2
di approfondimento, in modo da rendere possibile una progressione che andasse dalla sensibilizzazione 
alla competenza, creando “la consapevolezza dell’essere parte di sistemi complessi” e facilitando il 
passaggio “dalla comunicazione monotematica (es. rifiuti) alla comunicazione integrata e trasversale, 
orientata a descrivere la complessità dei temi interdisciplinari/intersettoriali”. Il fine ultimo di questo 
processo conoscitivo dovrebbe essere quello di “evidenziare le implicazioni di tutti gli aspetti 
ambientali, sociali, economici”, adottando “una pluralità di linguaggi”, con “messaggi al cuore, alla 
testa, all’occhio”, “improntati a conciliare rigore scientifico e immaginazione”, grazie alla 
“implementazione di strumenti interattivi, multimediali e partecipativi” (Sancassiani, Tamburini, 2000). 
 Altro documento ritenuto importante per la costruzione del nostro lavoro è stato la “Bozza di 
documento per la Conferenza di Genova” del 15/10/99 del gruppo di lavoro Partecipazione del 
Coordinamento Italiano Agenda 21 Locale, dove tra le indicazioni si legge la necessità di “elaborare 
piani di comunicazione diffusa/sensibilizzazione”, ed un esplicito riferimento ad "una visione multi-
settoriale e sistemica dei problemi”. 
La funzione di tale strumento concettuale di comprensione/comunicazione quindi dovrebbe essere 
quella di sezionare trasversalmente tutte le attività che insistono sull'ambiente-città con un "coltello-
plurilama" ispirato ai principi della sostenibilità (dai documenti di Rio alle scelte europee). Ad ogni 
lama di tale coltello dovrebbe corrispondere una visione dei problemi dal punto di vista ambientale, 
socio-economico ed istituzionale, così come evidenziato nei quaranta capitoli dell’Agenda 21 elaborata 
nella Conferenza ONU di Rio del ’92
4
. 
Per questioni di tempo, spazio e serietà nell’affrontare le molteplici tematiche implicate nello studio 
di ogni città, si è preferito focalizzare l’attenzione sull’ultimo tipo di “lama”, lasciando comunque 
aperta la possibilità, a chiunque voglia procedere lungo il nostro stesso cammino, di esplorare come le 
altre “lame” si influenzino reciprocamente l’un l’altra. Dunque il focus del lavoro si è andato a 
concentrare, dopo la disamina sulla comunicazione europea e nazionale, sui temi dell’innovazione nelle 
amministrazioni, letta in chiave di comunicazione, in quanto crediamo sia il primo passo fondamentale 
da compiere per cominciare ad implementare delle politiche locali che rispondano davvero ai cosiddetti 
principi di sostenibilità.  
La ferma convinzione che non possa esistere la tanto discussa “città sostenibile” senza una reale 
integrazione delle politiche ci ha portato a concentrare la parte applicativa del presente lavoro 
sull’analisi del processo di Agenda 21 locale di Ferrara, per testare e tentare di toccare con mano tale 
integrazione. Quindi, in accordo con i "Draft terms of reference (TOR) for the preparation of best 
practice case studies"
5
, elaborati dal Best Practices and Local Leadership Programme (BLP), UNCHS 
(habitat), che seguono lo schema "title, case summary, description, analysis, conclusion/assessment" , si 
è proceduto nell'analisi di tale caso-studio con l'intento di estrapolare, comunicare, trasferire "the key 
concepts (ideas) and processes”, nel tentativo da una parte di fare il punto della situazione ferrarese, e  
da  un’altra di permettere di estendere le conclusioni ed i concetti chiave che scaturiranno dall’analisi 
ad altre realtà urbane, coinvolte in processi simili. 
                                                 
4
 A titolo esemplificativo si allega l’indice originario del lavoro, strutturato appunto secondo il principio del 
coltello-plurilama. 
5
 http://www.sustainabledevelopment.org/blp/learning/casestudies/torcase.html 
 3
1. IL QUADRO D’AZIONE: definizione di un campo di indagine 
 
 
I nostri architetti ed i nostri urbanisti sono i resti 
archeologici di un’impostazione che non prepara a capire il 
mondo e le trasformazioni in esso. I programmi insegnati nelle 
nostre facoltà di architettura e di urbanistica non si occupano 
di capire cosa sono le città, come funzionano, come funziona 
la gente in esse, come per millenni è stato intessuto il dialogo 
fitto tra luoghi, culture, identità, climi, opportunità e risorse. 
F. La Cecla, L’urbanistica è una scienza umana?
 
Il percorso affidato a questo capitolo consiste nel delimitare il campo d’indagine della ricerca, 
tentando di costruire un’impalcatura concettuale che dia maggior vigore alla stesura del lavoro stesso. 
A tal fine, dopo alcuni chiarimenti su concetti-chiave che attraversano trasversalmente tutti i contenuti 
del testo, verranno esplicitate le connessioni logiche che permettono di passare dai fini propositivi di 
una politica agli obiettivi pragmatici della messa in atto della stessa. Tali ragionamenti saranno 
funzionali evidentemente alla comprensione del caso-studio e delle relative proposte che verranno 
presentate alla fine del terzo capitolo. 
 
1. Concetti-chiave: alcuni chiarimenti 
Al fine di individuare metodi e strumenti utilizzabili per la gestione degli ambienti urbani 
sostenibili, si ritiene di primaria importanza chiarire quali siano i problemi che si presentano 
attualmente nelle città e, per farlo, si rende necessario esplicitare quali siano le definizioni date a 
termini di uso corrente, dei quali molto probabilmente si sottintendono una pluralità di significati. Per 
evitare possibili fraintendimenti comunicativi, occorre riflettere su alcuni termini quali: città, urbano, 
ambiente, ambiente urbano, e sostenibilità, al fine di per render chiaro il significato di cosa sia un 
“ambiente urbano sostenibile”, tanto utopicamente desiderato ed oggetto dei nostri studi. 
1.1 Città 
Oggi “parlare genericamente di città è una rozzezza che sfiora la menzogna” (Socco, 2001). Ciò è 
dovuto all’emergente interrogativo circa la possibilità di poter chiamare ancora “città” i luoghi nei quali 
vive circa il 70% della popolazione europea ed il 45% della popolazione mondiale (Ministero 
dell’Ambiente, 2001). E’ diventato fondamentale interrogarsi su cosa rappresenti oggi la città 
nell’immaginario collettivo. Infatti, in un’epoca caratterizzata dalla diffusione sul territorio di 
insediamenti urbani, si possono ancora delimitare i confini delle città? Ovvero si può ancora capire in 
maniera certa dove queste finiscono e dove comincia la campagna?  
Volendo focalizzare l’attenzione a livello italiano, è ormai evidente da tempo come non sia più 
possibile rappresentare un’immagine del nostro territorio capace di sintetizzare un insieme composto da 
centri e periferie gerarchizzate
1
 (ricerca Itaten, 1996). Ciò è dovuto alle crescenti interazioni tra sfere 
locali e sfere globali, a causa delle quali emergono non solo gli assetti urbani ereditati dalla storia, ma 
                                                 
1
 cfr. nota 1 della Presentazione 
 4
anche un nuovo contesto di relazioni all'interno di essi e tra una moltitudine di essi. Queste relazioni si 
impongono oggi come problema dominante da affrontare.  
Ancora a proposito di immaginario collettivo: che tipo di risultato evoca generalmente il nome di 
una delle nostre città italiane? Si focalizza sulle stereotipate e metabolizzate icone del centro storico o 
sulle anonime e poco descrivibili (perché poco caratterizzate) periferie che le circondano? Si può 
addirittura affermare che la città contemporanea sia in realtà la periferia, perché se la città è il luogo 
dove vive la popolazione urbana, è proprio nei grandi agglomerati che abbracciano gli antichi centri 
storici che si concentra oggi la gran parte degli abitanti, come dimostrano i dati elaborati dal CRESME 
(tab. 1 e 2). E’ su questi temi che vale la pena oggi focalizzare il dibattito sulle città. 
Al cambiamento delle forme delle città si affianca quello delle “forme di vita di chi le 
abita”.“Abitare le distanze” allora sembra essere diventato lo slogan del vivere attuale, dove domina 
una “incipiente contraddizione tra il rinnovato bisogno di radicamento nello spazio e la crescente 
appartenenza al di fuori, tra localismo e deterritorializzazione, tra l’esperienza dello stare e quella del 
transitare materialmente e immaterialmente attraverso mondi eterogenei” (Clementi, 1996).  
La cosiddetta deterritorializzazione appare dunque come la negazione e al tempo stesso la conferma 
di un nuovo paradigma della città contemporanea:  
“Il mondo si avvia a diventare una gigantesca città e l'umanità si avvia a diventare sempre più 
nomade. Per descrivere questo mutamento è stato coniato il termine di deterritorializzazione:  «Per 
alcuni secoli il radicamento nel territorio circoscritto del proprio villaggio e della propria nazione ha 
spinto a cercare norme e leggi che esaltassero l'uniformità e l'omogeneità, ma oggi il nomadismo 
mentale e fisico a cui siamo destinati in modo crescente impone di trovare modalità di relazione con la 
molteplicità degli incontri, con la diversità, con la dinamicità delle situazioni e degli eventi. I gruppi 
umani crescono a dismisura o almeno assumono dimensioni ignote sinora nella storia della nostra 
specie. Si scompongono, migrando in luoghi diversi e si ricompongono in aggregati nuovi per via di 
incontri inediti»” (Scandurra, 1999).  
Diventare una gigantesca città sembra essere il futuro dei nostri territori ammalati di modernità: non 
basta più focalizzare le proprie analisi esclusivamente su di una città ogni volta che si pone l’attenzione 
su di un singolo centro abitato, occorre sempre percorrere la lunga scala de-gerarchizzata che dalla città 
passa per la provincia, la regione fino allo stato e al mondo intero. 
Se si allarga la riflessione a livello europeo, risulta ancora più evidente tale de-gerarchizzazione, 
segnata dalla difficoltà di poter tracciare confini anche a livello nazionale, dal momento che le 
delimitazioni dei singoli stati vedono sempre più diminuire la propria importanza a vantaggio di 
modelli spaziali essenzialmente tendenti a valorizzare le singole città. In una Europa (ma il discorso si 
potrebbe estendere a livello mondiale) dove il concetto di confine è diventato un'idea labile e 
differenziata, risulta evidente la difficoltà di tentare di racchiudere in un modello spaziale condiviso 
l'assetto dei propri sistemi urbani. Mentre il territorio acquisisce nuovi significati in epoca di 
globalizzazione, l'UE si affretta a tracciare confini e regioni per permettere una riduzione degli squilibri 
interni, promovendo programmi di sviluppo locale, finanziati dai fondi strutturali. Ma c'è da dire che in 
realtà le regioni disegnate dai programmi comunitari, non contribuiscono ancora alla creazione di una 
immagine unitaria, né stabiliscono un filo diretto evidente con le indicazioni dello Schema Spaziale di 
 5
Sviluppo Europeo2. In definitiva allora l'immagine del territorio europeo continua a rimanere quella 
della sommatoria tra le nazioni che lo compongono, a riprova dello “scarso coinvolgimento del sapere 
tecnico-scientifico, in special modo nel nostro paese, rispetto alla crescente rilevanza che l'intervento 
comunitario sta assumendo nel campo delle politiche territoriali”(Janin-Rivolin, 2002); scarso 
coinvolgimento che sta portando, tra l’altro, a “nuove occasioni di distacco tra conoscenza e azione nel 
campo delle politiche territoriali”(Crosta, 1998)3. 
D’altronde, se da una parte i confini della città si estendono a dismisura fino a non permetterne più 
una agevole perimetrazione, dall’altra si afferma un nuovo tipo di limite dato dall'atomizzazione del 
concetto di città a livello di individuo; ovvero si va affermando la città delle differenze, la città plurale, 
la città dai molteplici spazi urbani vissuti dai vari gruppi che la compongono, ognuno secondo modalità 
proprie.  
Le nostre città si costruiscono su dei territori che si lasciano attraversare,  definiti per questo territori 
spugna (Secchi,2000); sono città decostruite, smontate, sparpagliate. La questione da affrontare con 
urgenza è diventata allora quella dei collegamenti tra le varie parti, tra pezzi di città che comunicano tra 
loro a disprezzo di qualsiasi regola compositiva.  
A questo proposito, fondamentale appare il ruolo assunto negli ultimi decenni dalle reti e dalla 
capacità di potersi totalmente sganciare dal proprio contesto e vivere in quello che più si preferisce.  
"Ogni entità territoriale (al limite ogni soggetto) può legare le proprie sorti a quelle di altre entità 
lontane, sganciandole da quelle di entità contigue, così che la vicinanza geografica è sempre meno 
sinonimo di similarità” (Dematteis, 2000). 
Come intervenire in questa realtà atomizzata e “regolata” da relazioni non modellizzabil" perché 
sempre in continuo mutamento? In altri termini, come rimettere assieme i pezzi?  
Ci sembra, in accordo con tanti studiosi, che la soluzione possa essere nell’uso intelligente proprio 
di ciò che ha frantumato le nostre città, ovvero delle reti: la sfida è di riuscire a sfruttare collegamenti in 
maniera positiva.  
1.2 Ambiente - natura - milieu 
Secondo il dizionario della lingua italiana Devoto-Oli, il termine “ambiente” sta ad indicare “lo 
spazio circostante considerato con tutte o con la maggior parte delle sue caratteristiche”; quindi è 
“l'insieme delle condizioni fisico-chimiche e biologiche che permettono e favoriscono la vita degli 
esseri viventi”, ed in senso figurato “il complesso di condizioni sociali, culturali e morali nel quale una 
persona si trova, si forma, si definisce”. Tale descrizione rende evidente la completa diversità dal 
concetto di “natura”, in quanto “insieme dei caratteri di una regione o di un gruppo umano, non ancora 
modificati dalla civiltà” (Devoto, Oli, 1995). Sottolineare tale differenza, oltre che fare chiarezza su 
termini spesso interscambiati e confusi, rende più agevole l’introduzione del concetto di “milieu”. 
                                                 
2
 L'idea dello Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo proviene da una decisione del Consiglio informale dei 
Ministri responsabili per l'assetto territoriale negli stati membri, tenutosi nel 1993 a Liegi. La versione finale è stata 
adottata nel 1999, con lo scopo di orientare le politiche territoriali ed è finalizzato al raggiungimento di tre obiettivi 
principali: “un sistema urbano equilibrato e policentrico e nuove forme di relazione città-campagna; pari 
accessibilità alle infrastrutture e conoscenze; una gestione oculata e uno sviluppo del patrimonio naturale 
e culturale”. 
3
 Crosta P.L., Politiche. Quale conoscenza per l'azione territoriale, 1998, citato in Janin-Rivolin. U., op. cit. 
 6
Il termine francese milieu non corrisponde esattamente all’italiano ambiente, in quanto “l’ambiente 
costituisce la somma complessiva delle condizioni che letteralmente “circondano”, [...] gli esseri 
umani” (Governa, 1997). Esso invece corrisponde a “ciò che sta nel mezzo”, per cui lo si può definire 
solo in termini relazionali, cioè come relazione tra uno spazio e la società che lo occupa in un 
determinato momento storico. 
Considerare l’insieme delle condizioni ambientali di un certo sistema locale permette di definirlo 
come “un insieme permanente di caratteri socio-culturali sedimentatisi in una certa area geografica 
attraverso l’evolvere storico di rapporti intersoggettivi, a loro volta in relazione con le modalità di 
utilizzo degli ecosistemi naturali locali”4.  Introdurre tale schema di ragionamento produce l’evidente 
implicazione di considerare tale concetto di milieu all’interno della dialettica locale/globale; infatti 
quello di milieu è un concetto articolato su due livelli: si riconoscono, in prima analisi, proprietà e 
caratteristiche socio-culturali in un certo luogo, e, in seconda, le interazioni e sinergie che in esso si 
vengono a creare. In quest'ottica è interessante evidenziare la doppia visione statica e dinamica del 
milieu come “re-interpretazione attuale, continua e, in parte, contingente che di questo patrimonio 
danno i soggetti locali” (Governa, 1997). Si disegna allora il milieu come insieme di potenzialità 
presenti in un determinato territorio che, per potersi realizzare ed essere utilizzate “come reali risorse 
del processo dello sviluppo, devono essere riconosciute e colte dalla rete locale, espressione della 
soggettività sociale” (Governa, 1997).  
In sintesi, ai fini del nostro ragionamento, risulta interessante valutare che se si considerano le città, 
i sistemi urbani, come sistemi locali si può affermare che essi siano dei “sistemi dotati di caratteristiche 
e specificità locali, come insieme di soggetti che, auto-organizzati in reti, permettono l’attivazione di 
tali potenzialità nelle dinamiche dello sviluppo” (Governa, 1997). Ritroviamo dunque nuovamente il 
concetto di rete, declinato secondo una logica “locale”, ricchezza da spendere nei confronti della 
minaccia globale frammentatrice.  
1.3 Urbano 
Nel corso del recente convegno triennale della Sezione territorio dell’Associazione Italiana di 
Sociologia, dal titolo “Scenari della città italiana nel futuro prossimo venturo”, F. Choay ha 
sottolineato, attraverso l’esposizione di cinque pungenti tesi, il disinteresse per i termini utilizzati dalla 
sociologia urbana, in riferimento al fatto che la città, intesa come “entità costituita dall’associazione di 
uno spazio discreto (urbs, nel linguaggio della civiltà romana e latina) e di una comunità umana discreta 
(civitas)”, non abbia “più praticamente alcun referente in Europa”.  
A fronte di un processo di urbanizzazione planetaria, la città oggi si compone di “masse umane che 
condividono i comportamenti fisici e mentali indotti dall’uso di […] reti di infrastrutture tecniche, 
assistiti da reti di telecomunicazione”; la città, dunque, è diventata “l’urbano”. 
1.4 Ambiente urbano 
Chiariti i concetti di “milieu” e “urbano”, è possibile introdurre e dare un senso alla locuzione 
“ambiente urbano”, al fine di re-interpretare il significato di città.  
Se lo spazio la cui caratteristica maggiore è la presenza di “masse umane che condividono i 
comportamenti fisici e mentali indotti dall'uso di [...] reti” viene chiamato “l’urbano”, quale significato 
                                                 
4
 Dematteis G., Possibilità e limiti dello sviluppo locale, 1994, citato in Governa F., op. cit. 
 7
esso può assumere associato al termine ambiente? Come si afferma nella Relazione sullo Stato 
dell’Ambiente, elaborata dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, parlare di regione 
urbana significa non fermarsi al mero tessuto edificato, bensì considerare un bacino di risorse vitali, 
ovvero “il complesso sistema ambientale nel quale si svolgono la maggior parte dei cicli legati al 
metabolismo della città stessa, metabolismo basato su un elevato consumo di risorse per usi industriali, 
commerciali e per il sostentamento della vita e su un’elevata produzione di residui e sostanze di rifiuto 
che determinano una forte pressione sulle risorse territoriali e naturali” (Ministero dell’ambiente e della 
tutela del territorio, 2001). Dunque oggi è necessario parlare di ambiente urbano poiché, ragionando per 
cicli vitali, non è più possibile considerare la città come una sorta di isola separata dall’ambiente che la 
circonda. 
Addirittura si è ipotizzato che la città sia “un sistema termodinamico (aperto) in condizioni di non 
equilibrio (dissipativi), attraversato da intensi flussi di energia e materia (energivoro) e ospitante, come 
specie vivente, quella prevalentemente umana” (Scandurra, 1995). 
Infatti
5
 la città è “un sistema aperto in quanto riceve dal territorio e dall’ambiente in cui è immersa, 
sia flussi di energia, sia flussi di materia. A sua volta essa espelle verso il territorio e l’ambiente nuovi 
flussi di energia (informazioni, flussi telefonici, calore, ecc.), sia rifiuti (materia ad alta entropia)”. La 
condizione di non equilibrio è proprio “data dal suo rapporto con l’ambiente-territorio che lo circonda, 
con il quale scambia in continuazione materia ed energia”. Al pari di ogni altro sistema termodinamico 
essa esegue un lavoro di trasformazione dell’energia prelevata per produrre: beni (materiali e non), 
informazioni, servizi e quant’altro è finalizzato a mantenere (o accrescere) la propria organizzazione 
interna” (fig.1-2). 
Per i motivi sopra esposti è assolutamente necessaria la “costruzione di nuovi modelli per dominare 
la complessità di sistemi come città, territorio, ambiente”. Tali modelli dovrebbero partire dal concetto 
di “coevoluzione tra uomo e ambiente”, ovvero considerando “l’uomo parte integrante (non più 
dominante ed esterna) del sistema ecologico, ed il sistema socio-economico come un sistema del sovra-
sistema ambientale. Sotto questa chiave di lettura assume un significato rilevante il nuovo concetto di 
ecosistema urbano”, ovvero di “ambiente urbano” come da noi inteso. La pianificazione ne trarrebbe il 
vantaggio di considerare nuovi fondamentali elementi al suo interno, quali “l’uso sapiente delle risorse, 
il controllo dei flussi di energia e materia, verso la ricerca di una sostenibilità urbana e territoriale”, 
assimilando così in ultima istanza l’idea di città a quella di ecosistema
6
. In un ecosistema si considera 
“l’insieme delle popolazioni, vegetali ed animali e delle relazioni che queste mantengono 
spontaneamente tra loro e con le componenti fisiche ed energetiche dell’ambiente in cui si 
manifestano”. Ecco la novità rispetto all’urbano: le masse che condividono comportamenti attraverso 
delle relazioni (le reti) non sono solo umane, ma considerano a 360° gli esseri viventi presenti in un 
determinato luogo. Infatti, “nella realtà ambienti naturali veri e propri non esistono; ogni ambiente 
presenta diversi gradi di antropizzazione con un forte intreccio tra elementi naturali e artificiali”. 
                                                 
5
 le citazioni in quest’ultima parte, fino alla fine del paragrafo su ambiente urbano, fanno riferimento a Scandurra, 
1995. 
6
 Odum definisce l’ecosistema partendo “dalla constatazione che esseri viventi (comunità biotica) e loro ambiente 
non vivente (abiotico), sono legati tra loro in modo inseparabile ed interagiscono reciprocamente” (Scandurra, 
1995) 
 8
Dunque città e territorio possono essere considerati come degli ecosistemi artificiali o ecosistemi 
antropici. 
È interessante notare che, in una classificazione tra ecosistemi giovani e maturi, “l’ecosistema 
urbano […] ha caratteristiche di un ecosistema giovane: il continuo intervento costruttivo e distruttivo 
dell’uomo sull’ambiente costringe l’ecosistema alla massima plasticità”. Ciò significa che l’ecosistema 
urbano privilegia “la crescita rispetto al mantenimento dell’organizzazione del sistema e al suo sviluppo 
(inteso nel senso di aumento qualitativo)”, esattamente come, afferma Odum, fa l’economia. Dunque 
diventa di vitale importanza, proprio per la sopravvivenza dell’ecosistema stesso, “privilegiare la 
strategia della natura rispetto a quella dei leader politici dell’economia”, ponendo tra i nuovi obiettivi 
della “rifondazione in senso ecologico dell’urbanistica” quello del perseguimento di uno sviluppo 
sostenibile.  
1.5 Sostenibilità 
Vediamo allora di chiarire sinteticamente tale concetto di “sviluppo sostenibile”
7
, applicato 
all’ambiente urbano.  
Dalle ipotesi del Club di Roma ad oggi, decine e decine di libri sono stati scritti su tale argomento. 
In realtà quello che qui ci interessa capire è cosa il paradigma della sostenibilità significhi in relazione 
alla situazione attuale ed ai ragionamenti fatti sugli ambienti urbani. 
L'attuale questione ambientale impone di  ripensare in altri termini l'ambiente urbano, di provocare 
una rinascita a seguito del “processo di degradazione iniziato con la rivoluzione industriale (la città 
moderna)” (Scandurra, 1995)
8
. La città contemporanea, luogo del frammento, vorrebbe/dovrebbe anche 
essere città sostenibile. Ad essa oggi viene riconosciuto il duplice ruolo di luogo dove vive l'uomo (il 
suo ambiente) ma anche luogo dove egli produce, consuma, cioè luogo artificiale. La città  è dunque il 
“prodotto storico del secolare processo di trasformazione avviato dall'uomo nei riguardi dell'ambiente 
naturale per costruire il proprio ambiente”. 
Ma, come già detto, questo ambiente non si riduce ai soli confini della città, dove si producono 
merci e si fa crescere l'economia. Risorse ed energie infatti provengono anche da territori non contigui. 
La città post-industriale non lega più l'ambiente urbano al proprio territorio che un tempo ne limitava lo 
sviluppo in relazione alla quantità di risorse disponibili, la città è stata trasformata in “predatore di 
risorse del territorio”.  
La diffusione del neo-liberismo economico, l'indipendenza di azione di ogni sottosistema urbano 
(trasporti, sanità, rifiuti, energia, ecc.), la possibilità e l'abitudine di “libero accesso a qualsiasi luogo 
urbano”, fondono la questione ambientale con quella sociale. L'attuale organizzazione della 
competizione internazionale delle città mondiali in un “sistema reticolare aspaziale” ha come 
contropartita molto spesso una bassa qualità della vita, così che al degrado sociale se ne affiancano 
anche uno morfologico e funzionale. Ciò significa che il degrado  riguarda anche l'assenza di forme 
all'interno del contesto urbano che possano garantire gli incontri, la socializzazione, ovvero mancano 
degli spazi che “facciano centro”, mancanza accentuata inoltre da un degrado funzionale, riferito al 
traffico, ai rumori, ai rifiuti, agli sprechi. Difficilmente si possono elaborare delle soluzioni tecniche ai 
                                                 
7
 Sarà ripreso e maggiormente chiarificato nel capitolo 2. 
8
 Si continua a far riferimento a Scandurra, 1995  
 9
nuovi problemi della città contemporanea, poiché nel momento in cui si decide di salvaguardare un 
gruppo sociale, inevitabilmente se ne limita un altro.  
La soluzione sembra porsi allora nella “solidarietà e cooperazione tra gruppi sociali diversi, tra etnie 
diverse, solidarietà con i gruppi sociali più deboli e vulnerabili, solidarietà intergenerazionali, 
autodeterminazione delle comunità urbane, […] autocostituzione delle scelte e ricostituzione dei valori 
e bisogni fondamentali”. 
 Solidarietà e cooperazione sono il leitmotiv dei principi fondamentali elaborati a Rio de Janeiro 
come esito della Conferenza delle Nazioni Unite sull'Ambiente e lo Sviluppo, svoltasi nel giugno 1992 
ed organizzata in seguito alla presa di coscienza a livello mondiale del “progressivo degrado 
ambientale,  causato da una sempre più consistente interferenza delle attività umane con i naturali cicli 
ecologici della biosfera” (Comune di Roma, 1998). 
Le conclusioni della Conferenza ruotano attorno a cinque principi fondamentali che si rifanno ai 
temi del diritto di garantire lo sviluppo delle generazioni future, della questione dell'integrazione 
all'interno delle politiche economiche dei problemi e costi ambientali, dell'impegno dei paesi 
maggiormente sviluppati nei confronti degli altri in quanto maggiormente responsabili dell'attuale 
degrado ambientale, dell'esortazione a non usare come pretesto la mancanza di fondatezza scientifica di 
fronte a gravi problemi per rimandarne la risoluzione. Infine è ribadita l'importanza della partecipazione 
dei cittadini a tutti i livelli per affrontare le questioni ambientali. Come esito finale sono state approvate 
due Convenzioni internazionali, sui cambiamenti climatici e sulla conservazione delle biodiversità, 
concretizzate inoltre dall'adozione dell'agenda per il XXI secolo (Agenda 21) “che definisce le azioni 
da intraprendere per riconvertire lo sviluppo ai principi della sostenibilità ambientale”.  
“Poiché gran parte dei problemi e delle soluzioni affrontati nell’Agenda 21 hanno le proprie 
radici in attività locali, la partecipazione e la cooperazione delle autorità locali costituirà un fattore 
determinante nel raggiungimento di questi obiettivi”: così si apre il capitolo 28, Iniziative delle autorità 
locali in supporto dell’Agenda 21, della sopra menzionata Agenda 21, a conferma del “potere” insito 
nelle amministrazioni locali in quanto dirette interlocutrici con i destinatari finali: i cittadini. In 
attuazione di tale programma, seguendo le proposte del documento di Rio, le autorità locali, i 
rappresentanti di associazioni di città si sono attivate nel corso degli ultimi dieci anni al fine di 
aumentare cooperazione e coordinamento attraverso consultazioni periodiche, con l'intento di “rivedere 
le strategie e valutare in quale misura questo supporto internazionale potrebbe essere mobilitato 
in modo migliore”. 
1.6 Ambiente urbano sostenibile  
Infine, ammesso che si debbano indicare come “ambienti urbani”, piuttosto che come città, i luoghi 
ove oggi vive la maggior parte della popolazione, e ritenuto che il nuovo paradigma della sostenibilità 
debba entrare a far parte del nostro quotidiano, resta da capire come sia possibile coniugare due concetti 
a prima vista antitetici. 
Dai tempi della rivoluzione industriale “gli urbanisti hanno abbandonato e rinunciato al progetto, 
nel senso che lo hanno svuotato della creazione, sostituendolo con il piano”, accompagnato dalla  
“rottura, in sintesi, del legame sociale, istituzione fondante della città” (Scandurra, 1997)9. 
                                                 
9
 Da qui alla fine del paragrafo tutte le citazioni fanno riferimento a Scandurra, 1997, salvo ove specificato.