5
importa, in quest’ambito, se la riflessione sul corpo è inserita in un 
contesto materialista, per cui Epicuro riteneva che il corpo avesse la 
funzione di preparare l’anima ad esser causa della sensazione
5
, ovvero in 
uno stoico, nel quale l’anima domina l’organismo corporeo. Così ancora in 
S. Tommaso
6
, o in Plotino
7
, o ancora in buona parte del materialismo; e 
nello stesso Descartes è possibile leggere il corpo come residuo dell’anima 
(la res extensa derivando logicamente dalla res cogitans)
8
. Ma anche nella 
riflessione successiva si tratterà più di risolvere la questione della 
separazione tra le due res che non di tematizzare il corpo. Bisogna 
attendere Nietzsche perché si cominci a prendere in considerazione 
l’ipotesi che il corpo rivesta un ruolo ben più fondamentale della semplice 
materialità
9
. 
Ma d’altro canto basta aprire un qualsiasi dizionario per rendersi conto 
della gran confusione che abbiamo attorno a questo concetto: quando c’è 
una voce corrispondente a “corpo” spesso con questo termine si indicano 
concetti del tutto differenti e, quel che più conta, in ultima analisi si ha 
l’impressione di non avere un termine adeguato ad indicare l’oggetto di 
cui qui si parla. In effetti, nelle lingue neolatine manca la distinzione 
                                                 
5
 Epicuro, Lettera a Erodoto, 63 
6
 Cfr. S. Tommaso, Summa Theologiae, I, q. 91, a. 3, dove si dice: « il fine prossimo 
del corpo umano è l’anima razionale e le operazioni di essa ». 
7
 Cfr. Plotino, Enneadi, I, 1, 4, in cui l’anima è « ciò che si serve del corpo » 
8
 Cfr. R. Descartes, Meditazioni metafisiche, tr. it. di L. Urbani Ulivi, Bompiani 2001. 
Si vedano in particolare la Meditatio II, “De natura mentis humanae: quòd ipsa sit notior 
quàm corpus” e la Meditatio VI, “De rerum materialium existentia, et reali mentis a 
corpore distinctione” 
9
 Cfr. Nietzsche, Così parlò Zarathustra.Un libro per tutti e per nessuno, tr. it. di M. 
Montanari, Adelphi 2000, p. 33: «Vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore 
saggezza. E chi sa a quale scopo per il tuo corpo è necessaria proprio la tua migliore 
saggezza?». Ma ancor più illuminanti forse sono queste parole della prefazione alla 
seconda edizione della Gaia Scienza: «L’inconsapevole travestimento di necessità 
fisiologiche sotto il mantello dell’obiettivo, dell’ideale, del puro-spirituale va tanto 
lontano da far rizzare i capelli – e abbastanza spesso mi sono chiesto se la filosofia, in un 
calcolo complessivo, non sia stata fino a oggi principalmente soltanto una spiegazione e 
un fraintendimento del corpo». Cfr. Nietzsche, La Gaia Scienza, trad. it. di F. Masini, 
Adelphi 1994, p. 30. 
 6
presente nel tedesco tra Körper e Leib, per cui, se nella lingua corrente si 
utilizza “corpo” per indicare tanto l’organismo umano quanto un corpo 
celeste, nella terminologia filosofica si è spesso costretti a ricorrere a 
perifrasi come “corpo-proprio”, “corpo-vivente” oppure “mon-corps”, 
come nel linguaggio fenomenologico francese. In effetti è già significativo 
l’utilizzo di un termine che rinvia a ciò che è oggettivo, in quanto generico 
oggetto naturale, e dunque a un qualcosa posto di fronte, e pertanto poco 
adatto ad indicare il nostro proprio corpo, per cui abbiamo una visione 
sostanzialmente scientifica del corpo che si ricollega più che altro al 
σώµα, cioè al corpo morto, il corpo studiato dal fisiologo, dal medico, 
dall’anatomista. È interessante osservare che nelle lingue anglosassoni 
l’etimologia latina rinvia proprio a questa accezione di corpo (Körper, in 
tedesco, si contrappone a Leib ed indica l’organismo inteso in senso 
biologico. Ma ancora più forte è il corpse inglese che indica il cadavere). 
E allora quale termine è appropriato ad indicare il corpo? Forse proprio res 
extensa. Salvo poi chiedersi circa quel “res”, e quindi aprire un altro 
insieme di difficoltà circa il rapporto tra corpo, cosa, magari massa, o 
fisico, il termine col quale spesso viene comunemente indicato, appunto, il 
corpo.  
Si noterà, qui, che gli inciampi linguistici sono moltissimi, e non è per 
nulla facile tentare di destreggiarsi su questo terreno. Non appena ci 
addentriamo nello specifico di questa indagine diviene subito chiaro che 
un’analisi dei tanti fenomeni che riguardano, attualmente, il corpo (vale a 
dire, per fare degli esempi concreti: chirurgia, e non solo plastica, 
installazioni, cyborg, robotica in generale, performance artistiche e così 
via), per quanto sia necessaria, non può certo bastare. Balza subito 
all’occhio, infatti, che qui ci muoviamo esattamente nello spazio aperto 
dalle meditazioni cartesiane, in uno spazio in cui la res cogitans ha sempre 
più preso possesso della res extensa. Quasi a voler riscattare l’antica 
 7
prigione platonica e renderla, se non dimora vivibile, quanto meno 
sopportabile! Tutti questi fenomeni , in effetti, sono caratterizzati da una 
cristallizzazione del dualismo cartesiano per cui abbiamo sempre un ente 
(che sia “io”, “persona”, “res cogitans”, “anima”, al momento non fa 
differenza) che in qualche modo manipola o comunque agisce su un corpo. 
D’altra parte anche nell’immediato noi percepiamo il «nostro corpo» come 
appunto un oggetto esterno di cui abbiamo possesso. 
Che il problema posto dal corpo sia una questione che tocca al cuore 
della nostra società lo dimostra il fatto che comincia a diventare una delle 
domande più diffuse e più pressanti. D’altra parte tale tendenza dimostra 
altresì che il dualismo cartesiano sta oggi diventando emblematico di una 
frattura dell’identità, espressa da narcisismo, schizofrenia, alienazione, e 
in genere da tutti i mali tipici del nostro secolo, a cui si vanno ad 
aggiungere le tematiche del capitalismo, dell’individualismo, della 
mercificazione e, in una parola, della tecnica – intrinsecamente correlata al 
tema del presente lavoro. Qui si apre un ambito molto ampio e complesso, 
che non è assolutamente possibile analizzare in poche righe. La relazione 
che lega corpo e tecnica viene in luce con molta evidenza se prendiamo in 
considerazione, ad esempio, l’importanza della stazione eretta, la quale 
libera le mani e rende l’uomo adatto al registro della tecnica, oltre ad avere 
tutta una serie di conseguenze sul cranio, sulla faccia e sul corpo in genere 
(e non ultimo l’occhio, che acquista un ruolo privilegiato sugli altri organi 
di senso). C’è una vasta letteratura in proposito
10
, molto interessante, per 
la quale «le développement historique génère un corps pour lequel la 
modération des actes instictifs, l’inhibition des gestes impulsifs, jouent un 
rôle civilisateur»
11
.  
                                                 
10
 Si veda, per un primo approccio, Rauch, Corps (cultur du -), in Le Notions 
Philosphiques Dictionnaire, a cura di Sylvain Auroux (vol. I), Presses Universitaires de 
France 1990 e la bibliografia ivi proposta.  
11
 Ibid. 
 8
D’altra parte narcisismo e alienazione, legati alla società 
individualistica e capitalistica occidentale, sono altresì legati 
evidentemente al “cattivo rapporto” con il proprio corpo tipico di tale 
società; rapporto che ha la sua ragione in una espropiazione del corpo 
(alienazione), nonché nel dualismo tra corpo e anima (narcisismo). È il 
corpo che, da sempre dimenticato, disprezzato, rigettato in un improbabile 
esterno, viene infine reificato. Ma con esso l’anima, ovvero – in ultima 
istanza – l’uomo. 
 
In questa antropologizzazione dell’essere inerte, si compie una profonda 
trasformazione dell’umano che lo rende completamente alieno e 
irriconoscibile. Basta dunque che il foglio su cui scrivo percepisca lo scorrere 
della punta della penna, perché esso mi appaia già come umano? Basta che la 
penna senta la stretta delle mie dita, perché tutte le differenze tra essa e me 
siano cancellate? Com’è possibile che sia stato annullato a tal punto tutto il 
grande ed infinito mondo della vita? Com’è possibile che la mia umanità sia 
tutta concentrata soltanto nel sentire una penna che preme su di me o una 
mano che mi tiene stretto? Com’è possibile che nulla abbia più importanza e 
valore se non questo contatto, in cui è raccolta e concentrata tutta l’esperienza 
e la conoscenza, tutto ciò che si è goduto e si è sofferto, cercato e saputo?
 12
 
 
 
Ecco il cuore della questione, la domanda che muove dal fondo tutto il 
nostro lavoro. Questo «com’è possibile?» ci interessa. Anzi, laddove la si 
percepisca come reale stupore, tale domanda riecheggia in vari modi il 
discorso dell’uomo pazzo di Nietzsche, il che apre un’ulteriore 
dimensione, vieppiù profonda e problematica; anzi – verrebbe da dire 
senza peraltro esagerare eccessivamente – un abisso di profondità. 
Inoltre, ad un’analisi più attenta, emergono ulteriori questioni che pure 
non ci è dato non prendere in considerazione. Tornando al dualismo 
corpo-anima, al rapporto tra l’io e il corpo, ebbene è chiaramente possibile 
leggere tale rapporto come un rapporto di forza, un rapporto di potere, un 
rapporto in cui il corpo viene assoggettato da un io, che poi altro non è se 
                                                 
12
 Mario Perniola, Il Sex appeal dell’inorganico, Einaudi 1994, p. 7. 
 9
non struttura di comando, strumento di legge – e questo è abbastanza 
chiaro se si pone mente alla struttura freudiana di Io, Super-io, Es. Ci 
ritroviamo proiettati in un nuovo campo di ricerca, più strettamente 
politico
13
. Ma, a ben guardare, qui le cose si fanno ancor più complicate, 
perché, ad un certo punto ne va della stessa cultura, e del rapporto tra 
cultura e natura: centro di tale rapporto, campo di battaglia, se vogliamo, 
è, in definitiva, ancora una volta proprio il corpo. 
Ora, nella misura in cui si tratti di scegliere tra un’alternativa corpo-
anima, natura-cultura, anarchia-legge, ebbene ci troveremmo 
probabilmente di fronte ad una aporia. Si tratta allora piuttosto di vedere 
fino a che punto non sia possibile ridurre quella frattura aperta dal 
dualismo cartesiano – forse, in fin dei conti, si tratta di sbarazzarsi tanto 
del corpo quanto dell’anima! 
La nostra domanda, peraltro, si pone in un ambito che non è né 
sociologico, né politico, né morale in senso stretto, ma è piuttosto, se 
vogliamo, ontologico: in altre parole, le attuali tecnologie del corpo ci 
pongono questioni circa lo stesso corpo “nel suo essere”. E neanche solo 
circa l’uomo, ma di tutte le cose. Perché, con il virtuale, si pone in 
questione lo statuto stesso del reale: 
 
 
Non vi sono più altri: la comunicazione. 
Non vi sono più nemici: la negoziazione. 
Non vi sono più predatori: la convivialità. 
Non vi è più negatività: la positività assoluta. 
Non vi è più morte: l’immortalità del clone. 
Non vi è più alterità: identità e differenza. 
Non vi è più seduzione: l’indifferenza sessuale. 
Non vi è più illusione: l’iperrealtà, la Virtual Reality. 
Non vi è più segreto: la trasparenza. 
Non vi è più destino. 
Il delitto perfetto.
14
 
                                                 
13
 Il riferimento obbligatorio è a Deleuze; in particolare, ovviamente, all’Anti-Edipo.  
14
 J. Baudrillard, Il delitto perfetto, tr. it. Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, p. 113 
 10
1. Sul termine  “corpo” 
 
“Corpo” è un termine che crea non pochi problemi in ambito 
filosofico. Nel linguaggio quotidiano se ne fa un vero e proprio abuso: 
indica generalmente la “parte materiale” di una persona, è sinonimo di 
“fisico”; in questa accezione lo si utilizza per dire, ad esempio che una tale 
persona «ha un bel corpo», così come si direbbe che ha un aspetto 
piacevole, oppure che «ha un cattivo rapporto col proprio corpo», magari 
perché «non si piace». Già da questi semplici esempi si evince che il 
riferimento privilegiato è alla sfera estetica, indica l’esteriorità. Ma 
“corpo” può indicare molte altre cose, in ragione della propria etimologia: 
corpus, e dunque corpo di leggi o di opere, o anche “corpo celeste”. 
Di contro all’utilizzo frequente che se ne fa nel linguaggio comune, in 
filosofia il termine desta sempre qualche imbarazzo: è troppo ingombrante 
ed impreciso. Di solito si ricorre sempre a delle perifrasi o a delle 
precisazioni ma l’inadeguatezza del termine si avverte sempre con forza, 
soprattutto quando si parla di corpo umano. 
“Corpo”, in effetti, è quanto di più inadeguato vi sia alla designazione 
del nostro proprio corpo. Esso indica, in prima istanza, «l’oggetto naturale 
in generale», secondo la definizione di Abbagnano
15
, che ricalca quella 
aristotelica per cui «corpo è ciò che ha estensione in ogni direzione»
16
. Si 
vede bene che “corpo” è in fondo un sinonimo di “cosa”, la quale in senso 
specifico «denota gli oggetti naturali in quanto tali»
17
. 
                                                 
15
 Abbagnano, Dizionario di Filosofia, Tea, Torino 1993. 
16
 Aristotele, Fisica, cit. 
17
 Abbagnano, op. cit. 
 11
Secondo la definizione data da Zanichelli “corpo” indica «Sostanza, 
Materia, in qualsiasi stato, solido, liquido, aeriforme. Ciò che occupa una 
spazio»
18
. Più specificamente «Masso, Pezzo, materia o sostanza 
composta o aggregata che ha le tre dimensioni di lunghezza, larghezza e 
profondità»
19
. Le definizioni non variano molto su altri dizionari
20
. 
«Come non sappiamo che cosa sia uno spirito, così non sappiamo che 
cosa sia un corpo» scriveva Voltaire
21
. “Corpo” è qualsiasi cosa che abbia 
un’estensione. È un oggetto, pertanto non rientra nella sfera del soggetto. 
Dunque è incapace di dire quella peculiarità che è il corpo umano, oggetto 
e soggetto a un tempo. Ogni qual volta si parla di “corpo”, si ha in mente 
né più né meno che la res extensa – è proprio la sua definizione a sancire 
questa uguaglianza. Anche nel linguaggio comune, dire “corpo” implica 
una ben precisa visione dell’uomo: un uomo diviso tra res cogitans e res 
extensa, tra anima e corpo. L’uso di questo termine delimita il discorso ad 
una sola parte dell’uomo: l’elemento materiale o esteriore – il guscio. 
Nell’esempio della persona che «ha un bel corpo» è sottinteso che ci si 
riferisce solo all’esteriorità, alla quale può corrispondere un’interiorità – la 
personalità, il carattere, l’anima – del tutto diversa.  
                                                 
18
 Zanichelli, Vocabolario della Lingua Italiana, Zanichelli ed., 1956. Corsivo mio. 
19
 Ibid. Tra gli altri significati riportati vi sono “utero”, “ventre” o anche “scafo”. 
20
 Cfr., a titolo di esempio, il Dizionario Enciclopedico Moderno, ed. Labor, Milano 
1941, in cui si legge che corpo è «tutto ciò che è materiale, che ha un volume. La parte 
materiale dell’essere animale e specialmente dell’uomo, in contrapposto all’anima  o allo 
spirito» (corsivo mio). Tra l’altro, la grande varietà di termini riportati rende bene l’idea 
della genericità di questo termine: “corpo celeste”, “corpo d’armata”, “Corpo 
Legislativo” e infine “corpo umano”. “Corpo” si dice anche dei caratteri tipografici, 
indicandone la grandezza. Infine è interessante la definizione data in fisica: «tutto ciò che 
cade sotto i nostri sensi, tutto ciò che occupa un volume nello spazio» (corsivo mio). 
In dizionari più recenti varia solo il maggior peso dato al significato di « complesso 
fisico dell’uomo e degli animali » (cfr. ad esempio De Felice, Duro, Vocabolario 
Italiano, SEI/Palumbo, 1993), che potrebbe essere indice del fatto che in tempi più 
recenti si usa di gran lunga più frequentemente questa accezione che non altre. 
21
 Voltaire, Dizionario Filosofico, tr. it. Lo Re, Sosio, Rizzoli 1996. Si noti che 
Voltaire non fa il minimo cenno al corpo umano. 
 12
Al di fuori di questa visione dell’uomo, si ha sempre difficoltà a 
nominare il corpo umano. Mancano termini adeguati ad esprimere un 
concetto quale è quello di mon corps introdotto da Merleau-Ponty. 
D’altra parte questa mancanza non è riferibile unicamente alla lingua 
italiana. Se è vero che il tedesco distingue tra “Leib” e “Körper”, è altresì 
vero che nel linguaggio parlato si utilizza con molta più frequenza il 
secondo, che è di fatto identico al “Corpo” italiano. “Leib” suona più come 
un arcaismo, o un espressione d’ambito religioso (in cui Körper è meno 
usato: Leib des Herrn sta per “Corpo di Cristo”). Non solo: sebbene sia 
possibile utilizzarlo per esprimere la concezione fenomenologica del 
corpo, in virtù della sua accezione di “carne”, di corpo vivo, si tratta pur 
sempre di un’adeguazione. Esso assume, oltre al significato di “corpo”, 
quello di “busto”, “ventre”, “stomaco”, “pancia”, “grembo”, nonché 
“scafo”, esattamente come in italiano
22
. Lo si utilizza anche 
nell’espressione “Leib und Seele” (“anima e corpo”)
23
. Manca l’accezione 
di “oggetto naturale in generale”, per cui è chiaro che sia preferito a 
“Körper” per indicare il corpo proprio, il mon corps; tuttavia il termine in 
se stesso non è sufficiente ad uscire dalla concezione di corpo in quanto 
contenitore, involucro, guscio – “scafo”. Si può dire che il suo significato 
specifico è quello di “corpo” in quanto contrapposto ad “anima”. Dunque 
“Leib” è sì il termine più vicino alla concezione fenomenologica del 
corpo, ma solo perché ne manca uno veramente appropriato. Inoltre, il 
fatto che i tedeschi usino di preferenza il termine “Körper” proprio per 
indicare il corpo umano, sottolinea quanto questo sia prevalentemente 
concepito come oggetto, come ciò che cade sotto i nostri sensi. 
                                                 
22
 Cfr. supra, nota 5. 
23
 Cfr. Centro Lessicografico Sansoni, Dizionario Tedesco-Italiano, Italiano-Tedesco, 
Rizzoli Larousse 2002. 
 13
Solo in inglese l’etimo latino non viene affatto usato per indicare il 
corpo umano: “corpse” vuol dire piuttosto “cadavere”, “corpo morto”. 
Tuttavia “Body” è l’esatto sostituto inglese del nostro “corpo”: può 
indicare l’uomo o l’animale in quanto organismo materiale (in questa 
accezione può anche sostituire “corpse”), la persona (Human Being), una 
porzione (Trunk) o un aggregato di persone o cose, nonché un qualsiasi 
“piece of matter”
24
. L’etimologia del termine, poi, è ancor più 
significativa, in quanto va fatta risalire al tedesco “Bottich” (tinozza, 
recipiente), e quindi al latino “butica”
25
. 
Questa breve analisi comparata risulta molto proficua ai fini della 
presente indagine, poiché manca, nelle principali lingue europee
26
, un 
termine appropriato per esprimere un concetto di corpo non riconducibile 
all’idea di un involucro vuoto. Risulta allora evidente che non si tratta di 
un semplice inciampo linguistico, o di una pecca della lingua italiana. 
Piuttosto, se è vero che ogni linguaggio esprime una visione del mondo, da 
questa analisi emerge una ben precisa visione del corpo – e quindi 
dell’uomo – riferibile a tutta la cultura occidentale. 
D’altra parte esistono anche altri termini per designare lo stesso ente. 
“Organismo”
27
 innanzitutto, col quale si restringerebbe la gamma dei corpi 
ai soli corpi viventi (organici). Ma con questo termine, prettamente 
scientifico, si applica a questi corpi una visione interamente strumentale 
( Ρ Υ ϑ ∆ Θ Ρ Θ: strumento), nonché meccanicista
28
. D’altra parte “organismo” 
vale comunemente come sinonimo di “corpo”, sulla scorta della 
                                                 
24
 Cfr. The Concise Oxford Dictionary, Oxford University Press, Amen House, 1951 
25
 Ibid. 
26
 Il francese, è chiaro, incontra le stesse difficoltà riscontrate per l’italiano. 
27
 Il termine rimane pressoché invariato nelle altre lingue europee: “organism” per 
l’inglese, “Organismus” per il tedesco, “organisme” per il francese. 
28
 Zanichelli dà la seguente definizione di “organismo”: « congegno o complesso degli 
organi della vita dei corpi animali e vegetali » e dunque « corpo in quanto costituito di 
organi ». Cfr. Zanichelli, op. cit. 
 14
concezione aristotelica
29
. Anche in questo caso, dunque, vale, e anzi si 
rafforza, quanto detto a proposito della concezione occidentale del corpo. 
“Fisico”, forse, è un termine che si presta meglio ad indicare quel 
particolare ente che è il corpo umano, poiché ne mette in risalto la sua 
appartenenza alla sfera della natura ( Μ Ξ ς Λ 9    di contro – ancora una volta – 
all’anima, appartenente alla sfera del divino o del culturale. Il fisico 
sarebbe dunque la parte naturale dell’uomo che si oppone a quell’altra 
parte, che naturale non è e che anzi costituirebbe ciò che vi è di più 
peculiare nell’uomo e che lo eleva al di sopra della natura – l’anima. Non 
si esce dal dualismo, e in sostanza si rinvia sempre al corpo in quanto 
oggetto naturale. Tuttavia sarà bene sottolineare il carattere di naturalità 
del corpo umano, in special modo quando si tratterà più da vicino del 
dualismo tra anima e corpo, laddove è possibile tradurlo come dualismo 
tra cultura e natura. 
Infine, degno di una certa attenzione è anche un altro termine che può 
indicare il corpo: quello di “carne”, molto vicino al “Leib” tedesco per il 
suo rimando ai sensi, alla sensualità. “Carne” è l’«Uomo vivo. Corpo 
umano, Natura umana»
30
. Sarebbe quindi l’ideale per esprimere il corpo 
umano in quanto mon corps
31
. Tuttavia la carne, in quanto sensualità, è 
comunque contrapposta allo Spirito e di conseguenza – qui siamo in 
ambito prettamente religioso – ha un forte carattere negativo. Il concetto di 
carne implica dunque la concezione platonico-cristiana di corpo, ed è 
                                                 
29
 Cfr. Aristotele, Le parti degli animali, I, 1, 642a 10 : «se la scure deve spaccare il 
legno, deve di necessità essere dura; e se dev’essere dura, deve di necessità essere di 
bronzo o di ferro. Ora esattamente allo stesso modo, il corpo, che è uno strumento come 
la scure – giacché sia le sue singole parti sia esso stesso nella sua totalità hanno ciascuno 
un loro fine – deve di necessità essere fatto così e così, se deve compiere la sua 
funzione». Corsivo mio. 
30
 Zanichelli, op. cit. 
31
 Merleau-Ponty vi fa in effetti ricorso in Le visible et l’invisible dove la carne è intesa 
come soggetto e al tempo stesso oggetto delle esperienze umane. 
 15
infatti con questa accezione negativa che viene usato sovente nel 
linguaggio comune
32
. 
In definitiva è impossibile nominare quell’ente che è il corpo umano 
senza reificarlo, senza cioè implicare il dualismo, nonché una visione del 
corpo in quanto oggetto esterno – che si dà a vedere. 
È ovvio, peraltro, che sia così: si nomina qualcosa solo per distinguerla 
da qualcos’altro. Così, quando si nomina il corpo umano lo si fa proprio 
per non confonderlo con l’anima, altrimenti basterebbe il termine “uomo” 
in quanto unità psico-fisica – se non fosse che anche in questo caso si 
darebbe il rinvio al dualismo, proprio perché l’uomo risulta essere 
l’unione di due parti distinte. Questa è la ragione per cui manca un termine 
appropriato per individuare il corpo umano, che ha la peculiarità di poter 
essere a un tempo soggetto e oggetto
33
: solo quando lo guardo percepisco 
il mio corpo (e lo percepisco come ciò che si dà a vedere, «ciò che cade 
sotto i nostri sensi», oggetto) – altrimenti sono semplicemente io. Il 
problema allora non è tanto quello di dire un corpo che faccia tutt’uno con 
l’anima; piuttosto si tratta di non dimenticare, nel nominarlo, che il corpo 
non è primariamente un oggetto esterno, così come una faccia d’una 
moneta non può essere concepita come esterna alla moneta stessa. 
                                                 
32
 Cfr. la definizione data in Abbagnano, op. cit.: «nella terminologia del Nuovo 
Testamento, e specialmente di S. Paolo, è qualcosa di differente dal corpo. La carne o 
carnalità è infatti l’avversione o la resistenza alla legge di Dio, perciò il peccato o 
l’orientamento verso il peccato. […] Lo stesso senso il termine ha conservato nel 
linguaggio comune e nella predicazione moralistica». 
33
 Si pensi al classico esempio delle due mani che si intrecciano fra loro, in Merleau-
Ponty, Fenomenologia della Percezione, tr. it. Andrea Bonomi, Bompiani 2003, p. 143 e 
sgg. In paricolare p. 144:  «Il mio corpo […] è riconoscibile dal fatto che mi dà delle 
“sensazioni doppie”: quando tocco la mano destra con la mano sinistra, l’oggetto mano 
destra ha anch’essa la singolare proprietà di sentire. […] Quando premo una mano contro 
l’altra, non si tratta quindi di due sensazioni che proverei insieme, come si percepiscono 
due oggetti giustapposti, ma di un’organizzazione ambigua in cui le due mani possono 
alternarsi nella funzione di “toccante” e di “toccata”». 
Si veda anche Galimberti, Il Corpo, in Opere, vol. V, Feltrinelli 2002. Ad esempio  p. 
81: «Quando tocco un oggetto, lo tocco attraverso l’esplorazione del mio corpo, quando 
tocco il mio corpo mi sento esplorante ed esplorato». 
 16
Scrive Merleau-Ponty
34
: 
L’evento psicofisico non può più essere concepito alla maniera della 
fisiologia cartesiana e come la contiguità di un processo in sé e di una 
cogitatio. L’unione dell’anima e del corpo non è suggellata da un decreto 
arbitrario fra due termini esteriori, uno oggetto, l’altro soggetto. In ogni istante 
esso si compie nel movimento dell’esistenza. Accostandoci al corpo attraverso 
una prima via d’accesso, quella della fisiologia, abbiamo trovato l’esistenza. 
 
Il termine “corpo” rimane necessariamente inadeguato. È questa 
dimensione, in cui, «considerato concretamente, l’uomo non è uno 
psichismo unito a un organismo, ma quell’andirvieni dell’esistenza che ora 
si lascia essere corporea e ora si porta agli atti personali»
35
, che non potrà 
mai essere colta adeguatamente da un termine come “corpo”. 
Tuttavia è proprio in virtù di questa inadeguatezza che tale termine si 
presta bene a un concetto quale il corpo tecnologico, dove “corpo” assume 
il duplice significato di corpo umano (corps-subject) e di oggetto della 
tecnica (corps-object), per cui l’uomo si scopre dominante e dominato a 
un tempo, in ragione di quel suo essere «esplorante ed esplorato». 
 
                                                 
34
 Merleau-Ponty, Fenomenologia della Percezione, op. cit., p. 138 
35
 Ibid., p. 137 
 17
2. Storia di un fraintendimento 
 
 
I. Introduzione: pensare il corpo 
 
 
La storia non significa tanto il “passato” nel senso di ciò che è trascorso, 
quanto il provenire da questo passato. Ciò che “ha una storia” è coinvolto nel 
divenire.
36
 
 
 
Ciò che si pone all’attenzione sin da queste prime indagini è l’idea di 
corpo che si è andata formando nel corso della riflessione occidentale e 
che implica delle inevitabili conseguenze sul piano filosofico e scientifico, 
nonché agisce, più o meno implicitamente, sul sociale e sulla quotidianità 
in genere. Prova ne siano, se non altro, i tassi di anoressia e bulimia. «Ciò 
che ha una storia è coinvolto nel divenire» ed è dunque alla storia che 
dobbiamo guardare in via preliminare.  
E quella del corpo risulta immediatamente la storia di un 
fraintendimento
37
. 
Di fraintendimento si tratta, se si tiene conto del fatto che il corpo è un 
concetto ottenuto per lo più con un ragionamento negativo, per 
contrapposizione all’anima: se per un verso Aristotele vedeva nel corpo 
uno strumento dell’anima, dal canto suo Descartes dimostra l’esistenza dei 
corpi solo in conseguenza dell’esistenza di Dio e dell’anima. Si vede bene 
come si generi in questo modo una disattenzione al fenomeno del corpo, 
ed una sostanziale ignoranza. Merleau-Ponty dedica molte pagine a 
mostrare come, tanto l’intellettualismo, quanto l’empirismo, siano 
destinati a misconoscere completamente il fenomeno della percezione, 
                                                 
36
 M. Heidegger, Essere e tempo, tr. it. Piero Chiodi, Longanesi, Milano 1976. 
37
 Cfr. Nietzsche, La gaia scienza, cit., p. 30. 
 18
proprio perché entrambi si fondano su questa ignoranza e su questo 
fraintendimento del corpo
38
. 
Tuttavia si tratta di vedere anche dove sia effettivamente tale 
fraintendimento: esiste davvero un luogo preciso dove individuare la 
scaturigine di tale incomprensione? Esiste effettivamente un “errore” nella 
storia del pensiero occidentale, tale da generare, per il corpo, un tale 
impietoso destino? 
Un primo punto è, senz’altro, la disattenzione che i filosofi sembrano 
sempre aver mostrato nei confronti del corpo. Ma resta da chiedersi il 
perché, ovvero se questa disattenzione sia da imputare ad una mancanza 
del filosofo o non piuttosto ad una del concetto “corpo”. La filosofia 
sembra essersi sempre interessata dell’anima, tanto che ancora Nietzsche 
può definirsi uno «psicologo». Ed è significativo che proprio egli che ha 
dato una tale definizione di storia della filosofia
39
, continui a considerarsi 
uno psicologo, usando il termine quasi come sinonimo di filosofo e spirito 
libero. 
Allora bisognerebbe chiarire cosa si intenda con anima, e cosa i 
filosofi abbiano inteso analizzare, occupandosi di essa. Probabilmente non 
ci è dato rileggere la storia della filosofia alla luce di un dualismo quale si 
pone oggi al nostro pensiero, ma dovremmo piuttosto sforzarci di capire 
quali interessi hanno mosso il pensiero in quella direzione e come mai, 
volendosi occupare dell’uomo, i filosofi si siano sempre occupati 
dell’anima. 
Per il momento, quindi, ciò che interessa, non è tanto il 
fraintendimento implicito nell’attuale visione comune del corpo, quanto il 
tracciare brevemente dei passaggi salienti nell’evoluzione di tale visione e 
                                                 
38
 Cfr. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la Perception, op. cit. In tutto lo scritto 
l’autore si contrappone criticamente tanto all’intellettualismo quanto all’empirismo, 
spiegando tra l’altro come la sua teoria non sia riducibile né all’uno né all’altro. 
39
 Il riferimento è, ancora una volta, al passo della Gaia Scienza succitato.