4
dimenticata dalle strutture statali e sociali ma in realtà un universo che 
cova al suo interno modi creativi per esprimere la frustrazione e la 
voglia di emergere. 
   Il rap fa parte di una sfera culturale chiamata hip hop, che 
comprende varie discipline come la danza, i graffiti e anche la musica: 
la tesi focalizza la sua attenzione sul testo della musica rap, 
proponendo un’analisi sulla poetica dei suoi versi e sulle strategie 
retoriche impiegate, e inserendoli nel contesto sociale e nella 
tradizione musicale-letteraria afroamericana. In questa tradizione, 
musica e poesia divengono quasi sinonimi, l’una attinge dall’altra per 
trovare l’ispirazione e i canoni espressivi adatti. La parola non nasce 
per rimanere confinata nel foglio (qualora sia scritta), ma esiste per 
essere rappresentata di fronte ad un pubblico partecipe, possiede al 
suo interno una musicalità che sfocia inevitabilmente in un ritmo 
trascinante, sia essa parte di un sermone di Martin Luther King, di un 
discorso politico di Malcom X, di una poesia di Amiri Baraka, o di 
una canzone di Louis Amstrong.  
  Molti critici ritengono che il primo “rapper” (certamente 
inconsapevole) della storia fu il pugile Muhammad Ali, negli anni 
Sessanta e Settanta. Il suo impegno politico contro l’oppressione del 
popolo afroamericano lo ha proiettato a simbolo leggendario per la 
comunità nera: Ali non era solo un pugile, ma accompagnava i suoi 
incontri con rime taglienti contro i suoi avversari o contro l’America 
bianca di cui aveva conosciuto in prima persona il razzismo e la 
discriminazione. Egli è un esempio della tradizione poetica 
afroamericana delle “dozens”, del “boasting” e del “rapping”: 
analizzare come gli elementi della tradizione vernacolare siano ripresi 
nei versi del rap è essenziale per comprendere un’arte che si basa 
sull’abilità nell’utilizzo del linguaggio. È interessante notare come 
moltissimi giovani afroamericani siano in grado fin dall’infanzia di 
                                                                                                                                
5
impiegare le complesse figure tradizionali della retorica (il cosiddetto 
“Signifyin(g)”) nelle sue varie forme, allenandosi in duelli verbali che 
rappresentano una sorta di scuola letteraria di strada. 
   Il rap nasce così: una cultura orale che risale al periodo dello 
schiavismo, composta da determinate strategie linguistiche, viene 
utilizzata per affermare la propria identità e denunciare l’ingiustizia e 
il razzismo, o semplicemente per raccontare una storia, per confondere 
coi suoi significati ambivalenti e spesso fraintesi, una società che 
ancora vede la cultura afroamericana come un elemento estraneo o 
peggio un prodotto esotico da sfruttare e da normalizzare. 
   Con la consapevolezza di un passato lontano e recente segnato dallo 
schiavismo e dalla segregazione razziale, ma con la volontà di 
affermare con fierezza la propria identità e la propria cultura, il rap 
rimane una testimonianza indelebile della parola che si erge contro le 
barriere dei pregiudizi, del colore della pelle, per arrivare alle orecchie 
di chi ha condiviso storie di oppressione individuali o comunitarie. 
Oggi più che mai, i versi del rap rappresentano una delle espressioni 
culturali afroamericane più efficaci nel rappresentare la vita e le 
speranze dei giovani nell’America urbana, mantenendo un forte 
legame con la tradizione orale e folklorica che a sua volta ne influenza 
lo stile e i contenuti. 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                                                                                
6
 
 
Capitolo 1 
LA ROSA CRESCIUTA DAL CEMENTO: NASCITA E 
SVILUPPO DEL RAP 
 
 
 
Did you hear about the rose that grew from a crack 
in the concrete  
Proving nature's law is wrong it learned to walk 
without having feet.  
Funny it seems but by keeping its dreams 
it learned to breathe fresh air  
Long live the rose that grew from concrete 
when no one else ever cared! 
 
Tupac Shakur
1
 
 
 
 
 
   Comprendere la rilevanza poetica della musica rap significa 
innanzitutto delineare il contesto culturale e socio-economico nella 
quale essa nasce e si evolve nella metà degli anni Settanta. Questo 
contesto presenta sia un luogo ben preciso, il quartiere del South 
Bronx in New York, dove la musica rap
2
 cominciò a diffondersi 
espandendosi in breve termine in altre aree urbane degli Stati Uniti, 
                                                 
1
 Tupac Shakur, The Rose That Grew from Concrete, MTV Books, New York, 1999. 
2
  Laddove non esista un termine italiano in corrispondenza di un termine inglese, si è scelto di 
utilizzare la parola inglese indicandola tra virgolette, tranne che per i termini “hip hop”,  “rap” e 
“disc jockey” (“dj”) ormai entrati nel linguaggio comune. 
                                                                                                                                
7
sia un’espressione culturale altrettanto ben determinata, quella hip hop 
afroamericana e ispanica. Scrive Tricia Rose a riguardo:  
 
Hip hop is a cultural form that attempts to negotiate the experiences of 
marginalization, brutally truncated opportunity, and oppression within the cultural 
imperatives of African-American and Caribbean history, identity, and community. 
It is this tension between the cultural fractures produced by postindustrial 
oppression and the binding ties of black cultural expressivity that sets the critical 
frame for the development of hip hop.
3
 
 
   Come Rose descrive dettagliatamente, nelle zone urbane degli Stati 
Uniti alla metà degli anni Settanta era già in atto un processo di 
ristrutturazione economica che si definisce col termine post-
industrializzazione. La crescita di network di telecomunicazioni 
multinazionali, la rivoluzione tecnologica, nuovi flussi migratori dai 
paesi del terzo mondo furono tra le cause che rimodellarono il mercato 
del lavoro, che riconvertiva gradualmente gli impieghi manuali in 
occupazioni nei settori del terziario. A subirne le conseguenze 
maggiori fu la popolazione dei nuovi immigrati e i residenti più deboli 
della città, non protetti adeguatamente dallo stato con il crescente 
taglio dei servizi sociali. A queste conseguenze della post-
industrializzazione, nel South Bronx si aggiunsero gli squilibri portati 
dalle politiche di rinnovamento urbano, che bruscamente ricollocarono 
in questa zona comunità di afroamericani provenienti da diverse aree 
newyorchesi. 
   L’aumento della violenza, di fenomeni di tossicodipendenza, atti di 
vandalismo (come quelli durante il “blackout” di New York del 1977)  
contribuirono a far diventare il South Bronx un’icona negativa 
                                                 
3
 Tricia Rose, Black Noise, Rap Music and Black Culture in Contemporary America, Wesleyan 
University Press, Middletown, 1994, p.21. 
                                                                                                                                
8
nell’immaginazione collettiva, un posto dove era meglio non trovarsi. 
Rose spiega: 
 
The new ethnic group who made the South Bronx their home in the 1970s, while 
facing social isolation, economic fragility, truncated communication media, and 
shrinking social organizations, began building their own cultural networks, which 
prove to be resilient and responsive in the age of high technology
4
 
 
La società americana aveva ormai condannato questi quartieri, 
ritenendo che tra i suoi immensi “projects” (le case popolari a 
maggioranza di residenti afroamericani) potessero solamente svolgersi 
attività illegali come lo spaccio di droga. Proprio in quelle aree alcune 
minoranze afroamericane e afrocaraibiche  isolate ed escluse dal 
mondo del lavoro, riutilizzavano gli strumenti della tecnologia 
industriale per dar vita ad una nuova cultura e affermare un’identità 
alternativa della propria comunità. 
   Questa cultura è ciò che nel suo insieme è chiamato hip hop e che 
consiste essenzialmente di quattro elementi: “graffiti art” (conosciuta 
anche come “writing”), “break dancing”, “djing”, e l’”emceeing” 
(ossia “recitare rime su una base musicale”, detto anche “rapping”), 
che deriva il suo termine dalla parola “Mc”, ossia “master of 
ceremony” o anche “mic controller”. 
   L’unione dell’arte del “djing” (ossia del disk-jockey che suona i 
dischi con le sue tecniche non ortodosse) con quella dell’“emceeing” 
diede vita a quella che sarebbe stata chiamata musica rap
5
, eseguita 
specialmente ai suoi inizi insieme al “breaking” e ai “graffiti”, nelle 
cosiddette “block parties”, (le feste private nelle case) o nelle feste nei 
parchi. 
                                                 
4
 Tricia Rose, Op.cit., p.34. 
5
 Il calo di popolarità della break dance e della graffiti art nel corso degli anni ha reso 
intercambiabile il termine rap con quello hip hop, che quindi a volte viene utilizzato correntemente 
per indicare anche l’espressione musicale e non solo la forma culturale che la contiene. 
                                                                                                                                
9
   Il pioniere del genere, colui che ha maggiormente influenzato lo 
sviluppo del rap e “leader” incontrastato di queste feste nel Bronx, è 
un dj giamaicano conosciuto col nome di Kool Herc, trasferitosi 
giovanissimo da Kingston a New York agli inizi degli anni settanta. 
Insieme al suo potentissimo impianto preso in prestito dalla tradizione 
dei “sound system” giamaicani, Kool Herc importò quella che poi 
divenne la tecnica base della musica rap:  prendeva due dischi identici, 
rintracciava i “break beats”
6
 e alternandoli continuamente con l’ausilio 
di un “audio mixer”, ne prolungava la durata a suo piacimento, 
riposizionando le puntine dei due giradischi sullo stesso segmento 
scelto. Si formava cosi una base fortemente sincopata attraverso il 
riutilizzo di “break beats” di vecchi dischi per la maggior parte di 
genere “funky” e “rhythm‘n’blues”, sul quale la gente poteva ballare 
ininterrottamente. Lo stesso Kool Herc spiega: 
 
Hip-Hop, the whole chemistry of that came from Jamaica, cause I'm West Indian. 
I was born in Jamaica. I was listening to American music in Jamaica and my 
favourite artist was James Brown. That's who inspired me. A lot of the records I 
played were by James Brown. When I came over here I just had to put it in the 
American style and a drum and bass. So what I did here was go right to the 
"yoke". I cut off all anticipation and played the beats. I'd find out where the break 
in the record was at and prolong it and people would love it. So I was giving them 
their own taste and beat percussion wise. Cause my music is all about heavy bass.
7
 
 
Mentre il dj suonava la musica, recitava anche frasi popolari nel gergo 
del periodo, ad esempio salutando alcune persone che erano presenti 
alla festa, con espressioni del tipo “There goes my mellow Coke La 
Rock in the house, there goes my mellow Clark Kent in the house”, 
provocando la partecipazione del pubblico. Col passar del tempo, le 
tecniche del dj divenivano sempre piu complesse, così egli lasciava il 
                                                 
6
 Il break beat è la parte di una canzone dove la parte ritmica è isolata dagli elementi melodici 
7
 http://www.daveyd.com/interviewkoolherc89.html. 
                                                                                                                                
10
compito di occuparsi del microfono agli “mc”, che elaboravano frasi 
in rima sempre più elaborate per intrattenere la folla.  
  Kool Herc chiese aiuto a due suoi amici, Coke La Rock e Clark 
Kent, formando il primo gruppo rap della storia: Kool Herc and the 
Herculoids. Queste tecniche di “djing” e l’uso degli “mc” si diffusero 
per Harlem, il Queen’s, Brooklin’ e furono perfezionate da personaggi 
ormai leggendari come Grand Master Flash con il suo gruppo Furious 
Five, o Afrika Bambaataa fondatore della “Zulu Nation”, costituita da 
ex membri di bande di strada che egli prese sotto la sua protezione per 
formare un associazione che diffondesse i valori dell’hip hop in tutto 
il mondo.  
   Il rap attecchì così velocemente nel sottosuolo urbano di New York 
e poi in altre città degli Stati Uniti come Los Angeles perché 
consentiva ai giovani delle periferie e dei ghetti di esprimersi 
liberamente, senza aver bisogno di dispendiose risorse o di prendere 
costose lezioni per imparare a suonare. Semplicemente poteva essere 
affinato e praticato in qualunque momento, senza essere inoltre 
un’espressione impiantata ex-novo da altre culture: mischiato agli 
strumenti tecnologici della società americana, il rap era radicato nella 
tradizione vernacolare e musicale afroamericana. Scrive David Toop: 
 
Le radici del rap partono dai griots della Nigeria e del Gambia, attraverso toast, 
signifying e dozens, canzoni dei carcerati e dei soldati, rime per saltare la corda e 
giochi di gruppo, per giungere fino a gruppi doo-wop e a capella, a Mohammed 
Alì e Gil Scott-Heron, ai Last Poets, agli attori di rivista e ballerini di tip tap, a 
Pigmeat Markham e Cab Calloway, ai cantanti bebop, a Bo Diddley, ai disc 
jockey radiofonici, al funk di strada alla disco music. Per quanto entrato nel 
labirinto crepuscolare dei videogame giapponesi e nella fredda elettronica 
europea, le radici del rap sono tuttora le più profonde di tutta la musica afro-
americana contemporanea.
8
 
                                                 
8
 David Toop, Storia di una musica nera, E.D.T. Edizioni di Torino, Torino, 1992, p.6. 
                                                                                                                                
11
   Il rap rimase confinato a livello locale e “underground” fino a 
quando alcune piccole etichette discografiche fiutarono le enormi 
potenzialità che esso poteva avere a livello commerciale. Nel 1979 
l’impresaria Sylvia Robinson della casa discografica “Sugarhill 
records”, incuriosita dalla passione dei propri figli per questa nuova 
“moda” del rap, decise di lanciare il gruppo della Sugarhill Band con 
la canzone “Rapper’s Delight”. La base della canzone era un 
rifacimento di un successo disco
9
 degli Chic, “Good Times” e le sue 
rime, un riciclaggio di versi dei Cold Crush Brothers; alle orecchie dei 
“b-boys”
10
 della scena sotterranea di New York esso suonava alquanto 
artificiale, non avendo nessuna di quelle caratteristiche dei pezzi 
suonati dal vivo dai dj o delle cassette clandestine che si vendevano 
allora. Nonostante questo, il grande pubblico sembrò apprezzare 
l’avvento di questo nuovo genere e ne decretò il successo 
commerciale e internazionale: “Rapper’s Delight” fu il primo brano 
rap ad entrare nella classifica americana dei brani più venduti.
11
 
   Bisognerà aspettare il 1982 per trovare una produzione discografica 
hip hop capace di riprodurre fedelmente gli elementi puri del “djing” e 
del “rapping”: l’album “Adventures on the Wheels of Steel” di Grand 
Master Flash. Scrive Russel A. Potter: 
 
The impact of “Adventures” was immediate and sent everyone in the business 
back to the drawing boards. What Sylvia Robinson and her peers had never 
understood, Flash had realized and put into practice: hip hop was not able to 
record itself until it could sample it own previously recorded selves […]. The 
doubleness implicit when Flash or Bambaataa cut up an old Bob James or James 
                                                 
9
 Genere musicale degli anni Settanta. 
10
 B-Boy significa “Break Boy”, ossia ragazzo ballerino di “Break”; in seguito è andato ad indicare 
chiunque faccia parte dell’ambiente hip-hop. 
11
 David Toop, Op.cit., p.56-60. 
                                                                                                                                
12
Brown track was lost when, in the studio, these aural recyclings were replaced by 
the spiffy, polished-chrome sounds of disco.
12
 
 
   Nello sviluppo del rap, una tappa fondamentale fu l’avvento della 
“drum machine”: un dispositivo audio contenente suoni di batteria 
elettronica, capace di suonare strutture ritmiche con qualità simili a 
quelle dei rullanti, delle grancasse o dei piatti dei vecchi album 
“funk”, “soul” e “rock” della fine degli anni sessanta e dei primi anni 
settanta. Ciò che cambiò ancora una volta il modo in cui l’hip hop era 
prodotto fu l’introduzione del campionatore digitale (“digital 
sampler”), uno strumento che si adattava perfettamente alle esigenze 
dei musicisti rap. Il campionatore, infatti, poteva registrare 
digitalmente e conservare in memoria  piccoli “campioni” di musica 
(campionare) da qualunque uscita esterna quale giradischi, cassetta e 
più tardi, compact disk. I produttori erano cosi finalmente in grado di 
riprodurre il suono che avevano sempre desiderato, lasciando da parte 
quello ancora artificiale delle prime “drum-machine”: essi 
campionavano i suoni di batteria direttamente dai dischi con i quali 
erano cresciuti. Inoltre, cosa importantissima, potevano campionare 
anche chitarre, bassi, fiati, piani e parti melodiche dei brani che 
desideravano, ma anche qualunque tipo di suono o rumore, come una 
sirena della polizia o un discorso politico. Quello che ne derivava è il 
tipico suono spezzettato e sincopato con profondi bassi, grancasse e 
rullanti secchi, contrassegnato da ripetizioni ed elementi di rottura che 
si alternano o coesistono insieme. 
   Anche se la maggior parte dei campioni impiegati appartiene alla 
tradizione musicale afroamericana, la lista dei generi dai quali il rap 
ha prelevato è lunghissima e variegata: quello che conta 
maggiormente non sono le fonti dei prestiti musicali eseguiti, bensì le 
                                                 
12
 Russel A.Potter, Spectacular Vernaculars, Hip Hop and the Politics of Postmodernism, State 
University of New York Press, New York, 1995, p.47. 
                                                                                                                                
13
modalità espressive e le sensibilità culturali attraverso cui si 
assemblano dei frammenti differenti dando vita ad un’opera originale.   
Nel corso degli anni, le tecniche e gli stili adottati dai produttori hip 
hop sono andati differenziandosi, attraverso l’applicazione di tastiere 
elettroniche, strumenti musicali che risuonano il frammento 
campionato, composizioni originali che non utilizzano “campioni” di 
altri dischi. Quello che però rimane immutato è l’atteggiamento del 
musicista rap, come spiegato dai Roots: 
 
Quel famoso break di batteria di Funky Drummer di James Brown, che ha fatto la 
storia della musica degli ultimi quindici anni, i Roots non lo campionano. Lo 
ricreano, lo suonano, lo variano. “E’il nostro biglietto da visita”, dice Thompson, 
“ma è diventato quasi un cliché. Non siamo una live band, siamo un gruppo hip 
hop. Suoniamo dal vivo in studio, ma poi campioniamo le registrazioni”.
13
 
 
Le qualità dei mezzi che si hanno a disposizione per produrre musica 
rap non sono il fattore principale da considerare, bensì è importante il 
modo in cui vengono utilizzati. Ciò è evidente dal seguente brano 
tratto da un’intervista al produttore 9th Wonder, un dj che ha riportato 
in auge le atmosfere dell’hip hop più ruvido e minimale utilizzando 
programmi facilmente utilizzabili con qualunque computer. 
 
Yea. It's like this, you always know that cat that you grew up with or went to 
school with that had the nice ride? They had this they had that. But didn't really 
have to say nothing to no girls, didn't have to develop a personality or talk game? 
I quote, "It's the same way with music." So all these cats that got all this stuff, but 
no feeling of Hip-Hop music in their soul, their music is garbage. On the other 
hand the cats who ain't blessed with all that, as far as equipment, they take what 
they have and flip
14
 it. That's why Pete Rock is the master of the SP 1200, because 
it's 12 seconds of sampling time but he takes that 12 seconds and flips it. You 
know what I'm saying?  So all that big studio and all that that doesn't impress me. 
                                                 
13
 Gianni Santoro, Rap-iti dal successo, in Musica di Repubblica del 1 Luglio 2004. 
14
 Rovesciano, cambiano. 
                                                                                                                                
14
I'm really concerned with what's coming out of it. Your finished result. It's nice to 
have a cool setting, but what's the point of having all that if you can't work it? 
[…]A lot of people came down on me like, why do you use fruity loops
15
? I ain't 
have a choice.
16
 
 
   Mentre la parte musicale, il “beat” diventava sempre più complesso, 
anche la sua controparte vocale andava incontro ad una serie di 
sviluppi che destavano l’attenzione del pubblico e dei media. 
Abbiamo visto che inizialmente gli “mc”, i padroni del microfono, 
avevano il compito di intrattenere gli ascoltatori, introducendo il 
proprio personaggio e recitando rime che invogliassero al 
divertimento. Così accadeva anche nelle prime incisioni per il mercato 
discografico, come ad esempio in questo brano di Kurtis Blow, “The 
Breaks” (1980): 
 
If your woman steps out with another man 
(That's the breaks, that's the breaks) 
And she runs off with him to Japan 
And the IRS says they want to chat 
And you can't explain why you claimed your cat 
And Ma Bell sends you a whopping bill 
With eighteen phone calls to Brazil 
And you borrowed money from the mob 
And yesterday you lost your job 
Well, these are the breaks 
Break it up, break it up, break it up 
Throw your hands up in the sky 
And wave 'em 'round from side to side 
And if you deserve a break tonight 
Somebody say alright!
17
 
 
                                                 
15
 popolare “software” non professionale utilizzato per creare musica. 
16
 www.allhiphop.com 
17
 Kurtis Blow, The Breaks, 1980.