8
nella composizione della società europea, e quindi,
napoletana
1
.
La rivoluzione dei prezzi aveva provocato un aumento
dei salari, nel regno di Napoli, superiore a quello che si
era avuto in Francia, Inghilterra e Paesi Bassi
2
limitando
per le attività produttive del paese la possibilità di
continuare ad alimentare le esportazioni. Questo nuovo
scenario economico causò una contrazione dei rapporti
commerciali con l’estero. Mentre, per quanto riguarda la
produzione di grano, in questo periodo, si registra una
forte penuria causata dall’incremento demografico. La
pressione fiscale, che dalla seconda metà del sec. XVI era
sempre crescente
3
peggiorò la situazione, che venne resa
più grave dalle due pestilenze del 1630 e 1657 e dalla
legislazione corporativa che, come per l’industria dei
filati e dei tessuti di seta, impediva una modifica della
produzione e dei relativi costi, provocandone la
decadenza
3
. L’aumento dei prezzi delle derrate agricole
1
G. Coniglio, Il Viceregno di Napoli nel secolo XVII, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1955, pag. 13.
2
F. Braudel, La Méditerranée e imperi et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II, Parigi, 1949, pp. 407-408;
edizione italiana: Civiltà del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino,1953.
3
C. M. Cipolla, The decline of Italy - The case of a fully matured economy, in “The economic History Review”, II
serie, vol. V,( 1952), pp. 178-187.
9
incrementò la concorrenza nei mercati di sbocco da parte
dei mercanti Inglesi, Francesi ed Olandesi a danno dei
produttori napoletani.
4
Infatti, come ci fa notare il Cipolla
5
,inquesto
periodo il porto libero di Livorno è soggetto ad uno
straordinario sviluppo grazie all’intensificarsi degli
scambi commerciali dei mercanti inglesi nel Mediterraneo,
tutto questo a danno, naturalmente, della marina mercantile
e del commercio italiano. Questo nuovo scenario economico
causò la decadenza, nel Napoletano, della borghesia
mercantilistica e le nuove classi sociali emergenti si
identificavano nei ceti intellettuali e burocratici, cioè
erano costituite da legali ed alti funzionari, mentre
l’alta finanza era nelle mani dagli arredatori,
capitalisti, appaltatori e speculatori sugli anticipi e le
forniture statali.
6
Il motivo fondamentale per cui il
Mezzogiorno, tra il XVI e XVII secolo, non si sviluppò
economicamente come il resto d’Europa fu proprio la mancata
maturazione di forze e gruppi economici in grado di
4
C. M. Cipolla, op. cit., p. 186.
5
vedi C.M. Cipolla, op. cit.
6
G. Coniglio, op. cit., p. 14
10
assumere una parte da protagonista diretta nella nuova
scena economica internazionale. Il Mezzogiorno resta
l’ambito esclusivo della attività dei mercanti indigeni; e
alla intensità degli sviluppi sociali interni di uno dei
periodi della storia meridionale caratterizzato da maggior
dinamismo corrisponde il permanere dell’assenza di mercanti
e gruppi finanziari nel Mezzogiorno ai grandi livelli
dell’economia internazionale.
Nella seconda metà del secolo XVI, specialmente nei
paesi italiani sotto il dominio spagnolo, per impulso di
Filippo II, si consolidò l’ossatura burocratica dello
stato. Infatti le innovazioni, iniziate sotto Alfonso il
Magnanimo nella metà del secolo XV, furono proseguite
durante il periodo spagnolo con una logica che era
fondamentalmente la stessa. Si trattava di assicurare una
presenza costante e diffusa dei funzionari pubblici nelle
province. Gli organi centrali del Regno - il Consiglio
Collaterale, la Camera della Sommaria, il Tribunale della
Vicaria, ecc. - videro crescere in misura ragguardevole il
11
numero e l’organico dei loro uffici
7
. In particolare tutte
quelle funzioni pubbliche, che in precedenza erano state
la più importante prerogativa feudale, vennero in mano ad
individui che, in genere, non avevano alcuna nobiltà di
sangue.
Lentamente si diffuse la tendenza agli studi giuridici
ed alla carriera impiegatizia considerati altamente
remunerativi. Vi furono, però, pochi capi, molti subalterni
e moltissimo personale d’ordine (valletti, uscieri, et.).
Infatti, negli uffici, affluì, accanto a pochi alti
personaggi, una turba di individui di umile condizione. Si
trattava, dunque, in prevalenza di persone che, sia nel
campo economico, sia in un ufficio, avrebbero dovuto sempre
accontentarsi di un salario, con la differenza che la magra
retribuzione data da un privato era destinata a restar
tale, mentre quanto si percepiva dallo stato era di regola
un’infima parte di quello che rendevano le varie tangenti,
mance e ruberie, di cui si ha notizia dettagliata nelle
carte del tempo. Così i vari uffici, che l’instancabile
attività creatrice di Filippo II e dei suoi imitatori fece
7
G. Galasso, Alla periferia dell’impero, Torino, 1994, Einaudi editore, pp. 25-193.
12
prosperare in Europa, trovarono numerosi acquirenti che
furono ben lieti di versare al governo quanto veniva
richiesto per potervisi insediare. Acquistare un impiego
statale equivaleva, in pratica, ad un ottimo investimento.
Gli illeciti profitti di alti e bassi impiegati sono
dimostrati dalle inchieste che i visitatori generali
inviati da Madrid, compivano nei vari paesi del regno.
Notevole era il disordine amministrativo che regnava
nell’Italia meridionale. Però è importante notare che non
ci troviamo ad una forma di sfruttamento praticato ai danni
di classi umili, ma soltanto ad una burocrazia corrotta, a
tutti i livelli, afflitta da grame retribuzioni, che
cercava di trarre dal proprio ufficio il massimo
rendimento, anche per recuperare il capitale, investito per
venirne in possesso
8
.
La politica spagnola verso i vari ceti si identifica
in un appoggio alle classi più umili e nell’ostilità verso
i nobili. I rapporti tra viceré e nobiltà non furono
8
G. Coniglio, op. cit., pp.14 - 15
13
affatto buoni
9
. Questi si adattavano malvolentieri a subire
l’autorità vicereale e mentre erano formalmente ossequienti
verso il lontano sovrano, ne disprezzavano il
rappresentante diretto e cercavano di rendergli, nei limiti
del possibile, la vita difficile protestando contro di lui
a Madrid per ogni inezia. In ciò non bisogna vedere uno
spirito di fierezza nei riguardi di un rappresentante di
uno stato straniero. Era solo un atavico sentimento di
anarchia o la difesa di privilegi ed abusi che il viceré
cercava di far scomparire
10
. Per altro quegli stessi nobili
militavano, ed a volte valorosamente, negli eserciti
spagnoli e consideravano il re loro legittimo signore.
Sotto questo aspetto vanno visti i rapporti tra viceré
e nobiltà e vanno inquadrati i due avvenimenti di rilievo
in cui si manifestò clamorosamente quest’ostilità: la lotta
contro l’Ossuma nel 1620 e la rivolta di Masaniello. In
questi ultimi avvenimenti, però, ebbe parte anche la
propaganda francese, che durante la guerra dei trent’anni
fu particolarmente attiva nel regno.
9
Malgrado sia ostile agli Spagnoli F.P. Cestaro, Studi storici e letterari, Torino, 1894, I, pp. 37-38, riconosce che il
governo spagnolo colpì duramente i feudatari.
14
L’ordine pubblico nelle province veniva turbato da
banditi e fuoriusciti, specie nelle zone di confine. Le
incursioni di bande armate, talvolta, erano in relazione
con gli avvenimenti internazionali, come nel 1592, quando i
Veneziani ed il Granduca di Toscana, legati alla Francia,
introducevano per mare gruppi di saccheggiatori. Non vi era
allora un’organizzazione di polizia statale, le
amministrazioni comunali non sempre riuscivano a curare
tale servizio pubblico ed il paese era infestato dai
banditi. Di scarsa utilità furono gli episodi di severa
repressione da parte delle autorità centrali, che, ove
l’amministrazione locale si rilevava inefficiente,
intervenivano direttamente. Talvolta, era il feudatario che
interveniva in difesa dei suoi vassalli, come avvenne nel
luglio 1640, quando Michele Blanch, signore di
Campolattaro, ricorse al viceré contro l’università di
Pontelandolfo, che commetteva usurpazioni e violenze contro
gli abitanti di Campolattaro. “et vanno scorrendo con una
10
C. Morandi, Partiti politici a Napoli durante la guerra di successione spagnola, in Rivista storica italiana, IV (1939),
p. 565.
15
squadra di cent’homini tutta la campagna, bigliandose tutte
le vittuaglie che si sono ritrovate mature, facendo secare
l’altre e pascolare li loro animali, tenendo per tutto
guardie de gente armate”.
11
La situazione napoletana era, dunque, caratterizzata
dalla debolezza del potere centrale e dalla crisi
finanziaria e di politica internazionale spagnola. Il
bisogno di danaro costrinse a cedere le entrate ai vari
finanziatori, specie Genovesi, che si impadronirono di
tutte le migliori fonti di ricchezza del paese. Il
commercio di esportazione passò nelle loro mani, con
l’alienazione in loro favore dei diritti di tratta; i feudi
più ricchi furono da loro acquistati per cercare di
recuperare le somme anticipate. Controllavano, inoltre,
anche l’attività bancaria del regno. Vero è che molti si
stabilivano a Napoli e vi lasciarono il danaro guadagnato,
ma gli effetti del passaggio in loro possesso della
proprietà terriera furono dannosi per un altro motivo.
Mercanti e non agricoltori, impegnati in affari nella
11
G. Coniglio, op. cit., pp. 16-19
16
capitale, amministravano le loro terre per mezzo dei
fattori; al desiderio di guadagno, che li spingeva a trarre
il maggior profitto dai capitali, si aggiungevano le
ruberie dei loro rappresentanti. Questo era un elemento
gravissimo che si aggiungeva alle continue ruberie
effettuate dagli amministratori comunali e dalla
delinquenza appoggiata dai baroni. Invano si esercitavano i
rigori della legge contro i gruppi di banditi, quando era
ben noto che, specie nelle corti baronali, si poteva
effettuare qualsiasi delitto con denaro, quando non se ne
otteneva l’impunità, commettendone altri agli ordini di
feudatari.
12
Infine, i diritti di decima sulle produzioni
del suolo, le riserve, le varie privative di molino, forno,
trappeto, gli abusi, invano combattuti nelle prammatiche,
le pretese di molti feudatari e dei loro rappresentanti di
acquistare a prezzo di imperio le derrate agricole dei loro
vassalli, i mille impedimenti al libero traffico delle
merci, con dazi e pedaggi, non davano certo le condizioni
ideali per il progresso economico del paese. Il governo
dipendeva dai finanziatori della corona, gli arredatori,
12
D. Winspeare, Storia degli abusi feudali, Napoli, (1883), pp. 20-36
17
che erano coloro che tartassavano le popolazioni con
l’invio di un gran numero di commissari ed esattori. Questi
cercavano di riscuotere le imposte, pagate al governo per
circa un terzo. Ma i capitalisti non incassavano l’intero,
perché gli agenti esattoriali cercavano di fare i loro
affari, concedendo proroghe alle università, mentre la
burocrazia della capitale abbuonava debiti di arretrati,
come quote inesigibili, dietro congruo compenso. Ma queste
transazioni non erano a vantaggio delle popolazioni, che
pagavano effettivamente quanto dovevano. Ne traevano,
invece, profitto gli amministratori comunali. La base,
quindi, pagava e talvolta versava più di quanto avrebbe
dovuto, per le imposizioni indebite, le estorsioni degli
esattori ed i compensi ai loro agenti. Le contribuzioni
erano, poi, esatte con metodi violenti e briganteschi, come
sequestro di bestiame, derrate e merci, quando non si
cercava di arrotondarle con compensi, richiesti per
restituire quanto era stato sequestrato, pur dopo che erano
state pagate le imposte. Il governo centrale ben poco
riceveva di quanto non aveva già alienato, ma non poteva
18
reagire, perché il bisogno di denaro gli rendeva utilissime
quelle anticipazioni che pagava a sì caro prezzo
13
.
In questo quadro va vista la politica spagnola nel
regno di Napoli. I suoi risultati furono negativi, perché
non poté migliorarne le condizioni né economiche né
sociali, ma se si tiene conto delle difficili circostanze
in cui lottò contro avversari forti e potenti, delle spese
sostenute per porre un argine al pericolo turco, si dovrà
concludere che la pace goduta dal paese per circa un secolo
e mezzo, non fu un piccolo vantaggio, in confronto al
prezzo pagato per essa. Durante questo lungo periodo di
pace poterono migliorare pian piano i costumi e la cultura
generale del paese. Inoltre, nella seconda metà del secolo
XVII, si ebbe una classe forense di fama europea, che
tutelò fieramente i diritti dello stato nei confronti della
Chiesa, che rappresentò indubbiamente una affermazione di
coscienza civile ed un notevole progresso. Infine,
l’assolutismo Spagnolo, in un’atmosfera europea affatto
cambiata e con forze poderose a sua disposizione, non solo
13
G. Coniglio, op. cit., pp. 20-21
19
spazzo gli argini costituzionali che riteneva potessero
essergli di ostacolo (come ad esempio, i Parlamenti, non
più convocati dal 1642) ma svolse alle origini un’azione
indubbiamente salutare per il paese. Intensificando,
difatti, il moto centripeto su quello centrifugo, fiaccò il
grosso baronaggio, svuotò privilegi, ferì particolarismi,
procurò la tranquillità interna ed esterna, riuscì,
insomma, a soddisfare molte esigenze che, invano, i governi
nazionali precedenti seppero, per incapacità o impotenza,
assolvere
14
. Furono questi i lati positivi del dominio
spagnolo nell’Italia meridionale.
15
La vita del paese non subì mutamenti nemmeno dal punto
di vista economico e, come scrive il Luzzato, è eccessivo
considerare “i due secoli, o poco meno, del dominio
spagnolo, come il periodo della rapida e totale
liquidazione”
16
dell’economia del regno. Certo la
tassazione fu inasprita in misura notevole, ma questo lato
negativo fu compensato da altri fattori positivi, mentre la
decadenza dell’economia italiana in genere, e non soltanto
14
E. Pontieri, Il riformismo borbonico nella Sicilia del sette e dell’ottocento, Roma, (1945), pp.10-11.
15
Per un giudizio equilibrati ed acuto sull’opera della Spagna a Napoli vedi B. Croce, Storia del regno di Napoli, Bari,
(1925).
20
dei paesi governati dalla Spagna era dovuta ad altre cause,
quelle stesse che posero le potenze marittime occidentali
in posizioni particolarmente vantaggiose
17
. Proprio il
confronto con queste ultime, porta a definire le condizioni
dei paesi del Mediterraneo stazionarie. Il fenomeno di
Livorno rappresenta uno di quei casi particolari che
dimostrano appunto l’evoluzione economica dell’Europa del
tempo che, determinando un mutamento nelle tradizionali vie
commerciali del Mediterraneo, crea la fortuna di nuovi
paesi che vi si possono inserire vantaggiosamente
18
.
1.2. Popolazione e risorse: inversione di un rapporto
La popolazione del regno di Napoli nei due secoli di
governo spagnolo subì un costante incremento (vedi tabella
A), mentre la produzione restò stazionaria.
16
G. Luzzato, Storia economica dell’età moderna e contemporanea, I, Padova, (1938), p. 112.
17
G. Luzzato, op. cit., p. 118
21
La città di Napoli, poi, era eccessivamente popolata
rispetto al resto del paese (vedi tabella B). Motivi
d’indole diversa avevano contribuito al suo accrescimento
provocando un forte afflusso di popolazione dalle campagne:
in particolare le opere pubbliche del viceré don Pietro di
Toledo, nella prima metà del secolo XVI. Complicava sempre
più il problema, il forte incremento demografico che si
verificò nel secolo XVI un po' in tutto il bacino del
Mediterraneo. Le due tabelle che seguono, mostrano come,
nell’arco di circa quindici anni, la popolazione del Regno
subisca un incremento quasi doppio, inoltre, la tabella B
mette in risalto l’incremento più che doppio avvenuto nella
città di Napoli
19
.
TABELLA4-LAPOPOLAZIONEANAPOLIENELREGNONELXVISECOLO
B
18
vedi G. Coniglio, op. cit., 20-24.
19
Le cifre sono tratte dal Coniglio (op. cit.) e nell’insieme dimostrano la tendenza all’accrescimento, malgrado le varie
morie e pestilenze che influirono in maniera moderata. Tra i disastri e le sciagure che influenzarono, sia pure
indirettamente, l’andamento demografico dell’Italia meridionale, vanno segnalati i terremoti.
22
NAPOLI (regno) Napoli (città e casali)
Anno Fuochi Anime Anno Anime
1547 245000 1225000 1528 167-68000
1561 475727 2378635 1547 245000
Le popolazioni rivierasche d’Italia diminuirono
alquanto solo dopo la grande pestilenza del 1630. Ma i
vuoti furono presto colmati, ed il fenomeno ebbe soltanto
un’influenza rallentatrice
20
. Le indicazioni frammentarie
per le popolazioni delle città d’Italia presentano tutte un
ritmo crescente, ma sono un po' distanziate nel tempo e
bisogna tener conto di numerosi avvenimenti che influirono
in modo sensibile, come la peste, che ebbe non poca
influenza sulle continue flessioni.
Nel regno di Napoli, nei primi dieci anni del XVII
secolo, la popolazione era più che raddoppiata
21
.In
genere, nei paesi del Mediterraneo, la popolazione crebbe
mentre le risorse non crescevano allo stesso modo
22
,
all’interno l’accrescimento, invece, era più lento, anche
se costante. Senza voler forzare le indicazioni più
20
F. Braudel, op. cit., pp. 353-358
21
G. Coniglio, op. cit., pp. 22-23.
22
F. Braudel, op. cit., p. 359.