto tra italiani, politica, partiti di sinistra cfr. G. 
Mammarella, L’Italia contemporanea. 1943-1998, Bologna, il Mulino, 1998
4
 e M. L. Salvadori, La Sinistra 
nella storia italiana, Roma-Bari, Laterza, 1999.  
14
 P. Favilli, Gli storici italiani e le identità di classe: appunti sulle fasi «ideologiche» e sulle fasi 
«scientifiche», in Id. – M. Tronti (a cura di), Classe operaia. Le identità: storia e prospettiva, Milano, Franco 
Angeli, 2001, p. 9.  
15
 Vennero discusse ampiamente le osservazioni di Merli. Il riferimento principale era a S. Merli, 
Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale. Il caso italiano 1880-1900, Firenze, La Nuova Italia, 1972. 
 7
storica attendibile. Merli dava risalto all’autonomia e alla spontaneità della nascita della 
coscienza di classe, arrivando ad attribuire all’organizzazione del movimento operaio un ruolo 
negativo. Lo storico escludeva un’indagine, ritenuta viceversa fondamentale nei nuovi studi 
della cultura socialista, sul rapporto tra classe dirigente del partito e coinvolgimento delle 
masse nel socialismo
16
. 
Gli storici dei nuovi studi trovarono una risposta alle domande storiografiche degli 
anni Settanta, in quanto, ormai da tempo, era portato avanti nel panorama internazionale. 
Come spiegava una delle prime storiche italiane a dedicarsi ai nuovi studi sulla cultura 
socialista, Patrizia Audenino, quest’apertura comportava la visione di una storia del 
movimento operaio che, pur senza disconoscere le peculiarità nazionali, potesse essere 
costruita internazionalmente, su presupposti storiografici comuni. Storici come Edward P. 
Thompson e Eric J. Hobsbawm, come il gruppo de «Le mouvement social», come Hans-Josef 
Steinberg o Georges Haupt rappresentarono un esempio storiografico ideale e concreto al 
quale rifarsi
17
.  
Il rapporto dei nuovi studi sulla cultura socialista con la storiografia internazionale si 
tradusse in una varietà di ricerche innovative. Se da una parte furono rivalutate fonti usate 
tradizionalmente come la stampa, alle quali erano rivolte nuove domande per comprendere la 
cultura della classe operaia, dall’altra emersero ipotesi di studio nuove, come l’analisi delle 
immagini o la ricostruzione dei fenomeni di sociabilità come le feste del Primo Maggio. 
I riferimenti internazionali scelti non perdevano di vista assolutamente il legame tra 
politica e storiografia. Avevano un approccio sicuramente marxista, nonché un’idea molto 
chiara della funzione della storiografia in campo politico. Ciononostante si dimostravano 
molto più liberi, rispetto agli studi italiani, da approcci dottrinari alla storia del movimento 
operaio
18
.  
Non casualmente anche in Italia la manifestazione di un nuovo orientamento 
storiografico verso la cultura socialista si accompagnò alla rivisitazione di alcuni tradizionali 
giudizi della storiografia. Esemplare è la questione del riformismo socialista nel periodo della 
                                                 
16
 Cfr. G. Turi, Socialismo e cultura, «Movimento operaio e socialista», n.s., 3 (1980), n. 2-3, pp. 147-
148; T. Detti, Il socialismo riformista, Milano, La Pietra, 1981, pp. 63-64; F. Andreucci – G. Turi, La classe 
operaia: una storia nel ghetto, «Passato e presente», 5 (1986), n. 10, p. 5. 
17
 Cfr. P. Audenino, Introduzione, a Ead., L’avvenire del passato. Utopia e moralità nella sinistra 
italiana alle soglie del XX secolo, Milano, Edizioni Unicopli, 2002, pp. 9-35. 
18
 Cfr. ad esempio P. Favilli Storia e socialismo, cit., pp. 373-4 ove si prendeva a modello Hobsbawm, 
“uno storico di quelli per cui l’approccio non dottrinario al marxismo è stato sempre criterio metodologico 
portante della propria ricerca”. 
 8
Seconda Internazionale. Una storiografia impostata su una visione teleologica della storia, 
gradualista o rivoluzionaria che fosse, giudicava il riformismo come colpevole di una 
‘sconfitta storica’, finendo per emarginarlo dagli studi o comunque per non approfondirlo. Al 
contrario, nel contesto degli anni Settanta, di fronte alla perdita di certezze ideologiche, la 
lettura del riformismo poteva più facilmente essere storicizzata. Anzi diveniva di stringente 
attualità lo studio di una forma di socialismo e di un partito che erano riusciti a convogliare le 
masse verso un comune obiettivo, creando, per quanto eclettiche, una cultura e un’ideologia 
che accomunavano il ricco borghese al più umile dei braccianti; ciò che andava perdendosi 
negli anni Settanta.  
Tra i primi spazi ad aprirsi per i nuovi studi sulla cultura socialista furono i convegni 
su protagonisti del riformismo, quali Anna Kuliscioff e Camillo Prampolini
19
. L’accenno a 
questi convegni mi permette di precisare un’ulteriore limitazione che ho ritenuto opportuna 
per la chiarezza di questa rassegna. In generale la rivalutazione del riformismo si prestava a 
diverse letture, alcune più propriamente storiche, altre sia storiche sia di supporto all’azione 
politica del Psi a partire dagli anni Settanta. Di queste divergenze, coinvolgendo direttamente 
modi opposti di concepire lo studio della cultura socialista, si è dato conto nella rassegna. 
 Il problema, nel quale ho scelto di non addentrarmi, è che alcune divergenze politiche 
erano presenti anche all’interno dei nuovi studi. Se già ai convegni su Kuliscioff e Prampolini 
convivevano anime diverse, queste si separarono successivamente, tanto da far rimanere come 
iniziative isolate questi convegni. La questione, genericamente, concerne differenti visioni 
politiche. Storiograficamente, a grandi linee, questo si tradusse nella scelta tra privilegiare la 
dimensione collettiva del primo socialismo o l’elaborazione della visione portata avanti da 
singole figure
20
.  
Seguire queste divergenze avrebbe significato correre il rischio di passare dalla storia 
della storiografia alla polemica politica, perdendo di vista quelle che invece furono le svolte 
macroscopiche che in questa rassegna non potevano esser taciute, dall’apertura ad una storia e 
una storiografia del movimento operaio internazionali, di cui si è detto, alla rivisitazione del 
pensiero di Gramsci. Tutti i primi studi sulla cultura socialista di questo nuovo orientamento 
contenevano un riferimento a Gramsci e alla reinterpretazione dei suoi scritti avviata negli 
                                                 
19
 Cfr. Anna Kuliscioff e l’età del riformismo: atti del convegno di Milano, dicembre 1976, Roma, 
Mondo Operaio/Edizioni Avanti!, 1978; Istituto socialista di Studi Storici (a cura di), Prampolini e il socialismo 
riformista. Atti del convegno di Reggio Emilia – ottobre 1978, Roma, vol. I, Mondo operaio/Edizioni Avanti!, 
1979, vol. II, Istituto socialista di Studi Storici, 1981. 
20
 Cfr. T. Detti, Il socialismo riformista in Italia, Milano, La Pietra, 1981, pp. 71-2. 
 9
anni Settanta. Dal secondo dopoguerra era prevalsa una lettura di Gramsci tesa a supportare 
una storiografia teleologica. La rilettura di Gramsci è stata una delle basi di partenza per i 
nuovi studi sulla cultura socialista
21
, favorita anche dall’apporto della storiografia 
internazionale e di storici come Eric Hobsbawm
22
.  
Non potendo seguire ogni singolo filone di studio, per mostrare quale immagine del 
socialismo e della cultura socialista emergesse, ho scelto di tornare sugli studi sull’editoria 
socialista. Ho riscontrato, infatti, come fin dai primi studi della rassegna, d’inizio anni 
Settanta, fosse attribuita molta importanza all’editoria
23
, per quanto un primo tentativo di 
impostare concretamente gli studi non fosse compiuto che nel 1980
24
. 
Storiograficamente l’editoria socialista costituiva il punto di intersezione di diversi 
percorsi di studio. Alcuni storici, come Gianfranco Tortorelli, hanno inserito questo interesse 
all’interno di percorsi più ampi e generali di studio sull’editoria italiana. Altri invece, come 
Maurizio Ridolfi, vi hanno dedicato alcuni saggi per completare studi più ampi sul 
radicamento del socialismo in Italia dalla nascita del partito socialista all’avvento del 
fascismo. Altri ancora, come Rossano Pisano, sono partiti da un interesse per i periodici 
socialisti e si sono interessati delle iniziative editoriali collaterali
25
.  
All’interno della storiografia del movimento operaio, questo particolare settore di 
studi, permetteva di mettere in evidenza sia le novità storiografiche, in rapporto con la 
storiografia internazionale, sia la continuità, poiché già Gramsci aveva indicato l’importanza 
dello studio dell’editoria popolare, cui l’editoria socialista era molto prossima, per la 
comprensione dell’ideologia delle masse
26
.  
                                                 
21
 Cfr., ad esempio, A. Sobrero, Culture subalterne e nuova cultura in Labriola e Gramsci, in F. Ferri (a 
cura di), Politica e storia in Gramsci. Atti del convegno internazionale di studi gramsciani. Firenze, 9-11 
dicembre, 1977, vol. II, Relazioni, interventi, comunicazioni, Roma, Editori Riuniti – Istituto Gramsci, 1977, pp. 
623-647 e Id., Problemi di ricostruzione della mentalità subalterna: letteratura e circolazione culturale alla fine 
dell’800, «Problemi del socialismo», quarta serie, 20 (1979), n. 16, pp. 9-40. 
22
 Cfr. ad esempio E. J. Hobsbawm, Gramsci e la teoria politica marxista, in F. Ferri (a cura di), 
Politica e storia in Gramsci, cit., pp. 37-51. Per un primo quadro degli interventi di Hobsbawm nel dibattito 
storiografico italiano a partire dagli anni Cinquanta fino agli anni Settanta, cfr. Menduni E., Fra storia sociale e 
storia della società. Eric Hobsbawm, «Studi storici», 14 (1973), n. 3, pp. 681-698. 
23
 Cfr. L. Trudu, Cultura e socialismo in Sardegna alla fine dell’Ottocento, «Archivio sardo del 
movimento operaio, contadino e autonomistico», 1 (1973), n. 1, p. 122. 
24
 Cfr. G. Turi, Editoria e cultura socialista (1890-1910), in L. Balsamo e R. Cremante (a cura di), 
Angelo Fortunato Formiggini un editore del Novecento, Bologna, Il Mulino, 1981, pp. 91-151. La pubblicazione 
curata da Balsamo e Cremante era la raccolta degli atti del convegno A. F. Formiggini, un editore del Novecento, 
svoltosi a Modena il 7-8 febbraio 1980.  
25
 Cfr. par. 2.3 e Appendice. 
26
 Cfr. G. Turi, Editoria e cultura socialista, cit., pp. 91-94. 
 10
Lo studio dell’editoria si presentava in primo luogo come il tentativo di comprendere 
il socialismo inteso dalle classi dirigenti e dagli intellettuali di estrazione borghese. Questi 
non conoscevano, fondamentalmente, i testi di Marx ed Engels. Il problema era se questo dato 
permettesse di limitare la loro adesione al partito ad una semplice trasposizione nella 
concezione del socialismo dei valori lasciati in eredità dalla cultura positivista e democratica 
o, al contrario, come sostenuto generalmente dai nuovi studi sulla cultura socialista, si potesse 
comunque identificare il primo nucleo dell’elaborazione e della diffusione del concetto di 
coscienza di classe. Esemplare il caso dello scrittore Edmondo De Amicis, la cui 
interpretazione divise gli storici tra chi gli attribuiva un giudizio di adesione al socialismo 
blanda e sentimentale e chi, invece, ne sottolineava la profonda cognizione del socialismo e 
l’adattamento letterario e propagandistico delle conoscenze
27
. 
Se i cataloghi degli editori e i libri pubblicati mostravano una forte semplificazione del 
messaggio socialista, è anche vero che il socialismo in Italia si diffuse per mano di 
intellettuali borghesi che considerarono di dover adattare i messaggi comunicati alle 
possibilità di recezione delle masse. Infatti se i libri erano destinati alla fruizione diretta di chi 
poteva leggere, quindi soprattutto alla piccola e media borghesia, i concetti e le idee 
raggiungevano, tramite questo filtro, sicuramente anche le masse
28
. 
Lo studio della circolazione del materiale stampato dall’editoria socialista, dagli 
opuscoli direttamente legati alla propaganda ai romanzi di letteratura amena, seppur limitato a 
quanto venisse proposto e si volesse far leggere, era il tramite per conoscere quanto 
effettivamente venisse fornito, in termini culturali, al militante socialista di base per ritenersi 
tale. Con buona approssimazione, era possibile ritenere, tramite questa via di ricerca, di poter 
conoscere quali fossero i valori identificanti di un militante socialista, anche se analfabeta
29
. 
 
                                                 
27
 Poli della discussione Giorgio Bertone (cfr. Id., “Parlare ai borghesi”: De Amicis, il “Primo 
Maggio” e la propaganda socialista, «Movimento operaio e socialista», n. s., 3 (1980), n. 2-3, pp.155-173) e 
Sebastiano Timpanaro (cfr. Id., Il socialismo di Edmondo De Amicis: lettura del “Primo maggio”, Verona, 
Bertani, 1983). 
28
 Cfr. S. Dominici, La cultura socialista nell’età liberale, cit., p. 237. 
29
 Cfr. R. Pisano,  Editoria popolare e propaganda socialista in Italia fra Otto e Novecento: gli opuscoli 
di «Critica sociale», «Studi storici», 25 (1984), n. 2, pp. 370-5. 
 11
I. Il contesto storiografico
 
1.1 Il secondo dopoguerra 
 
Tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento prese avvio un orientamento 
storiografico innovativo nel panorama della ricerca sulla cultura socialista. I cambiamenti 
contenutistici e metodologici presenti in questa compagine di studi sono da considerare in 
stretto rapporto con l’evoluzione delle istanze e del contesto in cui nacque la storiografia del 
movimento operaio del secondo dopoguerra, in particolare con il netto cambiamento di 
prospettive iniziato negli anni Settanta. 
 Nel 2000, senza voler negare una vitalità ed un’eterogeneità di stimoli e di riflessioni 
in entrambe, Paolo Favilli riteneva che, dal secondo dopoguerra fino a quella data, si potesse 
parlare di due fasi storiografiche distinte, nettamente diverse sia nei soggetti quanto, 
soprattutto, nel metodo degli studi. La prima fase della storiografia del movimento operaio era 
stata caratterizzata da una netta prevalenza di preoccupazioni ideologiche e politiche, tale da 
poter definire la sua produzione una “storia «etico-politica»”. Tra la fine degli anni Settanta e 
l’inizio degli anni Ottanta, era iniziata una nuova fase nella quale ad essere prevalente era 
l’intento scientifico. L’espressione più eclatante di questa fase era stata l’affermazione della 
storia sociale
1
. 
Tra le componenti che contribuirono a formare la specificità della storiografia del 
movimento operaio nel secondo dopoguerra, va sicuramente evidenziato il legame con il 
contesto sociale e politico.  
A partire dalla Resistenza cominciarono a riaffermarsi quelle forze che, prima del 
ventennio fascista, avevano caratterizzato la politica italiana. La nascita della democrazia, 
l’Assemblea Costituente videro rappresentati, nelle loro varie sfumature, il socialismo, il 
cattolicesimo e il liberalismo
2
.  
                                                 
1
 P. Favilli, Gli storici italiani e le identità di classe: appunti sulle fasi «ideologiche» e sulle fasi 
«scientifiche», in P. Favilli – M. Tronti (a cura di), Classe operaia. Le identità: storia e prospettiva, Milano, 
Franco Angeli, 2001, p. 9. L’intervento di Favilli è introduttivo al testo, che non è altro che la raccolta degli atti 
di un convegno, sul tema segnalato dal titolo, tenutosi a Piombino nel 2000. 
2
 Cfr. S. Colarizi, Storia dei partiti e dei movimenti politici, in L. De Rosa  (a cura di), La storiografia 
italiana degli ultimi vent’anni, vol. III, Età contemporanea, Bari, Laterza, 1989, p. 194. In 3 volumi Luigi De 
Rosa raccoglieva gli atti di un covegno tenutosi ad Arezzo dal 2 al 6 giugno 1986. Tale convegno era l’ideale 
prosecuzione del I Congresso Nazionale di Scienze Storiche, tenutosi a Perugia tra il 9 ed il 13 ottobre 1967 (Per 
gli atti cfr. La storiografia italiana negli ultimi vent’anni, Milano, Marzorati editore, 1981). 
 12
Se già quei momenti furono rilevanti per la nascita della storiografia del movimento 
operaio, maggiormente lo fu la situazione politica determinatasi a partire dai risultati delle 
elezioni del 1948, che videro la sconfitta dei due principali partiti della sinistra, Pci e Psi. 
Quella sconfitta, avvenuta a discapito delle aspettative dei due partiti, segnò l’inizio di un 
lungo periodo di opposizione che li costrinse a rimanere una “forza politica «congelata»”, 
concretamente fautrice della democrazia, idealmente e ideologicamente avversa
3
. 
La storiografia del movimento operaio fu caratterizzata da un legame molto stretto con 
l’azione dei partiti della sinistra. Per la necessità di una legittimazione, a fronte dell’accusa 
rivolta al socialismo di essere un elemento estraneo, non autoctono, e per questo fuori luogo 
nel panorama italiano, il socialismo italiano delle origini aveva guardato alla storiografia per 
operare una rilettura del passato volta a identificare personaggi e avvenimenti precursori. Il 
partito cercava di dimostrare per questa via di essere la naturale espressione, nonché l’agente 
principale, di un percorso storico di ineluttabile riscatto del proletariato
4
. Su presupposti 
simili, anche se nel diverso contesto del secondo dopoguerra, nacque e si sviluppò, almeno 
fino ai primi anni Cinquanta, la storiografia sul movimento operaio in Italia. 
La ricerca storica doveva legittimare l’azione corrente dei partiti socialisti all’interno 
dello stato democratico, dimostrando come il movimento operaio avesse concorso alla sua 
affermazione, nonchè confermando come, a dispetto della staticità politica momentanea, la 
storia stesse seguendo un preciso cammino ideale. Molto chiare risultano le parole spese dal 
dirigente del Pci Arturo Colombi nel 1952 per illustrare l’idea del partito sul ruolo della 
storiografia. Agli storici militanti era affidata una grande responsabilità che non permetteva 
loro di limitarsi al ruolo di studiosi. La militanza imponeva la consapevolezza che, scrivendo 
storia, essi erano anzitutto “dei combattenti della classe operaia, dei marxisti leninisti, […] i 
quali assolvono una funzione importante di partito”
5
.  
Nella rilettura compiuta tra gli anni Ottanta e Novanta di quel primo periodo della 
storiografia del movimento operaio le posizioni sono state molto differenti. Da una parte c’è 
stato chi, come Giovanni Gozzini, ha parlato di una dipendenza della storiografia così forte 
                                                 
3
 Cfr. M. L. Salvadori, La sinistra nella storia italiana, Roma-Bari, Laterza, 1999, pp. 118-19. 
4
 Per un quadro sulla funzione di legittimazione della storiografia socialista italiana prima del 1914, cfr. 
G. Turi, Editoria e cultura socialista, cit., pp. 118-132. Per una discussione impostata sugli stessi presupposti di 
Turi, ma in una prospettiva europea, cfr. G. Haupt, Introduzione. Perché la storia del movimento operaio?, a Id., 
L’Internazionale socialista dalla Comune a Lenin, Torino, Einaudi, 1978, pp. 9-13.  
5
 A. Colombi, Orientamenti e compiti della storiografia marxista in Italia, «Archivio dell’Istituto 
Gramsci», p. 3, cit. da L. Masella (a cura di), Passato e presente nel dibattito storiografico. Storici marxisti e 
mutamenti della società italiana 1955-1970: antologia critica, Bari, De Donato, 1979, p. 5. 
 13
dall’azione partitica, da escludere qualunque libertà della ricerca, alla luce di indicazioni 
politiche dirette ed esplicite
6
. Dall’altra chi, come Paolo Favilli, senza negare l’esistenza di 
forti condizionamenti, ha ribadito l’esistenza di itinerari più complessi. Favilli non solo non 
ha accettato l’idea di una storiografia meramente al servizio dei partiti, ma si è opposto anche 
all’idea conseguente di una storiografia piatta e uniforme
7
.  
Al di là dei giudizi sul legame tra storiografia del movimento operaio e politica, è 
indubbio che questo rapporto concorse a porre la ricerca storica in termini di forte 
antagonismo con le idee prevalenti nella cultura e nella storiografia italiane. In linea generale, 
gli storici della sinistra cercarono di affermare l’importanza dello studio del movimento 
operaio e di far prevalere la loro lettura della storia italiana. Questa battaglia, dai risvolti ideali 
ma anche concreti, come il tentativo di ottenere spazi editoriali e accademici, si risolse con il 
raggiungimento ed il mantenimento di una duratura egemonia in campo culturale e soprattutto 
storiografico
8
. 
La storiografia italiana del secondo dopoguerra era dominata dalla lezione storicista e 
con questa la storiografia del movimento operaio dovette commisurarsi. L’obbiettivo della 
storiografia del movimento operaio dal dopoguerra fu sostanzialmente quello di affermare 
l’importanza di nuovi contenuti storiografici, non portando avanti una battaglia metodologica. 
Da questo punto di vista sono emblematiche le posizioni assunte dalla redazione di 
«Società». La rivista si presentava come uno dei poli principali dell’elaborazione culturale 
della sinistra ed era costituita da una redazione di militanza politica dichiaratamente 
comunista con collaboratori tutti orbitanti in quell’area politica. Nel 1947 la redazione scelse 
di introdurre il terzo anno di pubblicazione con un editoriale che aveva l’intento sia di chiarire 
il valore ed il ruolo politico della cultura, sia all’interno della battaglia culturale, il senso del 
lavoro storiografico militante. 
                                                 
6
 Cfr. G. Gozzini, La storiografia del movimento operaio in Italia: tra storia politica e storia sociale, in 
C. Cassina (a cura di), La storiografia sull’Italia contemporanea. Atti del convegno in onore di Giorgio 
Candeloro, Pisa, 9-10 novembre 1989, Pisa, Giardini, 1989, pp. 242-46. 
7
 P. Favilli, Gli storici italiani e le identità di classe, cit., p. 10. Paolo Favilli citava (p.11) anche 
Hobsbawm che (in E. J. Hobsbawm, La storia è progredita?, in Id., De Historia, Milano, Rizzoli, 1997, p.87) fa 
notare come non si possa stabilire una linea di diretta dipendenza della storiografia dal clima politico con 
l’immagine di una storiografia che avanza “procedendo faticosamente a zig zag”. 
8
 È ovviamente un’affermazione discussa e discutibile, per la quale si rimanda alle affermazioni e alle 
discussioni riportate in T. Detti – G. Gozzini, Storia e politica dagli anni Settanta agli anni Novanta: attualità di 
un nesso inattuale, in Iid. (a cura di), Ernesto Ragionieri e la storiografia del dopoguerra, Milano, Franco 
Angeli, 2001, p. 7; N. Gallerano, Fine del caso italiano? La storia politica tra “politicità” e “scienza”, 
«Movimento operaio e socialista», n. s., 10 (1987), n.1-2, pp. 13-15; F. Andreucci, Introduzione, a Id., Il 
marxismo collettivo. Socialismo, marxismo e circolazione delle idee dalla Seconda alla Terza Internazionale, 
Milano, Franco Angeli, 1986, pp. 7-8. 
 14
Con molta chiarezza Cesare Luporini, autore non dichiarato dell’editoriale, precisava 
come la cultura e l’elaborazione culturale avessero un ruolo gregario all’interno dello scontro 
sociale e politico. Consapevolmente o meno, qualunque prodotto della cultura rappresentava 
una precisa scelta di campo. In quest’ottica rientrava anche la storia, ritenuta l’elemento 
centrale all’interno della battaglia culturale. Era quindi inevitabile che lo scontro più duro con 
la cultura di matrice idealistica avvenisse sul terreno della storiografia.  
Nell’editoriale si attribuivano allo storicismo forti limiti contenutistici; lo storicismo si 
era arenato su un’indagine astratta, esclusivamente letteraria e retorica. Era ineluttabile 
contrapporsi in modo chiaro e deciso, ma soltanto sui contenuti, non ponendo rilievi di 
metodo. Per cui nell’editoriale era precisato come 
 
la polemica con questa cultura non intendiamo svolgerla soprattutto o soltanto su un piano 
speculativo e metodologico, bensì, al contrario, lasciando questo non in disparte, ma piuttosto nello 
sfondo: svolgerla invece in quelle zone che essa ha trascurato e necessariamente è portata a trascurare, 
portandole in primo piano
9
. 
 
Tra le riletture di quel confronto avvenute a partire dalla fine degli anni Settanta, 
Pasquale Villani riteneva fosse riduttiva e schematica la visione di una storiografia di matrice 
idealistica contrapposta ad un’altra di matrice marxistica. La formazione storiografica della 
maggiorparte degli storici del movimento operaio era avvenuta sotto l’insegnamento di 
maestri crociani, gentiliani, volpiani
10
. Non casualmente, sosteneva Gabriele Turi, la vasta e 
profonda rimessa in discussione di tutta la storiografia marxista italiana, svoltasi negli anni 
settanta, avvenne contemporaneamente al sostanziale declino dello storicismo
11
.   
Claudio Pavone metteva in risalto le “comuni radici elitarie” delle due storiografie. La 
tradizione idealistica aveva incentrato la propria attenzione sulla classe dirigente. Nella storia 
                                                 
9
 Nuova serie, «Società», 3 (1947), n. 1, pp. 6-9. A p. 3 si precisava come i redattori “sono quasi tutti 
comunisti e in parte comunisti sono i suoi collaboratori”. L’editoriale, presentato in forma anonima, era stato 
scritto in realtà da Cesare Luporini come Luisa Mangoni specificava a p. 39 del suo articolo, al quale si rimanda 
per un’idea più approfondita della storia della rivista nel secondo dopoguerra, cfr. Ead., «Società»: storia e 
storiografia nel secondo dopoguerra, «Italia contemporanea», 33 (1981), n. 145, pp. 39-58. 
10
 P. Villani, La vicenda della storiografia italiana: continuità e fratture, in P. Rossi (a cura di), La 
storiografia contemporanea. Indirizzi e problemi, Milano, Il Saggiatore, 1987, p. 392 e p. 397. Il volume 
raccoglie gli interventi tenuti nel 1984 a Cogne sui problemi della storiografia contemporanea. Le osservazioni 
di Pasquale Villani sono inserite all’interno di una sezione del volume dedicata ai commenti sucessivi a quanto 
emerso nel convegno.  
11
 Cfr. G. Turi, Politica culturale e storiografia in Ernesto Ragionieri, in T. Detti – G. Gozzini (a cura 
di), Ernesto Ragionieri, cit., p. 127.  
 15
II. Nuovi studi italiani sulla cultura socialista 
 
2.1 Premesse alla ricerca 
 
Negli anni Settanta la storiografia italiana, non solo del movimento operaio, identificò 
come un limite la mancanza di ricerche che oltrepassassero un concetto di cultura intesa come 
sinonimo di cultura alta. La ricerca prese ad allargarsi verso i rapporti tra società e cultura, tra 
politica e società, sui mezzi e sui modi di questi rapporti. Non più intesa come semplice 
sistema di riferimento delle élite, ma come espressione del pensiero e della mentalità di ogni 
componente sociale, la cultura diveniva mezzo di spiegazione, essendone il motore e il 
risultato, dell’agire sociale
1
. Nella scia di quest’ampliamento concettuale si inseriscono anche 
gli studi che, all’interno della storiografia del movimento operaio, allargarono in quegli anni i 
confini dello studio della cultura socialista
2
. 
I perché di questo mutamento interno alla storiografia del movimento operaio sono 
direttamente connessi con quelli che portarono, negli stessi anni, all’avvicinamento alle 
scienze sociali e all’affermazione della storia sociale
3
. Ma, rispetto a quanto avvenuto per la 
storia sociale, l’affermazione di questi studi fu molto più graduale ed affiancata da una forte 
continuità di ricerche che rimasero su binari tradizionali.  
Per la storia sociale italiana si è parlato di una rottura o di una ‘amnesia ideologica’
4
, 
lo stesso non si può dire per gli studi qui presi in esame. Al contrario. Da una parte apparirà 
evidente una costante ricerca di nuove fonti, riletture innovative di fonti tradizionalmente 
usate dalla storiografia, il riallacciarsi di legami con alcuni filoni, quali ad esempio la 
biografia e la storia locale che andavano rinnovandosi nello stesso periodo
5
. Dall’altra 
                                                 
1
 Cfr. G. Pescosolido, Il periodo 1870-1915, in L. De Rosa (a cura di), La storiografia italiana degli 
ultimi vent’anni, vol. III, Età contemporanea, Bari, Laterza, 1989, pp. 73-74 e S. Soldani – G. Turi, 
Introduzione, in Id. (a cura di), Fare gli italiani. Scuola e cultura nell’Italia contemporanea, vol. I, La nascita 
dello Stato nazionale, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 12. 
2
 Cfr. G. Turi, Intellettuali e propaganda nel movimento socialista, in S. Soldani – Id. (a cura di), Fare 
gli italiani, vol. I, cit., pp. 459-462. 
3
 Cfr. par. 1.2, pp. 38-40.  
4
 Cfr., ad esempio, le osservazioni di Nicola Gallerano, par. 1.2, pp. 50-1. 
5
 Per alcune osservazioni sul rinnovamento nello studio delle biografie nel panorama storiografico 
generale, che lambiscono anche gli studi oggetto del mio discorso, cfr. G. Pescosolido, Il periodo 1870-1915, 
cit., pp. 86-87. Allo stesso modo per quanto riguarda la storia locale, nello stesso volume, cfr. F. De Giorgi, La 
storia locale, cit., pp. 253-4, 261, 264-8 e più ampiamente cfr. Id., La storiografia di tendenza marxista e la 
storia locale in Italia nel dopoguerra, Milano, Vita e Pensiero, 1989, pp. 103-166 (è il terzo capitolo dell’opera, 
sul periodo che va dal dopo ’68 all’inizio degli anni ottanta, significativamente intitolato Ritorno alla storia 
locale e nuove prospettive). 
 67
risalterà la difesa in favore del marxismo contro la tendenza a ridurlo a semplice repertorio 
linguistico, privo di valore epistemologico
6
.  
Il rinnovamento degli studi sulla cultura del Psi non può non lasciare l’impressione di 
una forte domanda sul presente, sull’identità e sul senso della militanza, in un momento di 
crisi di certezze. Seguendo l’evolversi della osservazioni di Paolo Favilli, se a metà degli anni 
Ottanta lo storico constatava come fosse in atto una seconda e decisiva crisi del marxismo
7
, 
nel 2000 prendeva atto pessimisticamente della fine di questo processo affermando che “non 
esiste più la classe operaia in questa fine secolo. Ci sono soltanto operai”
8
. 
Nella mia rassegna ho cercato di operare una lettura completa di quanto prodotto sulla 
cultura socialista dagli anni Settanta fino alla fine del Novecento
9
. Non mi sembra da 
condividere la lettura che identifica negli anni Settanta, in particolare verso la fine del 
decennio, il momento migliore per i nuovi studi sulla cultura socialista
10
. La fase in cui si 
registra una maggior produzione storiografica coincise, grosso modo, con gli anni Ottanta. 
Semmai lo sforzo creativo degli anni Settanta sembrava aprire una serie di prospettive; era 
latore di un gran numero di promesse storiografiche. Invece gli studi successivi agli anni 
Settanta si limitarono semplicemente a ripercorrere e approfondire i solchi già tracciati
11
.  
Esistono due rassegne sulle nuove ricerche sulla cultura socialista, compilate da 
Stefano Pivato e da Silvia Dominici, che suffragano la mia lettura e l’opportunità, nell’analisi, 
della mia scansione cronologica maggiormente incentrata sugli sviluppi degli anni Settanta. 
La rassegna di Pivato, compilata nel 1981, sanciva la nascita di questo nuovo interesse per la 
cultura socialista all’interno della storiografia del movimento operaio e ne definiva gli aspetti 
basilari e le direzioni intraprese. Inoltre, anche se limitata soprattutto alla recensione degli 
articoli e dei saggi apparsi su «Movimento operaio e socialista», coglieva alcune precise prese 
                                                 
6
 Cfr. F. De Giorgi, La storiografia di tendenza marxista, cit. , pp. 117-118. 
7
 Cfr. P. Favilli, Storia e socialismo: letture marxiste di Ettore Ciccotti, «Ricerche storiche», 15 (1985), 
n. 2, pp. 373-4.  
8
 P. Favilli, Gli storici italiani e le identità di classe, cit., p. 9. Per una prima valutazione si rimanda a 
tutto il saggio, non potendo in questa sede soffermarsi maggiormente su una questione così ampia come la 
situazione attuale della storiografia  del movimento operaio. Cfr. anche T. Detti – G. Gozzini, Storia e politica 
dagli anni Settanta agli anni Novanta: attualità di un nesso inattuale, in Iid. (a cura di), Ernesto Ragionieri, cit., 
pp. 7-22. 
9
 La mia analisi prosegue in realtà, ma perde l’importante, per quanto talvolta incompleto, supporto 
della Bibliografia Storica Nazionale. I volumi posseduti dalla Biblioteca Nazionale di Firenze sono al momento 
fermi al 1999. 
10
 Cfr. G. Isola, La ribalta socialista in Italia tra Otto e Novecento, «Ventesimo secolo», 1991, n. 2-3, p. 
388. 
11
 F. Andreucci, Introduzione, a Id., Il marxismo collettivo. Socialismo, marxismo e circolazione delle 
idee dalla Seconda alla Terza Internazionale, Milano, Franco Angeli, 1986, p. 8. 
 68
di posizione degli storici coinvolti. In primo luogo la volontà di inserirsi nel dibattito 
sull’autonomia operaia, in risposta al clamore suscitato dalle posizioni di Merli. In secondo 
luogo la visione internazionale. Questi studi non solo volevano legarsi, metodologicamente, 
alla storiografia internazionale, in particolare a studi come quelli di Thompson o de «Le 
mouvement social»; avevano anche una visione internazionale della storia e dei problemi 
storiografici del movimento operaio
12
. 
La rassegna di Silvia Dominici fu pubblicata nel 1992. Sanciva la fine di una fase 
occorsa tra l’inizio degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. Era stato il momento di maggior 
intensità, da un punto di vista quantitativo, della produzione storiografica. Dalla lettura di 
questa rassegna risalta la continuità con il quadro delineato da Pivato dieci anni prima. Gli 
studi si erano sviluppati coerentemente con le linee tracciate negli anni Settanta
13
. 
La rassegna di Silvia Dominici aveva il pregio di mettere maggiormente in risalto un 
elemento. L’autrice sottolineava come la netta contrapposizione alla visione autonomista di 
Merli poggiasse su una lettura interclassista della storia della cultura e della mentalità. In 
questa direzione, storiograficamente, non sussisteva solo un legame con il panorama 
internazionale. Gli studi presi in esame si fondavano sull’idea di recuperare pienamente le 
indicazioni gramsciane rimaste dimenticate, per le diverse priorità della storiografia del 
movimento operaio, fino agli anni Settanta
14
. 
Per quanto riguarda la storiografia gramsciana, una prima testimonianza dell’esigenza 
di rinnovamento furono le posizioni espresse durante l’arco di tutto il 1973 da molti storici 
sulla rivista «Rinascita». Questi storici spingevano perché fosse riaperta la discussione sulla 
destalinizzazione e sulle sue ricadute storiografiche. Invitavano la storiografia gramsciana ad 
aprirsi alle esperienze internazionali, come la storiografia marxista anglosassone
15
. Ad 
intervenire erano gli storici del gruppo orbitante intorno a «Studi storici». 
Gli stessi, tra cui Ragionieri, Santarelli, Villari, Procacci, vennero anche intervistati da 
Ottavio Cecchi. Il duplice intento di queste interviste, a cadenza periodica, era quello di 
                                                 
12
 Cfr.  S. Pivato, La cultura del movimento operaio, «Italia contemporanea», 33 (1981), fasc. 143, pp. 
103-7. 
13
 Cfr. S. Dominici, La cultura socialista in Italia nell’età liberale: lineamenti e indirizzi di ricerca, 
«Studi storici», 33 (1992), n. 1, pp. 235-247. 
14
 Cfr. ivi, pp. 235-6. 
15
 Cfr. a titolo di esempio, sul problema della destalinizzazione la tavola rotonda dal tema “Vent’anni 
dopo Stalin”, «Rinascita», 30 (1973), n. 8, pp. 15-24 che annoverava, tra gli altri anche le voci di Giuliano 
Procacci e Giuseppe Boffa. Per un esempio dell’interesse per la storiografia internazionale, cfr. E. J. Hobsbawm, 
Fase di transizione per gli storici inglesi. Novità e ricerche di moderne metodologie, «Rinascita», 30 (1973), n. 
6, pp. 24-5. 
 69
Appendice 
Studi sulla cultura socialista (1973-2004) 
 
Studi di carattere generale 
 
1973  
 
L. Trudu, Cultura e socialismo in Sardegna alla fine dell’Ottocento, «Archivio sardo 
del movimento operaio, contadino e autonomistico», 1 (1973), n. 1, pp. 111-142. 
 
1978 
 
Anna Kuliscioff e l’età del riformismo: atti del convegno di Milano, dicembre 1976, 
Roma, Mondo Operaio/Edizioni Avanti!, 1978. 
 
1979 
 
F. Andreucci, La diffusione e la volgarizzazione del marxismo, in G. Haupt – E. J. 
Hobsbawm – F. Marek – E. Ragionieri – V. Strada – C. Vivanti (progetto di) Storia del 
marxismo, vol. II, Il marxismo nell’età della Seconda Internazionale, Torino, Einaudi, 1979, 
pp. 5-58 (poi in Id. Il marxismo collettivo. Socialismo, marxismo e circolazione delle idee 
dalla Seconda alla Terza Internazionale, Milano, Franco Angeli, 1986, pp. 35-91). 
 
G. M. Bravo, La prima conoscenza di Marx ed Engels in Piemonte dalla metà 
dell’Ottocento al 1883, A. Agosti – G. M. Bravo (diretta da), Storia del movimento operaio, 
del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte, vol. I, Dall’età preindustriale alla fine 
dell’Ottocento, Bari, De Donato, 1979,  pp. 447-476. 
 
Istituto socialista di Studi Storici (a cura di), Prampolini e il socialismo riformista. Atti 
del convegno di Reggio Emilia – ottobre 1978, Roma, vol. I, Mondo operaio/Edizioni 
Avanti!, 1979, vol. II, Istituto socialista di Studi Storici, 1981. 
 
 133