Capitolo 1: Introduzione 
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approccio scientifico caratterizzato da una forte interdisciplinarità dovuta alla possibilità 
di applicare concetti matematici a differenti aree della ricerca. In tali modelli emerge il 
fatto che le diverse unità che lo compongono sono, per mezzo di processi di 
interazione, in reciproca relazione “scambiandosi informazioni”, il che equivale a dire 
cercare di “organizzarsi” scegliendo una tra le infinite possibilità disponibili e tale da 
permettere una interazione armonica e non conflittuale tra le parti che lo compongono. 
E’, quindi, da questa capacità di interdisciplinarità del paradigma della complessità, 
nonché dalle sue caratteristiche matematiche che andiamo a rappresentare gli 
ambienti (urbani e non) in forma sistemica. 
E’, quindi, sulla base di queste due componenti, politico-analitica l’una e metodologica 
l’altra, che poggia l’oggetto cui mira il presente lavoro: ovvero quale ruolo può 
giocare la ICT nei processi di innovazione e trasformazione sostenibile della città 
e del territorio. Più in dettaglio, il lavoro svolto, oltre a fornire un quadro di analisi 
strutturato su più livelli, cercherà di fornire possibili soluzioni sostenibili in ordine alle 
seguenti tematiche: 
¾ ruolo dell’informazione e della comunicazione come componenti essenziali 
per favorire dinamiche virtuose di sviluppo locale e sostenibile del 
territorio. In tal senso si analizzerà  il valore delle basi informative (quale 
informazione, per chi, per che cosa e come produrre informazione) e dei 
processi di comunicazione strutturati attorno alla ICT. In particolare, per 
quest’ultima si identificherà un possibile modello sostenibile e tale da mitigarne 
gli aspetti negativi; 
¾ e-democracy ed e-government: ovvero il nuovo rapporto che si è instaurato 
tra potere pubblico e individuo per effetto delle nuove tecnologie; 
¾ sistemi informativi territoriali interattivi come strumenti non solo per 
permettere un governo efficace ed efficiente del territorio, ma anche come 
metodologie da integrare in processi di pianificazione partecipata e di 
valutazione ambientale strategica. 
Siamo, quindi, in presenza di un’analisi valutativa dell’efficacia di modellare lo sviluppo 
sostenibile di un territorio attorno al concetto di sistema e di gestione di questa 
complessità attraverso strutture informative digitali. In particolare quest’ultima 
componente sta aprendo nuovi ed ancora inesplorati scenari in cui il connubio tra 
information technology e communication technology configura non solo una serie di 
nuove possibilità in termini di maggiore efficienza, tanto nei processi di comunicazione 
che di decision making, ma anche nuovi scenari socio-politici ed economici fino a pochi 
anni orsono inimmaginabili. 
                                                                                                                                               
Viceversa, il termine sistema fu usato per la prima volta dal biochimico Lawrence Henderson, e ciò per 
indicare sia gli organismi viventi che i sistemi sociali. Il significato originario della parola sistema, deriva dal 
greco synestanai, cioè porre insieme. In tal senso, sistema è da intendersi come un tutto integrato le cui 
proprietà essenziali derivano dalle relazioni tra le sue parti. In tal senso il pensiero sistemico definisce la 
comprensione di un fenomeno nel contesto di un insieme più ampio, cioè porle in un contesto, stabilire la 
natura delle loro relazioni. 
Capitolo 1: Introduzione 
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La figura sopra fornisce una rappresentazione generale dell’organizzazione della tesi. In 
nero è rappresentata la base metodologica (scientifica e politica) sulla quale si sono 
successivamente costruiti ed analizzati gli strumenti ed i possibili modelli che essi 
potevano esprime e capaci di fornire un contributo verso la sostenibilità. 
1.2 Un quadro di sintesi della contemporaneità 
1.2.1 Introduzione 
Il presente paragrafo intende delineare un profilo storico-filosofico della moderna 
società. Ritengo indispensabile operare, seppure in modo conciso, tale analisi perché 
attraverso di essa verranno dimostrati i limiti culturali e conseguenzialmente quelli di 
natura politico-economica del nostro mondo e della nostra società. Tale processo di 
analisi trova la sua ragion d’essere in due motivi:  
1. perché è indispensabile comprendere i processi di crescita materiale della 
nostra società al fine di poterne valutare gli effetti sull’ambiente;  
2. tali processi di crescita sono, oramai, divenuti modelli planetari, per cui si 
assiste, per la prima volta nella storia, alla globalizzazione di una struttura 
Capitolo 1: Introduzione 
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politico-economica e, per conseguenza, di quella filosofica, seppure in forme 
ibride.  
E’ altresì ovvio che questi concetti verranno esaminati attraverso una analisi che, 
sebbene dovrà essere per forza di cose concisa in quanto l’obiettivo della tesi è di altra 
natura,  permetterà di comprendere, mi auguro in modo chiaro, la struttura sulla quale 
poggio le mie asserzioni e le conseguenze che tale struttura avrà nel rapporto tra uomo 
ed ambiente urbano e quindi attraverso di questo del concetto di sostenibilità. 
1.2.2 Il dualismo tra la cultura razional-cartesiana e quella organica 
Credo che la nostra civiltà si trovi in un momento estremamente delicato della sua 
storia. I rivolgimenti politici, a partire dai primi anni ’90 e fino alle ultime manifestazioni, 
lasciano trasparire gli embrioni di un qualcosa di nuovo che potrebbe portare ad una 
rottura ideologica con il sistema politico che noi conosciamo. Seppure questi aspetti 
possano apparire lontani dal tema della sostenibilità, essi sono espressione della 
struttura dinamica del mondo e della storia. Volendo delineare, attraverso un quadro di 
sentesi, la configurazione del modello occidentale credo sia necessario analizzarne 
alcune componenti essenziali, quali:  
¾ la struttura filosofica della nostra società, ovvero il modo in cui ci rapportiamo 
con  noi stessi e con il mondo circostante. E in tal senso l’epoca industriale ha 
dato origine ad un salto culturale, passando da una concezione “organica” del 
mondo ad una di tipo “meccanicistico”;  
¾ il ruolo della città, attraverso tutte le sue componenti, tanto quelle fisiche che 
quelle ideologiche;  
¾ la crescita tecnologica dell’uomo e la conseguente crescita esponenziale 
dell’impatto sull’ambiente. 
Queste tre componenti, oltre ad una chiave di lettura ampia e generale, permettono di 
porsi, da un punto di vista urbanistico-architettonico, due domande: 
a) esiste o è esistita la capacità di generare una forma di linguaggio architettonico 
in grado di essere in comunione con l’ambiente? Un linguaggio, quindi non più 
distruttivo e di soffocamento, ma capace di convivere con l’ambiente stesso 
dando vita ad un connubio vivo?  
b) Oggi, attraverso le nostre conoscenze e alla luce del nostro potenziale culturale 
e tecnologico, in che modo possiamo intervenire sulle città affinché si possa 
ottenere un “rapporto sostenibile” con l’ambiente? 
Cercare una risposta a questi quesiti vuol dire cercare di comprendere, attraverso un 
tentativo di sintesi, i processi storici non solo attraverso la lente illuministico-
razionalistica, ma anche attraverso quelle espressioni di pensiero che, seppure siano 
risultate minoritarie e perdenti nella cultura occidentale del Novecento, possono 
fornirci, attraverso nuovi approcci metodologici, altre chiavi di lettura dei fenomeni e, 
quindi, non solo una lettura in termini tecnici o scientifici, ma anche secondo una 
Capitolo 1: Introduzione 
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modalità organica. Come detto, il tentativo è quello di staccarsi dalla cultura 
dominante, legata morbosamente al pensiero illuminista e razionalista, la quale vuole 
leggere ogni espressione della vita solo attraverso atteggiamenti deterministici di 
“causa - effetto”. Credo che un tale atteggiamento, oltre a denotare assoluta mancanza 
di spiritualità, denoti notevoli limiti intellettuali e in taluni casi deviazioni ed 
esasperazioni che rasentano il fondamentalismo. A proposito di questa ambizione 
razional-computante, vorrei citare ciò che scrive Konrad Lorenz nel libro “Gli otto 
peccati capitali della nostra civiltà”: “Credere che faccia parte del patrimonio stabile 
dell'umanità soltanto ciò che comprensibile per via razionale, o addirittura soltanto ciò 
che scientificamente dimostrabile, è un errore che comporta conseguenze disastrose 
[...] che induce a gettare a mare l'ingente tesoro di conoscenze e di saggezza 
contenuto nelle tradizioni di tutte le antiche culture e nelle dottrine delle grandi religioni 
universali [e a] vivere nella convinzione che la scienza sia in grado di dar vita dal nulla, 
unicamente per via razionale, a una intera cultura, con tutto ciò che essa comporta”.  
Ebbene a questa logica di interpretazione del mondo, Spengler contrappone una 
“logica del tempo”, ovvero un elemento legato ad una necessità organica, la quale 
compenetra il pensiero mitologico, religioso ed artistico. Sono queste due componenti 
che originano due approcci filosofici che, se letti ciascuno per suo conto, risultano 
completamente differenti, traducendosi poi, in chiave socio-politica, in due 
atteggiamenti che interpretano il senso ultimo delle cose e dei fatti o in chiave 
naturalistico-meccanicistica o in quella storico-organica; “ognuno per sé, i due ordini 
abbracciano il mondo intero. Solo che l’occhio, in cui e per cui questo mondo prende 
forma, è diverso.” (Spengler, 1978).   
Cerchiamo ora di meglio comprendere questi due atteggiamenti, di confrontarli e di 
desumerne indicazioni per il nostro presente.  
Credo sia cosa appurata che con la modernità si è sempre più affermata la struttura 
filosofica in chiave naturalistico-meccanicistica, la quale attraverso un’ideologia tutta 
rivolta verso un progresso sottomesso alla verifica del comando scientifico, ha finito 
con il frantumare il sapere in mille rivoli al solo scopo di ottenere per ciascun “micro-
ambito” il massimo, sia in termini tecnici che di ricadute economiche. Si è assistito, 
così, ad un radicale cambiamento sul valore ultimo e sul senso da dare non solo alle 
scoperte scientifiche ma anche alla stessa esistenza. La modernità, intesa come 
civilizzazione, può concepire la realtà solo attraverso il filtro delle conoscenze tecnico-
scientifiche. Questa esaltazione dell’anima tecnica, che rinnega tutti quegli 
atteggiamenti e quelle manifestazioni legate al “senso mistico” e di amore cosmico, “ha 
cambiato il sentimento faustiano della natura in conoscenza concettuale e le figure di 
una fede originaria nelle forme meccaniche di una scienza esatta”. Questo 
atteggiamento di superiorità, se da un lato ha fornito all’Uomo nuovi strumenti per 
affermare sempre di più la propria forza sul Creato, dall’altro ha finito per rendere 
l’uomo stesso schiavo della macchina, schiavitù che trova la sua espressione viva 
nell’olocausto della terra attraverso i processi economici. A questo mondo inteso come 
puro meccanismo razionale può essere contrapposto un mondo con una diversa 
gerarchia, dove la necessità meccanica è subordinata alla necessità organica, in 
quanto è quest’ultima ad essere fondamento della prima perché depositaria di forza 
creatrice, mentre la prima definisce solo i limiti e le regole. Questi due atteggiamenti 
culturali sono profondamente contrapposti: da un lato il pensiero illuministico-
razionalista che vede il susseguirsi degli avvenimenti in un ottica spiegabile in termini 
puramente oggettivi. E dall’altro lato la struttura organica, il cui pensiero non è solo una 
Capitolo 1: Introduzione 
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pura contrapposizione al pensiero illuministico-razionalista, di cui è pienamente 
consapevole della intrinseca necessità che lo accompagna, ma anche un tentativo di 
interpretazione simbolica delle civiltà che sono apparse sulla terra attraverso quelle 
espressioni simboliche divenute arte, religione, scienza e linguaggio. Il pensiero 
organico percepisce le civiltà come “corpo vivo”, che nascono, crescono per poi, un 
giorno, morire e rigenerarsi in un qualcosa di nuovo. All’interno di questo processo 
ciclico, definito da Spengler di “successione organica”, una “civiltà”, una volta che ha 
raggiunto tutte le sue potenzialità espressive, sia in termini ideologici, religiosi, che 
artistici e scientifici decade, affievolisce le sue potenzialità, esaurisce le sue forze 
divenendo “civilizzazione”. Questo processo, che caratterizza ed è destino di ogni 
civiltà “rappresenta un termine, irrevocabile ma sempre raggiunto secondo una 
necessità interna a qualsiasi civiltà”. (Spengler, 1978).  
Ma che cosa significa tutto questo? Ed in che modo queste strutture filosofiche 
possono aiutarci a capire ed interpretare la natura degli eventi? In tal senso vorrei 
sottolineare due cose: 
a) la struttura organica non rinnega quella razionale, ma concepisce, come ho 
detto sopra, quest’ultima come necessità intrinseca di un certo momento 
storico; 
b) non possiamo né dobbiamo rinnegare il salto culturale rappresentato 
dall’esperienza illuministico-razionalista, seppure ritengo che essa abbia 
esaurito la sua forza e deviato profondamente il rapporto uomo/ambiente. 
Allora capire queste due momenti della storia della nostra cultura, vuol dire non porsi in 
termini di contrapposizione strutturale tra le due, ma leggerle secondo gerarchie 
differenti. Solo in questo modo potremo strutturare una morfologia della storia in grado 
di fornirci una chiara analisi dell’evoluzione della nostra cultura, in modo tale da 
attribuire ad ogni evento il suo senso, comprendendone il perché e le necessità 
intrinseche che lo hanno generato. In tal senso quando parliamo del sorgere della 
cultura industriale, ad esempio, ci apparrà chiaro il senso di scelte quali l’adozione del 
metro come unità di misura al posto delle tradizionali unità legate al corpo umano – 
piede, pollice, etc. – o il differente approccio verso l’animo umano e la spiritualità così 
come appare negli scritti di Göethe, che sono chiaramente organici, da quelli 
razionalisti di un Laclos – nelle Liaisons dangereuses del 1782 – o di Julien Lamettrie 
in L’uomo macchina. La comprensione di una struttura morfologica non più solo in 
termini causa-effetto potrà permetterci di guardare verso il nostro destino con occhi 
nuovi, perché “se si vuole sapere in che forma il destino della civiltà occidentale si 
compirà nel futuro, bisogna prima sapere che cosa sia una civiltà, in che rapporto essa 
sta con la storia visibile, con la vita, con l’anima, con la natura con lo spirito, in quali 
forme essa si manifesta e in che misura queste forme (che sono popoli, lingue ed 
epoche, battaglie e idee, Stati e dèi, arti e opere d’arte, scienze diritti, forme 
architettoniche e visioni del mondo, grandi personalità e grandi avvenimenti) abbiano 
valore di simboli e come tali vadano interpretate” (Spengler, 1978).  
Capitolo 1: Introduzione 
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1.2.3 L’interazione tra filosofia, città e tecnologia nella modernità 
Ad un certo punto della storia dell’uomo la città diviene non più solo una esigenza fisica 
ma un qualcosa di intimamente legato ad esso, tanto e in tal maniera che  “il carattere 
proprio della storia mondiale, sta nel fatto che tutte le grandi civiltà sono state civiltà 
cittadine. Le nazioni, gli Stati, la politica e la religione, tutte le arti, tutte le scienze si 
basano su quest’unico fenomeno elementare dell’esistenza umana, costituito dalla 
città”. (Spengler O., 1978), Anzi, è possibile dire, almeno da un punto di vista 
occidentale, che non vi sia creazione umana che incarni la continuità storica in modo 
più tipico e con forme più tangibili che non il fatto urbano.  
La storia degli ultimi tre secoli, ha segnato un grande passaggio nella cultura europea. 
Con l’avvento della città industriale e le trasformazioni politiche, economiche e sociali 
che con essa si sono intrecciate, hanno segnato un profondo cambiamento nei 
tradizionali assetti culturali. Le vicende che hanno caratterizzato questo passaggio 
epocale sono così raggruppate da Benevolo: (Benevolo L., 1993) 
a) i meccanismi della rivoluzione industriale – aumento della popolazione, 
l’aumento della produzione industriale e la meccanizzazione dei sistemi 
produttivi – cambiano le quantità e le qualità in gioco nel sistema insediativo 
europeo; 
b) la revisione del patrimonio culturale europeo avviene sotto il lume della ragione, 
che riconosce in ogni genere di realtà un proprio ordine oggettivo, e mette in 
crisi il loro equilibrio nel sistema tradizionale; 
c) la coerenza della progettazione architettonica e paesistica riposa sui 
meccanismi istituzionali, che vengono contestati dalla critica illuministica e dalle 
rivoluzioni politiche del tardo ‘700; 
d) il progresso tecnico e lo spirito imprenditoriale, che dominano questo periodo, 
tengono viva intanto l’esigenza della riorganizzazione. 
Tutte queste componenti provocano un profondo cambiamento nel mondo fisico e in 
quello intellettuale. E in tutti questi avvenimenti vi una costante: la città. Con l’avvento 
della società industriale “la città, con il carico dei suoi problemi, sta al centro degli 
avvenimenti in un modo affatto nuovo: non come simbolo del potere costituito, per il 
legame fra corti e capitali stabilito nei secoli passati, ma come sorgente oscura e 
temibile del potere stesso, nel momento di trapasso“. (Benevolo L., 1993) Così la città 
diviene il perno di un nuovo sistema che proietta la sua forza tanto verso l’interno – 
l’assetto delle città diventa uno dei problemi dei nuovi governi usciti dalle lotte del 1848 
– che verso l’esterno, dove essa comincia la sua contrapposizione al paesaggio, e a 
palesare una volontà a “voler essere qualcosa di diverso, di superiore” e dove “la 
metropoli gigantesca, la città concepita come mondo vicino al quale non deve esistere 
un diverso mondo, inizia la sua distruzione sull’immagine del paesaggio”. Per cui, se 
“prima la città si era abbandonata al paesaggio, ora vuole farlo simile a se” (Splenger 
1978), Questa trasformazione, accompagnata all’iperbolico sviluppo tecnologico e al 
processo di globalizzazione delle economie, ha generato uno scontro tra i processi 
naturali e quelli politico-economici, oramai posti su basi strutturali completamente 
discordanti. La natura, con i suoi ritmi e i suoi tempi estremamente dilatati e, per 
contro, processi economici sempre più vorticosi e dove si è enfatizzato un modello 
economico che ha sempre trascurato la dimensione sociale dell’individuo (Dalay e 
Cobb, 1990; Fusco Girard, 1997) e dove, addirittura, nell’ultimo decennio dello scorso 
secolo si è assistito ad una profonda trasformazione sul concetto di denaro, che ha 
Capitolo 1: Introduzione 
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finito per acquisire un proprio ed autonomo sviluppo, indipendente dalle classiche 
forme di scambi puramente commerciali.  
Questo processo di trasformazione, che secondo Spengler caratterizzano il passaggio 
tra civiltà e civilizzazione, induce dei profondi cambiamenti culturali, che se risultarono 
astratti allorquando furono formulati dal filosofo tedesco, appaiono in tutta la loro fisicità 
oggi che ci troviamo di fronte a fenomeni divenuti oramai globali. In particolare mi 
riferisco al ruolo economico e politico di quelle città che Sassen chiama città globali o 
primarziali. Come vedremo più dettagliatamente nei prossimi paragrafi, queste città 
sono qualcosa di nuovo per la nostra cultura, giacché esse diventano “metropoli, che 
hanno assorbito tutto il contenuto della storia e di fronte alle quali l’intero paesaggio di 
una civiltà scende al rango di una provincia avente solo da nutrire la metropoli coi 
residui di una umanità superiore. (Spengler, 1978). Questo passaggio si traduce in un 
radicale cambiamento nell’uomo perché l’uomo di questo periodo storico ha perso ogni 
legame con la “madre Terra”, sono svaniti “i fondamenti tradizionali delle idee 
filosofiche e religiose” e “il contatto diretto con la natura sono stati in gran parte 
sostituiti dall’abitudine a concetti rarefatti, soprattutto nel vendere e nel comprare”. 
(Arnheim R.,1977). 
La città diviene sede di un particolare modo di vivere e di essere, e l’uomo “civilizzato, 
nomade intellettuale” (Spengler, 1978) è profondamente radicato alla città, parla una 
“lingua” nuova e totalmente diversa da quella della cultura contadina “per cui il cittadino 
è facilmente riconoscibile di fronte a chi non lo è” (Spengler, 1978).  
 
Nell’ultimo scorcio del XX secolo abbiamo sempre più assistito a brutali eccessi 
progettuali, a forme espressive che si sono succedute nel lasso di qualche anno. Tali 
forme espressive non sono state capaci di attecchire nella società perché rinchiuse in 
ambiti culturali ristretti. Credo che si possa parlare come di rappresentazioni del 
malessere o delle angosce di una ristretta cerchia di architetti, i quali, però, non hanno 
saputo dare risposte nelle loro rappresentazioni né il vuoto né all’impoverimento 
urbano e sociale della società occidentale. Si pensi, ad esempio a quelle architetture 
che attraverso una forma espressiva “tecnocratica” e rivolta verso “l’era spaziale” 
hanno rappresentato scenari urbani dove lo spazio della città era fondamentalmente 
ostile all’uomo, quasi espressione e raffigurazione di presagi di morte. O, ancora, 
espressioni di silenziose utopie colme di ottimismo tecnologico, che addirittura in 
alcune proposte evocano immagini metafisiche, effimere e criptiche, alcune delle quali 
sono votate all’autodistruzione.  
Queste architetture sono solo la rappresentazione fisica di un malessere presente nella 
nostra società. Apprezzo di talune di esse non l’aspetto architettonico ma quello 
pittorico, quindi puramente speculativo attribuendogli una espressività conchiusa in se 
stessa e per se stessa.  Il problema, come più volte verrà sottolineato nel presente 
lavoro, è strutturale, ovvero i profondi rivolgimenti che hanno segnato il crollo di confini 
esterni, fisici, geografici, economici ed epidemiologici dovuti ai processi economico-
politici e sociali, hanno prodotto o indotto anche, per così dire, un crollo di quei limiti 
interni di carattere etico; ciò se da un lato ha prodotto come effetto grandi successi 
della scienza e della tecnica, dall’altro ha creato grandi vuoti etico-morali e politici. La 
ricostruzione del mondo operata dalla razionalità scientifica e dall'efficienza tecnologica 
ha aperto prospettive grandiose, di fronte alle quali cadono uno dopo l'altro i limiti, i 
tabù e gli scrupoli tradizionali. Nascono così i miti dell'onniscienza, dell'onnipotenza e 
dell'immortalità, che incarnano aspirazioni umane vecchie come il mondo. Vorrei 
concludere dicendo che “… niente di ciò che è bello è separabile dalla vita; e la vita è 
ciò che muore” (Velery P., 1990). 
Capitolo 1: Introduzione 
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1.3 Organizzazione della tesi 
Il lavoro di tesi è stato strutturato in tre parti, così organizzate: 
I. la prima parte della tesi opera un’analisi generale sui cambiamenti culturali, 
sociali ed economici che hanno investito la nostra società, nonché sul significato 
che è stato attribuito allo sviluppo sostenibile.  
Sulla scorta di tale struttura sono stati sviluppati i seguenti capitoli: 
¾ capitolo secondo, dove si è cercato di capire quale significato è possibile 
attribuire allo sviluppo sostenibile alla luce tanto dei processi politici ed 
economici che di quelli politici del mondo contemporaneo; 
¾ capitolo terzo, dove si tratterà dello sviluppo sostenibile con riferimento ai 
sistemi urbani. In tale ottica verrà sviluppato un percorso che attraverso la 
teoria della complessità porterà ad un’analisi della città in termini di eco-
sistema, con tutte le implicazioni di ordine metodologico e politico-economico 
che ne seguono. 
II. La seconda parte, che costituisce il cuore del presente lavoro, andrà a 
soffermarsi più dettagliatamente sul ruolo degli indicatori di sostenibilità e della 
Information Communication Technology (ICT), cercando di capire il ruolo di 
detti sistemi in una prospettiva di attuazione di politiche volte alla sostenibilità. 
Sulla scorta di tale struttura sono stati sviluppati i seguenti capitoli: 
¾ quarto capitolo, dove si cercherà di capire cosa si intende per indicatore di 
sostenibilità, le differenti chiavi di lettura che essi permettono, nonché i 
differenti frameworks sulla scorta dei quali strutturare obiettivi volti alla 
sostenibilità; 
¾ quinto capitolo, tratterà della ICT e delle sue componenti costitutive. Si, cioè, 
di capire cos’è la ICT, quali componenti la caratterizzano, sia a scala 
nazionale che su scala locale, nonché le interazioni e le dinamiche tra queste 
componenti nonché sui possibili ruoli della ICT nei processi di cambiamento; 
¾ sesto capitolo tratterà dei processi ideologici e politici legati all’introduzione 
della ICT nella società contemporanea. In particolare si analizzeranno sia il 
cambiamento strutturale della società, sia i nuovi processi di ridefinizione del 
concetto di democrazia in atto nei paesi tecnologicamente avanzati. La parte 
finale del capitolo fornirà un quadro sulle politiche dell’Unione Europea e 
dell’Italia nella società dell’informazione ma anche le prospettive e le 
dinamiche che caratterizzano processi attuativi della e-democracy e dell’e-
Government; 
¾ il settimo capitolo tratterà della interazione tra processi sostenibili e la ICT. In 
tale capitolo si forniranno una serie di indicazioni e spunti metodologici al fine 
di definire un possibile framework per un uso sostenibile della ICT;  
¾ l’ottavo capitolo permetterà una sintesi tra la componente informativa e quella 
comunicativa al fine di permettere tanto operazioni di governo della 
complessità che di attuazione di conoscenza condivisa, soffermandosi, in 
particolare, sul passaggio tra informazione e sistema informativo.   
Capitolo 1: Introduzione 
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III. La terza parte, infine, fornirà un quadro delle esperienze internazionali 
caratterizzate dal connubio ICT e sostenibilità e da un possibile modello attuativo 
del percorso definito nel presente lavoro. 
 
¾ Il capitolo nove illustra casi studio relativamente all’uso della ICT nelle 
politiche locali relativamente alle città di Eindhoven, L’Aja, Helsinky, 
Manchester e Reggio Emilia. Inoltre verrà illustrato, attraverso una 
comparazione,  quale sia la percezione della ICT in rapporto alle politiche 
locali relativamente all’esperienza olandese e quella italiana della rete delle 
città strategiche; 
¾ Infine, il capitolo dieci fornirà un modello attuativo del quadro delineato nel 
presente lavoro realizzando un possibile modello di network territoriale 
incentrato sulla ICT 
 
 
 
 
 
 
 
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PARTE I 
Contesto generale 
Sviluppo sostenibile e città come entità complessa 
 
 
 
 
 
 
 
 
“There is enough in the world for everybody’s need, but not enough for anybody’s greed.” 
(Gandhi) 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAPITOLO 2 
Lo sviluppo sostenibile nei processi politici ed economici della 
contemporaneità 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo 2: Lo Sviluppo Sostenibile nei processi politici ed economici della contemporaneità 
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15
2.1 Introduzione: umanesimo, modernità e post-modernità (come fine 
dell’umanesimo?) 
Cercare di dare una definizione univoca di sviluppo sostenibile ritengo sia, sul piano 
della ricerca, estremamente riduttivo. All’interno di queste due parole vi deve essere un 
modo nuovo di intendere il rapporto con l’ambiente, soprattutto in termini di “credo”. A 
tal fine i paragrafi che seguono proporranno un’analisi del concetto di sostenibilità che, 
partendo da una base in termini ecologici, attraverserà trasversalmente aspetti 
economici e politici della nostra società, cercando di produrre una visione a 
trecentosessanta gradi di questo concetto. Un elemento che credo sia apparso chiaro 
sin dal primo capitolo del presente lavoro, è la necessità per la nostra società di 
liberarsi da quel convincimento, che nella sua radice è ipocrita ed egoistico, che vede 
le nostre verità – quelle Occidentali, razional-meccanicistiche – delle verità assolute ed 
universali, tralasciando o ignorando coscientemente che queste verità sono solo 
espressioni di un’esistenza particolare e soltanto di essa. Questo è un limite intrinseco 
ad ogni civiltà e ad ogni momento storico; e in tale ottica il nostro mondo, malgrado il 
suo potenziale tecnologico e culturale, non è da meno. Le forme di credo, talune volte 
espresse in atteggiamenti integralistici, danno vita a scorie difficili da smaltire. E’ 
necessario un atteggiamento aperto e attento al nuovo. E ciò non per accettare 
quest’ultimo come verità assoluta, tutt’altro. Ma per intraprendere con i nuovi paradigmi 
una dialettica costruttiva e protesa verso un futuro migliore per tutto il pianeta. Credo 
che da questo punto di vista sia importante ristrutturare e rimodellare non solo il 
paradigma scientifico, fondato sui modelli classici, quale quello newtoniano, ma anche 
quello politico-economico su qui poggia la nostra cultura (Spengler, 1978; Vattimo, 
1991). Sul piano scientifico, come accennavo poc’anzi, la base per comprendere i 
fenomeni naturali è stata essenzialmente strutturata in funzione dell’ideale 
meccanicistico, ovvero fornire una rappresentazione razional-maccanicistica di un 
certo sistema con l’ipotesi che le variabili dello stesso riflettano la tassonomia dello 
stesso e con l’ulteriore ipotesi che esso tenda verso posizioni o modelli in equilibrio. Su 
questi modelli si basano le scelte della nostra società; ad esempio se si pensa alle 
attività di gestione dei flussi di traffico, ci si rende conto che l’idea di fondo, quando si 
affronta il problema, è quella di definire politiche che in un futuro prossimo possano 
permettere una modello di sviluppo che tenda verso l’equilibrio, il tutto senza tener 
conto di possibili variabili che, come quasi sempre accade, modificano continuamente il 
progetto iniziale e il tentativo di previsione fatto da questo. Il limite intrinseco in tale 
paradigma deve quindi portarci alla valutazione di nuovi metodi e nuovi approcci, che 
possano permettere un aiuto nei processi decisionali e garantire una tendenza verso 
un futuro migliore. 
Da un punto di vista generale, ovvero di approccio filosofico, il problema della crisi 
dell’umanesimo è caratterizzato da una “perdita della soggettività umana nei 
meccanismi dell’oggettività scientifica e poi tecnologica” (Vattimo, 1991). Molti filosofi 
hanno espresso in termini chiari questa crisi, anche se ognuno di essi ha caratterizzato 
taluni aspetti. Vogliamo ricordare, ad esempio, il lavoro di Spengler, Der Untergang des 
Abendlandes del 1918, dove la crisi della cultura umanistica la si vede legata ad una 
concezione organica della filosofia della storia, nel senso che l’aspetto umanistico 
legato alla creazione artistica o di pensiero, è essenzialmente legato alle fasi giovanili 
di una civiltà, mentre le fasi terminali della stessa sono caratterizzate da processi nei 
quali prevalgono forme di organizzazione tecnico-scientifico-economica del mondo, 
con un culmine politico che l’autore lega ad eventi fenomenologici di tipo cesariano. 
Invece Heidegger considera la crisi della cultura umanistica in termini di verwindung, 
Capitolo 2: Lo Sviluppo Sostenibile nei processi politici ed economici della contemporaneità 
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ovvero di oltrepassamento, di crisi della metafisica (Vattimo, 1991). Quindi in 
Heidegger la cultura tecnica è un compimento della metafisica, cioè essa rappresenta il 
massimo dispiego di quest’ultima in quanto, volendo la tecnica concatenare tutti gli enti 
in legami causali  prevedibili e dominabili, rappresenta il massimo dispiego della 
metafisica. Quindi vi è una visione dell’umanesimo come parte della metafisica in cui 
l’uomo e subiectum, mentre la crisi di questo, e quindi la cultura tecnica, non è vista 
staccata da questo ma ad esso legata in termini di verwindung, ovvero di superamento, 
evoluzione (Vattimo, 1991).  
Da questo breve accenno emerge, talune volte latente, altre volte evidente, una crisi 
della cultura umanistica. Forse un elemento comune a queste differenti posizioni è 
costituito da una percezione della tecnica in termini di sovrastruttura, ovvero di un 
elemento comunque esterno all’uomo. Aperto appare, invece, il dibattito sulle 
distorsioni nel meccanismo generale della nostra cultura. 
2.2 Cosa si intende per sviluppo sostenibile? 
Oggi molti autori propongono la definizione di sviluppo sostenibile data dal rapporto 
Bruntland, ovvero esso "non è uno stato di armonia prefissato, ma piuttosto un 
processo di cambiamento in cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli 
investimenti ed i cambiamenti istituzionali vengono resi compatibili con i bisogni futuri, 
oltre che con quelli presenti".  (WCED 1987) 
Come è logico che sia, la definizione fornita è una definizione che individua princìpi 
generali a cui soggetti istituzionali e non dovranno fare riferimento. Appare, quindi, 
necessario fornire quella base conoscitiva affinché, ogni lettore possa formulare una 
idea più dettagliata e precisa del significato della sostenibilità. Ma prima di addentrarci 
nei paragrafi successivi vorrei soffermarmi su alcuni punti base che caratterizzano la 
ricerca di un senso compiuto del significato di sostenibilità. Possiamo mostrare 
essenzialmente due anime. Una prima che considera improponibile ed impensabile 
uno sviluppo sostenibile all’interno dell’attuale culturale occidentale poiché il termine 
sviluppo, inteso nel senso attribuitogli dalla rivoluzione industriale in avanti, racchiude 
un contenuto caratterizzato essenzialmente da processi di crescita economica e di 
accumulo di capitale ai danni della natura. Esso si fonda su aspetti divenuti pregnanti 
della nostra cultura e legati a valori quali l’universalismo, il dominio sulla natura e la 
razionalità. La critica teorica a questo sistema è portata avanti da uno sparuto gruppo 
di filosofi che vede proprio in questa forma di sviluppo, che ha caratterizzato tanto il 
mondo capitalista che quello ex socialista, la causa dei problemi sociali ed ambientali. 
All’interno di questo paradigma non c’è posto né per il rispetto della natura né 
tantomeno per quello dell’essere umano. Dunque non ha senso parlare di sviluppo 
sostenibile perché le due parole sono in contrapposizione e non in sinergia. E lo stesso 
vale per le nuove forme verbali, quali ad esempio sviluppi partecipativi, equi, 
comunitari. Tutte forme di rinnovamento di idee obsolete che “non potendo cambiare le 
cose cambiano le parole”
1
. Tale posizione, certamente radicale, ha comunque 
                                                 
1
 Interessante è l’articolo di Latouche S., Sviluppo una parola da cancellare, in Le Monde Diplomatique, 4 
maggio 2001 
Capitolo 2: Lo Sviluppo Sostenibile nei processi politici ed economici della contemporaneità 
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evidenziato tante scomode verità che, nel bene e nel male, hanno caratterizzato la 
nostra cultura e che, ancor di più oggi dove si assiste al fenomeno della 
globalizzazione e conseguente occidentalizzazione del pianeta, rappresentano 
problematiche ineludibili nel lungo periodo e con le quali prima o poi dovremo 
confrontarci. E’ però da dire che, se da un lato appare chiara l’analisi filosofica, è 
altrettanto chiaro che un tale rivolgimento strutturale, soprattutto filosofico, 
richiederebbe una totale revisione degli assetti di un intera cultura e con essi degli 
assetti sociali, politici ed economici. E , in termini realistici, ci appare improbabile 
attuare una “politica” che vada in tale direzione, almeno non nel breve periodo e non 
alla luce dei recenti rivolgimenti politici planetari.  
Dall’altro lato vi è una visione più pragmatica, fondata su approcci che cercano di 
coniugare la sostenibilità con forme di sviluppo efficienti, quindi attraverso un razionale 
uso dell’energia, forme di democrazia partecipata e, soprattutto un uso intelligente 
degli strumenti informativi. In questo capitolo verranno illustrati in dettaglio vari tipologie 
di approccio alla sostenibilità. Al momento vogliamo richiamare l’attenzione del lettore 
su un elemento essenziale sul quale si concentrerà la seconda parte del presente 
testo: ovvero il ruolo della tecnologia nel contesto della sostenibilità. In tale ottica si 
cercherà di capire, in particolare, il ruolo di una adeguata base informativa e delle 
moderne tecniche strutturate sull’uso della ICT, come analisi, organizzazione e 
gestione di questi flussi sia in rapporto alla città che al territorio, intesi come entità 
altamente complesse. 
2.3 Rapporto tra ambiente ed economia: dal mondo moderno al contemporaneo 
2.3.1 Assetto politico-ideologico nel mondo contemporaneo 
Come si è accennato precedentemente, il processo economico lo si deve inquadrare 
nel più ampio contesto di struttura generale del nostro sistema. Il grande strappo tra 
una economia su base agricola ed artigiana ed una di tipo industriale è avvenuto nel 
momento in cui l’Uomo è stato capace, attraverso il progresso tecnologico, di generare 
nuove “forme”, artificiali e il più delle volte con forti impatti sull’ambiente. La struttura 
industriale, nei suoi nuovi assetti, ha segnato un salto culturale e psicologico senza 
precedenti nella storia dell’umanità: non più un uomo che è parte integrante 
dell’ambiente e figlio della Madre Terra; ma un uomo che, attraverso la sua tecnologia, 
cerca di soggiogare la natura e gli elementi, sentendosi così estraneo da essa, quasi 
rinnegandola e ciò non solo psichicamente, ma nella concretezza del nuovo assetto 
economico, nel quale essa è totalmente ignorata nei computi seppure è da essa che si 
trae tutto il necessario. Il nuovo paradigma della modernità ha ideologizzato un mondo 
dominato dal progresso tecnico-scientifico, con una cultura che si è frantumata sempre 
di più in mille saperi, facendo perdere di vista il senso ultimo delle cose, il significato 
stesso dell’esistenza e quello di appartenenza. Ma in che modo le tre componenti 
illustrate nel primo capitolo, ovvero filosofia, tecnologia e città hanno modificato gli 
assetti della nostra società? E quali sono stati gli intrecci con l’economia, divenuta