5
privatizzazione del pubblico impiego, senza dimenticare del tutto la dimensione 
quantitativa del fenomeno. 
Definito, nel contesto della recente riforma del mercato del lavoro, il 
complessivo quadro normativo del contratto di inserimento, verrà analizzato il ruolo 
svolto dalle organizzazioni sindacali, sia nel primo periodo di vigenza della normativa, 
con l’Accordo interconfederale dell’11 febbraio 2004, sia successivamente, attraverso 
la contrattazione di categoria. 
Particolare attenzione sarà infine rivolta al periodo di transizione dal vecchio 
al nuovo regime ed al conseguente intervento correttivo da parte del legislatore, 
avvenuto con l’emanazione del decreto legislativo 251 del 6 ottobre 2004. 
 6
 
1.  Genesi della disciplina 
Nell’ordinamento giuridico nazionale, il contratto di inserimento fa la sua 
prima apparizione col Titolo VI del D.Lgs 276/03.
5
 La ricerca delle origini di questa 
tipologia contrattuale non può, pertanto, che prendere le mosse dalla legge che ha 
delegato la sua emanazione, la L. 14 febbraio 2003 n° 30 – “Legge Biagi”
6
, e dal Libro 
Bianco che ne ha ispirato i principi e criteri direttivi. Considerando un ambito 
temporale più ampio, dopo aver osservato la continuità non solo terminologica ma 
anche funzionale del contratto di inserimento col contratto di formazione-lavoro 
“mirato ad agevolare l’inserimento professionale mediante …” (tipologia “b”), la 
ricerca deve necessariamente tener conto delle cause che, nel processo evolutivo del 
della disciplina del cfl, hanno portato allo sdoppiamento del contratto di formazione-
lavoro nelle due distinte tipologie, corrispondenti ad altrettanto distinte funzioni. 
                                                 
5
 Parte della dottrina (cfr. SILVIA CIUCCIOVINO – Il contratto di inserimento professionale – in ADL 
- Argomenti di diritto del lavoro a cura di Mattia Persiani  - CEDAM 1995) aveva battezzato come 
“contratto di inserimento” il contratto di formazione-lavoro “…mirato ad agevolare l’inserimento…” di 
cui all’art. 16 – c. 2 – L. 451/94. 
6
 L’accostamento del nome di Marco Biagi alla Legge delega non è universalmente accettato. Nella 
pubblicazione curata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali “La Legge Biagi per il Lavoro – 
Capire la riforma” p. 5 (in www.welfare.gov.it ) si afferma : “… una legge che, giustamente ha il suo 
nome, perché era stata disegnata da Marco Biagi in ogni sua riga e il suo ruolo, nel lavoro di questo 
Governo sul versante delle politiche per l’occupazione regolare e di qualità, è stato sempre persuasivo e 
determinante, già a partire dalla presentazione del Libro Bianco sul mercato del lavoro dell’ottobre 
2001”. 
 7
 
1.1  Dal Libro Bianco alla “Legge Biagi”. 
Il “Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia – Proposte per una società 
attiva e per un lavoro di qualità” è stato pubblicato dal Ministero del Lavoro 
nell’ottobre del 2001. La sua redazione è avvenuta ad opera di un gruppo di lavoro 
coordinato da Maurizio Sacconi e Marco Biagi 
7
e la sua presentazione è stata curata 
dal Ministro del Lavoro
8
 che lo ha definito “… finalizzato a rendere partecipi tutti gli 
attori istituzionali e sociali delle riflessioni che il Governo ha svolto in vista di un 
confronto mirato a ricercare soluzioni confortate dal più ampio consenso”.
9
 
In questo documento politico si afferma che il riordino dei contratti con 
finalità formativa è stata una delle maggiori inadempienze che si possono riscontrare 
nella passata legislatura, anche perché non è stata esercitata la delega contenuta 
nell’art. 16 della Legge 196/1997
10
. 
Come già accennato nell’introduzione, nel Libro Bianco si prospetta una 
maggiore distinzione delle funzioni assolte dai singoli contratti formativi “orientata da 
un lato a valorizzare il ruolo dell’apprendistato come strumento formativo per il 
mercato, mentre il cfl dovrebbe essere concepito come strumento per realizzare un 
inserimento mirato del lavoratore in azienda”.
11
 
Questi aspetti sono stati sviluppati nella Legge 30/03 che, all’art. 2, ha 
previsto la “Delega al Governo in materia di contratti a contenuto formativo e di 
tirocinio”. 
La “revisione” e la “razionalizzazione” di tali contratti di lavoro è stata 
delegata sulla base di una serie di criteri e principi direttivi in cui si possono 
individuare “tre direttrici fondamentali”
12
: a) la valorizzazione dell’attività formativa 
svolta in azienda; b) la conferma dell’apprendistato “come strumento formativo anche 
nella prospettiva di una formazione superiore in alternanza tale da garantire il raccordo 
tra i sistemi dell’istruzione e della formazione …”; c) la specializzazione del contratto 
di formazione-lavoro al fine di realizzare l’inserimento e il reinserimento mirato in 
azienda (“con conseguente svilimento del contenuto formativo”
13
). Resta ferma 
l’esigenza di attuare la delega nel rispetto delle competenze affidate alle regioni in 
materia di tutela e sicurezza del lavoro dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n° 3, 
e tenendo conto degli orientamenti annuali dell’Unione Europea in materia di 
occupazione. 
Si ritengono significativi, tra gli altri, anche i criteri direttivi che riguardano: 
 ξ  la conformità agli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato 
all’occupazione; 
                                                 
7
 Cfr. PIETRO CURZIO (a cura di) – Lavoro e diritti dopo il decreto legislativo 276/2003 – p. 11. 
8
 ROBERTO MARONI.  
9
 Libro Bianco sul Mercato del Lavoro in www.welfare.gov.it - p.v. 
10
 Il comma 5 dell’art. 16 L. 196/97 (Pacchetto Treu) così disponeva: “Il Governo emana entro nove 
mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge … norme regolamentari … in materia di speciali 
rapporti di lavoro con contenuti formativi quali l’apprendistato e il contratto di formazione-lavoro …”. 
11
 Cfr. Libro Bianco – p. 50. 
12
 Cfr. M. D’ONGHIA, I contratti a finalità formativa: apprendistato e contratto di inserimento, in P. 
CURZIO (a cura di), Lavoro e diritti dopo il decreto legislativo 276/2003, Cacucci Ed. 2004, p. 271. 
13
 Cfr. F. RAVELLI, Appunti in tema di riordino dei contratti a contenuto formativo nel decreto 
legislativo 276/2003, (www.unicz.it/lavoro/ravelli.pdf) 
 8
 ξ  la valorizzazione dell’inserimento o del reinserimento al lavoro delle 
donne, particolarmente di quelle uscite dal mercato del lavoro per 
l’adempimento di compiti familiari e che desiderino rientrarvi, al fine 
di superare il differenziale occupazionale tra uomini e donne; 
 ξ  la semplificazione e lo snellimento delle procedure di riconoscimento 
e attribuzione degli incentivi connessi ai contratti a contenuto 
formativo; 
 ξ  la sperimentazione di orientamenti, linee guida e codici di 
comportamento al fine di determinare i contenuti dell’attività 
formativa, concordati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro 
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e 
territoriale, anche all’interno di enti bilaterali; 
 ξ  il rinvio ai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e 
prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, a livello 
nazionale, territoriale e aziendale, per la determinazione, anche 
all’interno degli enti bilaterali, delle modalità di attuazione 
dell’attività formativa in azienda. 
Così come affermato nel Libro Bianco, anche l’articolo 2 della legge delega 
prevede l’attuazione degli obiettivi ed il rispetto dei criteri di cui all’art. 16 – comma 5 
– della legge 24 giugno 1997, n° 196,
14
al fine di riordinare gli speciali rapporti di 
lavoro con contenuti formativi. 
Se, oltre a tale esplicito riferimento, si considera la delega prevista dall’art. 
45 della legge 17 maggio 1999 – n° 144, il processo di riforma appare in continuum 
con quello della passata legislatura. 
Si deve però osservare che le indicazioni ed i principi di quest’ultima 
disposizione legislativa sono stati ripresi dalla Legge 30 con un taglio più generico, 
con una accentuazione sulla centralità dell’impresa
15
 e senza tener conto dei mutamenti 
del quadro costituzionale. 
Nel punto “b” del citato articolo 45 si prevede infatti non solo la revisione e 
la razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto formativo “in conformità con 
le direttive dell’Unione Europea” (aspetto, questo, presente anche nella L. 30/2003), 
ma anche che tale revisione avvenga “in funzione degli obiettivi di cui alla lettera a)”. 
Ovvero “eliminando duplicazioni e sovrapposizioni, tenendo conto delle esperienze e 
risultati delle varie misure ai fini dell’inserimento lavorativo con rapporto di lavoro 
dipendente, in funzione degli specifici obiettivi occupazionali da perseguire”, con 
particolare riguardo ad una serie di situazioni riportate in sei distinti punti
16
. 
                                                 
14
 Art. 16 – c. 5 – L. 196/1997: “Il Governo emana entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della 
presente legge … norme regolamentari … in materia di speciali rapporti di lavoro con contenuti 
formativi quali l’apprendistato e il contratto di formazione-lavoro, allo scopo di pervenire ad una 
disciplina organica della materia secondo criteri di valorizzazione dei contenuti formativi”. 
15
 Cfr. M. D’ONGHIA, Op. cit., p. 272. 
16
 Ai sensi dell’art. 45 – c. 1, punto a) – L. 144/1999, nella razionalizzazione degli interventi si dovrà 
avere riguardo: “1) alle diverse caratteristiche dei destinatari delle misure: giovani, disoccupati e 
inoccupati di lungo periodo, lavoratori fruitori del trattamento straordinario di integrazione salariale da 
consistente lasso di tempo, lavoratori di difficile inserimento e reinserimento; 2) alla revisione dei criteri 
per l’accertamento dei requisiti individuali di appartenenza dei soggetti alle diverse categorie, allo scopo 
di renderli più adeguati alla valutazione ed al controllo della effettiva situazione di disagio; 3) al grado 
dello svantaggio occupazionale nelle diverse aree territoriali del Paese, determinato sulla base di quanto 
previsto all’articolo 1, comma 9; 4) al grado dello svantaggio occupazionale femminile nelle diverse 
aree del Paese; 5) alla finalità di favorire la stabilizzazione dei posti di lavoro; 6) alla maggiore intensità 
 9
Nella L. 30/2003, la centralità dell’impresa si riscontra soprattutto nel punto 
“b” dell’art. 2, allorché si intende “valorizzare l’attività formativa svolta in azienda”. 
Più esplicito, a tale proposito, il Libro bianco. Nel paragrafo dal titolo “Formazione e 
lavoro” prevede che “il cfl dovrebbe concorrere a realizzare un adeguamento … alle 
concrete esigenze dell’azienda che lo assume”. 
Riprendendo l’analisi dell’art. 2 della legge delega, non rientrano invece nella 
materia dei contratti formativi i punti c), sull’apprendistato e tirocinio di impresa, e d) 
relativo alle misure di inserimento al lavoro non costituenti rapporto di lavoro. 
                                                                                                                                             
della misura degli incentivi per le piccole e medie imprese, qualora le stesse abbiano rispettato le 
prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori previste dal decreto legislativo 19 settembre 
1994, n° 626, e successive modificazioni, nonché per le imprese che applicano nuove tecnologie per il 
risparmio energetico e l’efficienza energetica e che prevedono il ciclo integrato delle acque e dei rifiuti a 
valle degli impianti”. 
 
 10
 
1.2  Le competenze regionali. 
Per quanto attiene alla scarsa attenzione ai mutamenti del quadro 
costituzionale, emblematica è la previsione di cui al punto “g” dell’art. 2, riguardante il 
“rafforzamento dei meccanismi e degli strumenti di monitoraggio e di valutazione dei 
risultati conseguiti, anche in relazione all’impatto sui livelli di occupazione femminile 
… e tenuto conto dei criteri che saranno determinati dai provvedimenti attuativi, in 
materia di mercato del lavoro, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n° 3”. 
Tale criterio direttivo, in effetti, è stato ripreso dal punto “o” dell’art. 45 – c. 
1 della legge 144/1999. Si deve però osservare che, mentre quest’ultima disposizione 
legislativa si inseriva in un contesto di decentramento amministrativo e di 
riorganizzazione amministrativa, la legge delega del 2003 non poteva non considerare, 
nella materia, la competenza residuale esclusiva delle regioni prevista dalla riforma del 
titolo quinto della Costituzione, avvenuta nel 2001. Del resto, la Corte Costituzionale 
già nel 1987, con la sentenza 190, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale 
dell’art. 3 del DL 30 ottobre 1984, n° 726 (convertito nella legge 863/1984), per 
violazione delle competenze in materia di istruzione professionale, nella parte in cui 
non prevedeva che le competenti strutture regionali potessero accertare il livello di 
preparazione professionale dei lavoratori assunti con contratto di formazione-lavoro. 
Occorre segnalare che proprio per gli aspetti riguardanti il mercato del lavoro, 
diverse regioni hanno impugnato la “Legge Biagi” davanti alla Corte Costituzionale. 
Nei ricorsi, l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2 per violazione degli 
artt. 76, 117 e 118 della Costituzione riguarda la lettera a), in quanto “prevede 
l’intervento del decreto delegato per gli aiuti all’occupazione, quindi, in un ambito che 
attiene alle politiche attive del lavoro (perciò la disposizione si presenta lesiva delle 
attribuzioni regionali in materia)”
17
; ma le stesse considerazioni sono state fatte in 
relazione ai punti d), e), f), g) che prevedono misure attinenti alle politiche del lavoro, 
rientranti perciò nella tutela e sicurezza del lavoro e soggette alla potestà legislativa 
concorrente. 
Altro aspetto ritenuto di dubbia costituzionalità, presente nel punto g), per 
violazione dell’art. 76, è costituito dal rinvio a criteri “che saranno determinati dai 
provvedimenti attuativi …”, ovvero con rinvio ad altra legislazione non ancora 
emanata.
18
 
Anche i punti h) ed i) sono stati ritenuti, dalle regioni ricorrenti, lesivi delle 
loro attribuzioni, in quanto riguardano il contenuto e l’attuazione dell’attività formativa 
in azienda; quindi aspetti attinenti alla formazione professionale rientrante nella 
potestà legislativa esclusiva regionale, ai sensi dell’art. 117 Cost.. 
Il punto h, in particolare, si riferisce alla “sperimentazione di linee guida e 
codici di comportamento, al fine di determinare i contenuti dell’attività formativa, 
                                                 
17
 Cfr., per tutti, il ricorso per legittimità costituzionale depositato dalla Regione Toscana il 2 maggio 
2003, in www.csmb.unimo.it/pubblicazioni . Analoghi ricorsi sono stati presentati dalla Regione Marche 
(il 30 aprile 2003); Regione Emilia Romagna (il 2 maggio 2003); Provincia Autonoma di Trento (il 
2/5/2003); Regione Basilicata (il 7 maggio 2003), pubblicati nello stesso sito. 
18
 Sul punto, Cfr. L. ZOPPOLI E P. SARACINI, I contratti a contenuto formativo tra “formazione e 
lavoro” e “inserimento professionale”, in  I WORKING PAPERS n° 34/2004  – Centro Studi di Diritto 
del Lavoro Europeo “Massimo D’Antona”– Università degli Studi di Catania – Fac. Di Giurisprudenza, 
www.lex.unict.it/eurolabor/ricerca. 
 11
concordati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più 
rappresentative sul piano nazionale e territoriale, anche all’interno di enti bilaterali 
…”. Principio, questo, che può essere letto come delega, da parte del legislatore statale 
alle parti sociali, di un qualcosa (i contenuti dell’attività formativa) di cui non abbia la 
disponibilità. 
Poiché quelli indicati nella legge delega sono già “principi”, la disciplina 
dovrebbe essere dettata dalla legislazione regionale e non già dai decreti delegati. 
Tutto ciò ha influenzato il legislatore governativo. 
Nel passaggio dalla legge delega al decreto legislativo, le competenze delle 
regioni sui contratti di inserimento sono totalmente scomparse, “in parallelo alla 
caratterizzazione del nuovo contratto come strumento di incentivo dell’occupazione” 
19
e dell’apprendistato come strumento formativo per il mercato. 
Mentre per il succedaneo del contratto di formazione-lavoro è prevista, nel 
D.Lgs. 276/2003, una disciplina completa ed analitica anche per quanto attiene ai 
residui profili formativi,
20
per le prime due forme di apprendistato il legislatore 
delegato detta alcune regole che non riguardano la struttura del contratto (requisiti 
soggettivi, durata …) ed affida alle regioni una implicita competenza regolamentare 
sulla base di (in questo caso espliciti) principi, definiti nell’art. 48 al comma 3 e, 
nell’art. 49, al 4° comma. 
La competenza “per i soli profili che attengono alla formazione”, sulla 
regolamentazione e durata dell’apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per 
percorsi di alta formazione è rimessa alle regioni in modo espresso dall’art. 50, c. 3. 
Nel decreto legislativo si cerca, in tal modo, di separare nettamente la 
disciplina del rapporto di lavoro, rientrante nella competenza dello Stato, dalla 
disciplina della formazione, di competenza regionale. 
Tale situazione non risolve però i problemi di legittimità costituzionale. 
La “formazione professionale”, infatti, è una materia rientrante nella 
competenza esclusiva delle regioni, e come tale non può essere regolata sulla base di 
“principi” direttivi, quali i principi di cui agli artt. 48 e 49. 
Per quanto attiene al contratto di inserimento, se è vero che la 
marginalizzazione degli aspetti formativi, che hanno assunto il carattere di 
“eventualità” per effetto del 4° comma dell’art. 55, risolve il problema sulla 
competenza regionale in materia di formazione, è altrettanto vero che in tal modo non 
trova più giustificazione il sottoinquadramento previsto dal 1° comma dell’art. 59, alla 
luce di quanto previsto dall’art. 36 della Costituzione.
21
 
                                                 
19
 D. GAROFALO, Mercato del lavoro e regionalismo, p. 40 – www.unicz.it/gaofalod_14042003.pdf. 
20
 Il comma 4 dell’art. 55 attribuisce alla formazione carattere di eventualità. 
21
 L’argomento sarà oggetto di successiva analisi. 
 12
 
1.3  Il rapporto con l’ordinamento comunitario. 
L’articolo 2 della legge 30/2003 prevede che l’esercizio della delega debba 
avvenire nel rispetto degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell’Unione 
Europea in materia di occupazione
22
. Nel punto a) dello stesso articolo, tra i criteri 
direttivi, risulta la “conformità agli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato 
all’occupazione”. 
In tale contesto, si coglie immediatamente la distinzione, sotto il profilo 
giuridico, dei vincoli derivanti dagli orientamenti annuali da quelli in materia di aiuti 
di Stato. I primi restano quel che sono nell’ordinamento comunitario: obiettivi inseriti 
nel sistema di soft law 
23
, ovvero “di un diritto non vincolante, espresso attraverso 
indicazioni piuttosto che comandi”.
24
Solo i secondi rivestono la qualifica di “criteri 
direttivi” e vanno rispettati come tali, anche alla luce dell’incidenza di tali aiuti sui 
mercati concorrenziali. Gli orientamenti sugli aiuti di Stato all’occupazione non sono 
più riconducibili alle soft law in quanto sostituiti dal regolamento della Commissione 
delle Comunità Europee 12 dicembre 2002, n° 2204
25
, concepito in modo piuttosto 
rigido. È proprio la nozione di lavoratore svantaggiato data da tale regolamento che 
costituisce, nel D.Lgs. 276/2003, la base per il riconoscimento degli incentivi 
economici per l’attivazione dei contratti di inserimento. 
Colpisce l’assenza, nella legge delega, dei vincoli derivanti dalla decisione 
della Commissione Europea dell’11 maggio 1999 (confermati dalla Corte di Giustizia 
Europea con sentenza 310/99 del 7 marzo 2002), ben più incisivi rispetto ai citati 
orientamenti.  
L’art. 1 della decisione ha stabilito che gli aiuti illegittimamente concessi 
dall’Italia (dal 1995) per l’attivazione di contratti di formazione-lavoro sono 
compatibili con l’ordinamento comunitario a condizione che riguardino la creazione di 
                                                 
22
 Gli orientamenti sono stati adottati per gli anni 1998 e 1999 con risoluzioni del Consiglio, 
rispettivamente Ris. 98/C 30/01 del 15 dicembre 1997 e Ris. 1999/C 69/02 del 22 febbraio 1999. A 
partire dal 2000, invece, gli orientamenti sono stati approvati tramite decisioni (Dec. 2000/C 150/ E/05 
per il 2000; Dec. 2001/63/CE del 19 gennaio 2001 per il 2001; Dec. 2002/177/CE del 18 febbraio 2002 
per il 2002). La riforma degli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione 
è stata approvata al Consiglio dell’Unione Europea con decisione del 22 luglio 2003 (2003/578/CE in 
G.U.U.E. L 197/13 del 5/8/2003). L’attuale struttura prevede tre obiettivi complementari e dieci 
orientamenti specifici (definiti “priorità d’azione”). I primi sono: “Piena occupazione; “Migliorare la 
qualità e la produttività sul posto di lavoro”; “Rafforzare la coesione e l’integrazione sociale” e 
rappresentano gli obiettivi di fondo del Consiglio di Lisbona. Gli orientamenti specifici sono 
denominati: “ 1. Misure attive e preventive pe le persone disoccupate e inattive”; “2. Creazione di posti 
di lavoro e imprenditorialità”; “3. Affrontare il cambiamento e promuovere l’adattabilità e la mobilità 
nel mercato del lavoro”; “4. Promuovere lo sviluppo del capitale umano e l’apprendimento lungo l’arco 
della vita”; “5. Aumentare la disponibilità di manodopera e promuovere l’invecchiamento attivo”; “6. 
Parità uomo-donna”; “7. Promuovere l’integrazione delle persone svantaggiate sul mercato del lavoro e 
combattere la discriminazione nei loro confronti”; “8. Far sì che il lavoro paghi attraverso incentivi 
finanziari per aumentare l’attrattiva del lavoro”; “9.Trasformare il lavoro nero in occupazione regolare”; 
“10. Affrontare le disparità regionali in materia di occupazione”. 
23
 Cfr. L. ZOPPOLI- P. SARACINI, I contratti a contenuto formativo tra “formazione e lavoro” e 
“inserimento professionale”, p. 23., in  I WORKING PAPERS n° 34/2004  – Centro Studi di Diritto del 
Lavoro Europeo “Massimo D’Antona”– www.lex.unict.it/eurolabor/ricerca .  
24
 S. SCIARRA, Di fronte all’Europa. Passato e presente del diritto del lavoro”, in I WORKING 
PAPERS n°19/2003, p. 26 – Centro Studi di Diritto del Lavoro Europeo “Massimo D’Antona”. 
25
 Pubblicato nella GUUE il 13 dicembre 2002, L. 337/3, il regolamento ha individuato le necessarie 
condizioni affinché gli aiuti di Stato a favore dell’occupazione risultino compatibili col mercato 
comune, quindi esonerati dall’obbligo di notifica alla Commissione Europea. 
 13
nuovi posti di lavoro o l’assunzione di lavoratori che incontrano difficoltà ad inserirsi 
o reinserirsi nel mercato del lavoro, quali i giovani con meno di venticinque anni, i 
laureati con meno di trenta, i disoccupati da almeno un anno. 
La Commissione ha motivato la decisione col fatto che le riduzioni 
contributive che favoriscono determinate imprese rispetto ad altre dello stesso Stato, 
sia che la riduzione operi a livello individuale, regionale o settoriale, costituiscono, per 
la differenza della riduzione, aiuti di Stato ai sensi dell’art. 87 del trattato CEE, “aiuti 
che falsano la concorrenza e rischiano di incidere sugli scambi fra gli Stati membri”. 
Ha inoltre stabilito, all’art. 3 della decisione, che “L’Italia prenderà tutti i 
provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti che non soddisfano 
le condizioni…[suddette] ”. Poiché lo Stato italiano è venuto meno a tali obblighi, ha 
subito una condanna ad opera della Corte di Giustizia Europea con sentenza del 1° 
aprile 2004. 
Come si vedrà in seguito, il clima di confusione e di incertezza causato dalla 
decisione del ’99 ha portato in un primo tempo ad una diffidenza verso l’istituto del 
contratto di formazione-lavoro da parte degli operatori e, successivamente, al suo 
tramonto, ovvero alla sua trasformazione nel contratto di inserimento. 
Riprendendo il discorso sugli orientamenti annuali in materia di occupazione, 
si osserva che l’attuale struttura prevede tre obiettivi generali e correlati denominati 
“Piena occupazione”; “Migliorare la qualità e la produttività sul posto di lavoro”; 
“Rafforzare la coesione e l’integrazione sociale”, che rappresentano gli obiettivi di 
fondo del Consiglio di Lisbona (23 – 24 marzo 2000), e dieci obiettivi specifici, 
nell’ambito dei quali si pone l’accento sulla formazione, non solo giovanile. 
La decisione del Consiglio Europeo del 22 luglio 2003, nell’approvare gli 
orientamenti per l’occupazione, ha di fatto recepito i nuovi indirizzi della Strategia 
Europea per l’Occupazione, che ha avuto il suo primo avvio col Consiglio Europeo 
Straordinario sull’Occupazione di Lussemburgo del novembre 1997.
26
 
Alle indicazioni delineate nell’ambito della Strategia Europea per 
l’Occupazione si ispira il disegno di riforma del mercato del lavoro; e i quattro 
“pilastri” delineati nel Processo di Lussemburgo (“Occupabilità”; “Imprenditorialità”; 
“Adattabilità” e “Pari opportunità” costituiscono “le parole chiave attraverso cui 
leggere … [il decreto legislativo 276/2003]”.
27
 
                                                 
26
 Cfr. M. BIAGI – M. TIRABOSCHI, Istituzioni di Diritto del Lavoro, Giuffrè – 2003, p. 324.  
27
 Relazione di accompagnamento al decreto di attuazione della riforma Biagi, p. 3.