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INTRODUZIONE
Spesso, durante l’osservazione delle campagne pubblicitarie, che
da sempre attirano la mia attenzione, mi sono chiesta quanti messaggi
riuscissero effettivamente a raggiungere i destinatari e, al tempo
stesso, a conseguire gli obiettivi preposti; quale fosse, in sostanza,
l’efficacia della pubblicità.
La mia considerazione nasce da una constatazione abbastanza
evidente: nella società della comunicazione, in cui i cittadini vengono
colpiti ogni giorno da migliaia di stimoli visivi e auditivi, tutti tesi a
stimolarne gli acquisti, si può ancora catturare l’attenzione di chi si
espone in modo piuttosto passivo, sazio e distratto ad un continuo
bombardamento di immagini, suoni e messaggi d’ogni tipo?
Chi di noi, ad esempio, guardando la televisione, non approfitta
della pubblicità per fare zapping o per “sgranocchiare” qualcosa in
frigo?
Alla luce di queste considerazioni ho ritenuto opportuno
approfondire un tema molto spesso trascurato anche dagli esperti del
settore: l’efficacia delle campagne pubblicitarie.
Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, i committenti
investono moltissimo nella fase di realizzazione della pubblicità,
trascurando la fase successiva, quella in cui bisogna verificare se gli
obiettivi prefissati siano stati effettivamente raggiunti.
La conseguenza è che poche campagne, una volta ultimate, sono
sottoposte a tests di verifica.
3
Probabilmente, rimanere nell’incertezza mette d’accordo tutti:
l’azienda che ha investito in pubblicità e l’agenzia che l’ha realizzata.
O forse, semplicemente, si ritiene che nella fase successiva
all’emissione del messaggio pubblicitario sia inutile effettuare delle
verifiche perché ormai il messaggio è già stato realizzato e trasmesso,
e quindi non è più possibile intervenire su di esso. Il risultato è che,
nonostante molte ricerche vengano oggi promosse con lo scopo di fare
un bilancio delle campagne effettuate, si tratta ancora di una prassi
poco consolidata (F. Brigida, P. Di Vesme, L. Francia, 2003).
La letteratura sulla pubblicità è piena di citazioni che rilevano la
difficoltà, o l’impossibilità, di misurare gli effetti della pubblicità,
specialmente sulle vendite. A queste citazioni fa riscontro una lunga
serie di dichiarazioni di ricercatori e di agenzie pubblicitarie, che
assicurano invece di aver finalmente trovato la soluzione al problema.
Questi segnali contraddittori creano nei pubblicitari e nelle loro
agenzie un comprensibile senso di disagio; pertanto, nonostante la
convinzione generale che la valutazione delle campagne pubblicitarie
sia “una buona cosa”, fino ad ora si è fatto poco o nulla in questo
campo (A. Cooper, 2000).
Sicuramente valutare l’efficacia di una campagna pubblicitaria
è un compito abbastanza complesso, ma ancora più difficile è
stabilire gli “effetti” della pubblicità sulle vendite.
Il processo che intercorre tra comunicazione ed acquisto, infatti,
è piuttosto complicato e subisce delle interferenze tali per cui non è
possibile riuscire a tenere sotto controllo tutte le eventuali variabili.
Che fare dunque?
4
Una soluzione potrebbe essere quella di concentrarsi su un
singolo obiettivo prefissato dall’azienda (fatta eccezione per i risultati
ottenuti in termini di vendita) e verificare se esso sia stato
effettivamente raggiunto.
Difatti, se risulta difficile, per le ragioni sopra esposte, valutare
l’efficacia di una campagna pubblicitaria in relazione agli obiettivi di
marketing (e quindi di vendita) dell’azienda, è invece possibile, ed in
molti casi di grande utilità, stabilire l’efficacia della medesima
campagna in relazione agli obiettivi specifici della pubblicità (F.
Attanasio, 2002).
Questi ultimi, in genere, sono formulati in termini di mutamento
riguardo: la notorietà e l’immagine della marca, gli atteggiamenti e i
comportamenti dei consumatori. Per misurare l’efficacia di una
campagna, dunque, bisogna constatare se i mutamenti sperati si siano
effettivamente verificati. A tal fine è di fondamentale importanza
definire con chiarezza, preliminarmente, nel brief e nella copy
strategy, gli obiettivi da perseguire. La loro definizione rappresenta,
infatti, un elemento indispensabile per la determinazione del budget,
per l’elaborazione della campagna pubblicitaria e, in ultima analisi,
per la misurazione dei suoi risultati.
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PARTE I
LA VERIFICA DELLE CAMPAGNE
PUBBLICITARIE
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CAPITOLO 1
L’EFFICACIA DELLE CAMPAGNE
PUBBLICITARIE: ASPETTI GENERALI
1.1 RITARDI E PREGIUDIZI
NELLE RICERCHE SULLA PUBBLICITÀ
“La pubblicità costa. Chi la paga vuol saper quanto rende. E chi
la pianifica e crea vuol sapere se funziona, e come, per imparar a far
meglio la prossima volta”.
1
Valutare l’efficacia della pubblicità è sempre stato, e lo è tuttora,
uno dei principali interrogativi di chi fa pubblicità: conoscere cioè,
così come del resto è prassi per qualsiasi investimento dell’impresa,
qual è il ritorno dell’investimento effettuato.
Nel caso della pubblicità, tuttavia, questi interrogativi sembrano
destinati a restare in larga misura senza risposta, tanto che spesso le
1
P. Feldwick, “La valutazione della campagna”, in Il planning strategico in pubblicità (a
cura di A. Cooper) FrancoAngeli, Milano, 2000, pag. 159.
“E’ il caso di ricordare che l’effetto della maggior parte
della pubblicità è difficile da quantificare quanto, ad
esempio, l’efficacia della preghiera […] La maggior parte
delle iniziative pubblicitarie sono atti di fede e di speranza
nel silenzio della notte; producono così poco, in termini di
risultati specifici quantificabili, da giustificare la nascita di
servizi di misurazione per rassicurare il cliente e
riaccendere una volontà che si sta spegnendo.”
Frank Rowsome, Think Small,
The Story of Volkswagen Advertising (1970)
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imprese sembrano quasi dubitare se si tratti davvero di un
investimento.
“In realtà il problema che l’impresa si pone è quanto la
pubblicità influisca sulle vendite. Formulato in questo modo, anche
se la domanda è assolutamente legittima, difficilmente il quesito potrà
ottenere una risposta esauriente […] I fattori che influenzano le
vendite, infatti, sono innumerevoli, di natura eterogenea e, salvo casi
del tutto eccezionali, è praticamente impossibile isolare l’apporto
della pubblicità”.
2
Pubblicità
Prezzo
Distribuzione
Packaging
Caratteristiche del prodotto
Concorrenza
Gusti del consumatore
Figura 1 – Alcuni fattori che influenzano le vendite.
Fonte in: A. Aaker, J. Myers, Management della pubblicità, FrancoAngeli, Milano, 2001,
pag. 131.
Le mutevoli esigenze e gusti dell’acquirente, la qualità scadente
del prodotto reclamizzato, il prezzo troppo elevato, il packaging, la
distribuzione carente, azioni promozionali o investimenti pubblicitari
della concorrenza, solo per citare alcuni fra i moltissimi fattori che
entrano in gioco, possono annullare qualsiasi effetto di una campagna
pubblicitaria anche ben accolta dal pubblico (A. Aaker e J. Myers,
2001, pag. 131).
2
G. Fabris, La Pubblicità. Teoria e prassi, FrancoAngeli, Milano, 2002, pag. 491.
Vendite
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Sicuramente le vendite rappresentano un significativo parametro
virtuale per valutare gli effetti della pubblicità. Nell’ipotesi di
depurare tutti gli altri fattori che possono influire sull’andamento delle
stesse, sarebbero certamente l’indicatore più efficace a cui ricorrere.
Ma purtroppo, fatta eccezione per alcuni casi particolari (ad esempio
la pubblicità per le vendite per corrispondenza), una situazione in cui è
possibile tenere sotto controllo tutte le eventuali variabili è assai
infrequente, di conseguenza bisogna abbandonare questo criterio di
valutazione.
“L’efficacia della pubblicità, dunque, può essere valutata
soltanto in termini di propensione all’acquisto che questa riesce a
generare: tra la propensione all’acquisto e l’acquisto vero e proprio
intervengono infatti tutta una serie di fattori che sfuggono dal
controllo e dalla portata della pubblicità”.
3
L’aver posto il problema in questi termini, tuttavia, sembra aver
conseguito il risultato opposto, di dissuasione dalla ricerca, quasi fosse
riduttivo l’obiettivo realisticamente posto.
In altre parole, l’impossibilità di rilevare una relazione causale
con le vendite sembra aver scoraggiato gli utenti da qualsiasi serio
tentativo di controllo e di misurazione della pubblicità; tanto che una
vecchia battuta: “so che metà del denaro che spendo in pubblicità è
sprecato, ma non riesco mai a capire di quale metà si tratti”
4
,
continua da decenni a girare tra gli operatori del settore ed, in qualche
modo, a giustificare una rassegnata impotenza nei confronti della
misurazione dei risultati della pubblicità.
3
G. Fabris, La Pubblicità. Teoria e prassi, op. cit. p. 492.
4
V. Meroni, Pianificare la pubblicità, FrancoAngeli, Milano, 2003, p. 251.
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Ciò spiega l’assenza quasi sistematica di risorse destinate ad
indagare in quest’area; non a caso, l’investimento in ricerche sulla
pubblicità – ovvero le ricerche sugli effetti – è praticamente nullo
rispetto alle ricerche per la pubblicità, quelle cioè che consentono di
individuare le conoscenze basilari per la pianificazione di una
campagna pubblicitaria: l’identificazione del target, le sue
caratteristiche socioculturali, le motivazioni/resistenze all’acquisto, le
abitudini di acquisto e di consumo, il vissuto del prodotto e della
marca nei confronti di altri prodotti concorrenti, solo per citare alcuni
esempi.
Constatare che l’impresa, sempre così attenta ad ottimizzare i
suoi investimenti, rinunci a saperne di più sull’efficacia della
pubblicità, non può essere che motivo di sincero stupore, anche perché
la conoscenza reale dei suoi effetti potrebbe generare scelte più
meditate e corrette per il futuro.
Occorre, naturalmente, stabilire in anticipo cosa non si può
chiedere alla ricerca sulla pubblicità (ad esempio la già ricordata
relazione con le vendite) e cosa invece è legittimo chiedere.
E’ assolutamente legittimo, ad esempio, chiedersi se e quanto è
aumentato, come conseguenza dell’investimento pubblicitario, il
goodwill nei confronti del prodotto; se il messaggio che si intendeva
trasmettere è stato recepito ed in che termini; quali sono le aree su cui
intervenire per migliorare l’efficacia della comunicazione (G. Fabris,
2002, pag. 494).
Alle considerazioni appena espresse, vi sono poi tante altre
buone ragioni per saperne di più sull’efficacia della pubblicità: fra le
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tante ne riporterò due che si originano da preoccupazioni
diametralmente opposte.
La prima è il non dare per scontato che la pubblicità sia sempre
efficace: può in certe situazioni non esserlo affatto ed esercitare un
vero e proprio effetto boomerang sulle vendite.
Come ha infatti evidenziato John Philip Jones, uno dei più
autorevoli studiosi attuali degli effetti della pubblicità:
“…il presupposto che sottostà alla maggior parte degli studi
sull’efficacia della pubblicità è che la pubblicità sia efficace: ciò che
appare necessario quindi è soltanto mettere a punto tecniche più
sensibili per misurarne l’efficacia. Stranamente nessuno sembra
interessato alle circostanze in cui la pubblicità non esercita invece
alcun effetto, sebbene un’attendibile analisi di queste circostanze
sarebbe altamente interessante per l’utente che potrebbe eliminare la
pubblicità inefficace ed il denaro risparmiato potrebbe incidere
positivamente sui profitti”.
5
Da un’altra prospettiva, invece, è errato concentrare tutta
l’attenzione solo sulle vendite ed identificare l’efficacia con la
propensione all’acquisto. A tale proposito, recentemente, la letteratura
anglosassone ha mostrato un crescente interesse agli effetti della
pubblicità che non si esauriscono nel breve periodo o nell’atto
d’acquisto. Tale prospettiva del “longer and broader effects” osserva
gli effetti di lungo termine della pubblicità e prende in considerazione
5
J. P. Jones, “Over Promise and Under-Delivery”, in How Advertising Works, Esomar,
Amsterdam, 1991.
11
obiettivi diversi dalle vendite, come ad esempio l’attivazione della
comunicazione interpersonale.
Il grado di notorietà e l’immagine di un prodotto, infatti, possono
anche dipendere da comunicazioni non formali (che si originano in un
lungo periodo di tempo), come il “passaparola” di opinioni e giudizi
degli utilizzatori del prodotto a parenti, amici o conoscenti (Guatri L.,
Vicari S., 1999, pag. 726).
Sembrerà strano, ma spesso le maggiori resistenze, in merito alle
ricerche sulla pubblicità, derivano proprio da chi dovrebbe vedere la
ricerca come un utile strumento di lavoro: i pubblicitari ed, in
particolare modo, i creativi.
Le motivazioni addotte sono molteplici.
Un’accusa frequente, da parte dei creativi, è che molte volte le
ricerche finiscono per trasformarsi in una sorta di idea killer; nel senso
che le campagne più creative, proprio perché più inusuali ed
innovative, potrebbero essere penalizzate, nel corso dei tests, a
vantaggio di soluzioni più banali, più standardizzate, meno creative
(G. Fabris, 2002, p. 496).
Un’ulteriore motivazione, forse meno esplicitata, è la
convinzione dell’inadeguatezza delle ricerche e delle metodologie
impiegate a dare risposte ai quesiti che si rivolgono loro.
Preoccupazione, questa, non del tutto infondata. Per la maggior parte
delle situazioni, infatti, non esiste una soluzione che sia semplice,
esatta ed affidabile, e non esiste una soluzione ugualmente valida per
tutti i casi. Come spesso accade in quest’ambito, invece, vengono
impiegate ricerche rigidamente strutturate anche per spiegare fatti
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creativi che necessiterebbero di approcci e di metodologie altrettanto
creativi.
È assai improbabile inoltre che si riesca a valutare se la
pubblicità consegua i suoi obiettivi se questi ultimi sono sconosciuti a
chi effettua la ricerca, e la misurazione avviene, invece, utilizzando
variabili standard, valide per qualsiasi messaggio e per tutte le
campagne.
Tali critiche, anche se non completamente illegittime, sembrano
tuttavia condizionate da una malintesa e comunque riduttiva
concezione della ricerca sulla pubblicità, percepita come controllo
sull’operato dei pubblicitari, come una sorta di pagella o di giudizio
più o meno sindacabile. Se è certamente innegabile che la ricerca
possa essere utilizzata dai suoi utenti anche a questi fini, è pur vero
che essa può fornire un contributo utile per migliorare la qualità e
l’efficacia della pubblicità (G. Fabris, 2002, p. 497).
I numerosi ricercatori ed esperti che negli ultimi anni hanno
creato differenti metodi di valutazione della pubblicità, ci hanno tutti
lasciato una tecnica utile per un verso o per l’altro. Ciò non significa
che esse rispondono a tutti i problemi, ma di certo rappresentano una
base di partenza da cui poter attingere informazioni e competenze
importanti (A. Cooper, 2000, p. 160).