4
Introduzione 
 
Nei contesti in cui una concorrenza sempre più accentuata rende più difficile per le imprese la 
differenziazione e il conseguimento di un vantaggio competitivo, diventa necessario adottare un 
orientamento strategico capace di rispondere efficacemente alla complessità e ai sempre più rapidi 
mutamenti del mercato. Non stupisce quindi che la ricerca di un posizionamento distintivo capace 
di garantire un vantaggio competitivo nel tempo si basi sempre di più sulla creazione e sul 
mantenimento di relazioni, in particolare con i propri clienti, finalizzate da un lato alla raccolta di 
informazioni, dall’altro alla ricerca di quella flessibilità che consente all’impresa di migliorare la 
propria capacità di risposta ai cambiamenti inattesi. 
Perseguendo questo obiettivo l'impresa sarà in grado di offrire dei vantaggi per il cliente che siano 
veramente distintivi e quindi difficilmente imitabili dalla concorrenza. Il punto di partenza per la 
creazione di tali flussi di informazioni è l’instaurazione di una relazione con la clientela in cui 
l’ottica non sia più rivolta alla singola transazione di vendita, ma alla gestione di un rapporto a 
lungo termine. 
L'orientamento alla customer loyalty (fedeltà del cliente) presuppone l’impegno dell'impresa 
nell'avviare e consolidare il maggior numero di relazioni possibili con i consumatori, acquisiti e 
potenziali. 
Grazie al circolo virtuoso che esiste tra sviluppo della relazione e atteggiamenti di fedeltà, si 
possono stabilizzare le relazioni cliente-impresa e ottenere due fondamentali vantaggi: dal lato del 
cliente un accrescimento della fiducia, e quindi della fedeltà, dal lato dell'impresa un accrescimento 
della conoscenza, del valore della propria proposta e quindi della redditività.  
Partendo da queste premesse analizzeremo come, adottando un orientamento focalizzato sulle 
relazioni con i clienti e sulla loro conseguente fidelizzazione, l'accorciamento della filiera 
distributiva  in tutte le sue forme possa assumere un ruolo cruciale di tramite tra produzione e 
consumo, finalizzato in ultimo luogo alla fidelizzazione del cliente al proprio prodotto. 
Nel primo capitolo del lavoro qui presentato, andremo a dimostrare come, nel corso degli anni, il 
comportamento dei consumatori sia evoluto e cambiato profondamente. Da un acquisto basato solo 
sulla ricerca del prezzo più basso si è infatti passati ad una modalità di acquisto più riflessiva, dove 
la qualità del prodotto e le tecniche impiegate per la sua produzione, assumono un ruolo 
predominante nella scelta dell’acquirente. L’esigenza di avere un rapporto più diretto col 
produttore, porta ad una riduzione della filiera distributiva e al nascere di un rapporto diretto tra 
colui che produce e colui che acquista. Si inizierà allora a parlare di “circuiti brevi”, dove il numero 
 5
degli intermediari sarà ridotto al minimo; di questi canali di vendita “brevi” verranno poi esposte le 
possibili configurazioni esistenti e verranno presentati esempi di queste realtà nel mondo. 
Nel secondo capitolo invece, l’attenzione verrà ristretta al caso Italiano, dove verranno descritte in 
maniera più specifica e dettagliata le diverse forme di filiera corta presenti. Ognuna di queste verrà 
studiata elencandone le principali caratteristiche ed evidenziandone le modalità di attuazione. Il 
capitolo si concluderà con l’elencazione dei principali vantaggi che l’accorciamento della filiera 
distributiva comporta, sia per il cliente finale che per il produttore. 
Nel terzo capitolo verrà approfondita invece la realtà dei gruppi d’acquisto, una tipologia di filiera 
corta che acquista sempre più importanza e rilievo in Italia.  Ne verranno enunciate tutte le possibili 
modalità di organizzazione e i criteri secondo i quali effettuano le loro scelte. Verrà posta 
particolare attenzione sulle modalità di scelta dei prodotti e dei produttori che questa forma di filiera 
adotta e per rendere maggiormente l’idea, verranno presentate reali testimonianze espresse da questi 
gruppi, raccolte in tutta Italia. 
Nel quarto capitolo lo studio della filiera corta verrà concentrato sul settore biologico, che per sue 
caratteristiche proprie, ben si presta ad una commercializzazione di questo tipo. Verranno descritte 
le diverse tipologie di vendita ponendo maggiore attenzione su nuove forme innovative di vendita 
diretta sviluppatesi al suo interno. 
Col quinto capitolo verranno presentati diversi casi applicativi di studio, casi in cui sarà possibile 
avere un riscontro reale delle tecniche descritte precedentemente. Verranno menzionati vantaggi e 
svantaggi di ogni tipologia di vendita analizzata per poi giungere al sesto e conclusivo capitolo in 
cui a fronte dello studio precedentemente svolto, si trarranno le conclusioni finali sulla filiera corta 
nella sua generalità e come mezzo di sviluppo e affermazione per i piccoli produttori e le piccole 
medie imprese. 
 6
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
I  
CAPITOLO  
 
IL PUNTO DI INCONTRO TRA PRODUTTORE E   
CONSUMATORE, LE  “SHORT SUPPLY CHAIN” 
 7
1.1 Il graduale cambiamento dei bisogni del consumatore nel settore alimentare 
 
L’evoluzione della società e i cambiamenti nelle esigenze dei consumatori si riflettono da sempre 
nei consumi alimentari. Negli anni recenti, i consumatori hanno dimostrato una fiducia 
incondizionata nei confronti del modello di prodotto standardizzato. Nel settore agroalimentare il 
prodotto standardizzato costituiva una garanzia di qualità, dovuta alle caratteristiche del prodotto, 
sempre ugualmente riprodotte, e alla percezione di controllo e sicurezza igienico sanitaria.  
Tale modello, per la sua capacità di adattarsi a ritmi sempre più veloci nel contesto domestico,  ha 
avuto una grande diffusione per esempio tramite l’affermazione sul mercato di prodotti alimentari 
integrati da numerosi servizi (tra i più semplici ad esempio: i prodotti precotti, pre-lavati, ecc..). 
Tuttavia, nel corso anni Novanta, tale modello ha subito una battuta d’arresto dovuta ad una perdita 
di validità di fronte a fenomeni gravi e ripetitivi.  
La fiducia dei consumatori nei confronti del mondo della produzione industriale e dei suoi prodotti 
standardizzati è stata messa in discussione, prima, dallo scandalo della BSE
1
, e successivamente da 
una serie di altri eventi che hanno amplificato la situazione di allarme, come il ritrovamento di 
residui di Diossina nel latte vaccino (oltre che nei prodotti avicoli) e la diffusione dell’Influenza 
aviaria
2
.  
Questi fenomeni, tra cui va annoverato anche il dibattito sugli Organismi Geneticamente Modificati 
(OGM), hanno causato un forte sentimento di sfiducia e disaffezione nei confronti del sistema 
produttivo agroalimentare tra i consumatori più attenti.  
Pertanto, nel tentativo di trovare una soluzione efficace a tale problematica, nel corso degli anni 
Novanta sono stati introdotti alcuni strumenti di garanzia, come  i marchi di DOP, IGP e STG, che 
certificassero la provenienza e il rispetto di alcuni standard di produzione, segnalandoli come 
                                                 
1
 BSE significa letteralmente: Bovine Spongiform Encephalopathy, ma la malattia è universalmente nota come “morbo 
della mucca pazza”. Si tratta di una malattia del gruppo delle Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili (TSE), o malattie 
da prioni, che colpisce prevalentemente bovini, ed è causata da un agente infettivo non convenzionale: è ormai 
generalmente accettato che questo agente infettivo non sia un virus, bensì una proteina modificata rispetto alla forma 
“non patologica”, definita “prione”. Fonte: http://www.epicentro.iss.it/problemi/bse/bse.asp. Ultimo accesso in data 
12/10/07 
2
 L’influenza aviaria è una infezione dei volatili causata da virus influenzali del tipo A; essa può interessare tanto 
uccelli selvatici quanto volatili domestici come polli, tacchini, anatre, causando molto spesso una malattia in forma 
grave e anche la morte dell’animale colpito. L’uomo può infettarsi con virus dell’influenza aviaria a seguito di contatti 
diretti con animali infetti, e/o con le loro deiezioni, mentre non c'è alcuna evidenza di trasmissione attraverso il 
consumo di carni avicole o uova dopo la cottura Dal 1997 si sono verificati alcuni episodi documentati di influenza da 
virus aviario nell’uomo. L’attenzione posta dai mezzi di comunicazione ha contribuito ad allarmare i consumatori, con 
una conseguente diminuzione della vendita di prodotti avicoli.  
Fonte:http://www.ministerosalute.it/ccm/ccmDettaglioMalattie.jsp?id=11&label=malattieaviaria&men=inf&lingua=ital
iano. Ultimo accesso in 12/10/07. 
 8
rispettosi della tradizione ed espressione della cultura e delle risorse locali
3
. L’obiettivo di tali 
strumenti di garanzia è quello di cercare di compensare la distanza, avvertita dai consumatori, tra se 
stessi e il comparto produttivo, e la conseguente sensazione di impotenza nell’osservare e verificare 
direttamente il rispetto di determinate caratteristiche nella produzione dei prodotti agroalimentari.  
Nello specifico, la denominazione d'Origine Protetta viene concessa a prodotti la cui lavorazione 
viene eseguita entro i confini di una determinata area geografica, seguendo procedimenti 
riconosciuti e costantemente controllati. La produzione e la provenienza sono infatti oggetto di 
costante monitoraggio, in modo che il consumatore sappia cosa compra e da dove arriva il prodotto 
acquistato. L'Unione Europea possiede un ruolo attivo e fondamentale in tale contesto, provvedendo 
a fornire appositi loghi che ampliano la riconoscibilità del prodotto e ne garantiscono l'autenticità,  
riconoscendo, per esempio, il diritto di applicare il logo DOC esclusivamente a prodotti di alta 
qualità
4
.  
Le Indicazioni Geografiche invece sono riconoscimenti assegnati ai prodotti agricoli e alimentari le 
cui produzioni e/o trasformazioni e/o elaborazioni avvengono in un'area geografica determinata e le 
cui qualità, reputazione o un'altra caratteristica possono essere attribuite all'origine geografica 
comprensiva dei suoi fattori naturali e umani. 
L’istituzione di questi marchi, con la promulgazione del Regolamento 2081/92 (relativo alla 
protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed 
alimentari), è stata preceduta dalla normativa sul metodo di produzione biologica, il Regolamento 
2092/91 (Regolamento del Consiglio relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli 
e alla indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari).  
Nonostante tali manovre e provvedimenti abbiano attribuito a certi prodotti rispetto ad altri una 
particolare visibilità sul mercato e nonostante i marchi funzionino come indicatori oggettivi di 
qualità, localizzazione e fiducia, per alcuni consumatori non sono più sufficienti tali interventi da 
parte delle strutture semi-governative. Se per molti decenni questo sistema è stato in grado di 
                                                 
3
 DOP:Denominazione d'Origine Protetta identifica la denominazione di un prodotto la cui produzione, trasformazione 
ed elaborazione devono aver luogo in un'area geografica determinata e caratterizzata da una perizia riconosciuta e 
constatata. 
IGP: Indicazione Geografica Protetta, il legame con il territorio è presente in almeno uno degli stadi della produzione, 
della trasformazione o dell'elaborazione del prodotto. Inoltre, il prodotto gode di una certa fama.  
STG:Specialità Tradizionale Garantita, non fa riferimento ad un'origine ma ha per oggetto quello di valorizzare una 
composizione tradizionale del prodotto o un metodo di produzione tradizionale.   
Fonte: http://ec.europa.eu/agriculture/foodqual/quali1_it.htm. Ultimo accesso in data 12/10/07.  
4
 Con il Regolamento della Commissione europea n. 1726/98 la UE ha adottato un nuovo logo comunitario per 
identificare i prodotti agricoli ed alimentari i cui nomi sono stati registrati con la Denominazione di origine protetta 
(DOP), di Indicazione geografica (IGP) o Specialità tradizionale garantita (STG). Questi loghi sono stati realizzati in 
tutte le lingue e la grafica, identica per le tre denominazioni, si ispira alle dodici stelle che costituiscono il simbolo 
dell'Unione europea e mantiene i colori giallo e blu propri dell'Europa. 
Fonte:http://ec.europa.eu/agriculture/foodqual/quali1_it.htm. Ultimo accesso in data 12/10/07. 
 
 9
rassicurare i consumatori, in questo momento la crisi delle produzioni agroalimentari, sembra essere 
diventata ancora più profonda, al punto che neppure il sistema dei marchi istituzionali sembra 
essere in grado di resistere all’ondata di sfiducia che ha travolto l’intero sistema produttivo 
agroalimentare. 
D’altra parte è opportuno sottolineare che in questi ultimi anni il concetto di qualità ha assunto 
caratteristiche diverse, non più riconducibili a parametri scientifici o codici, ma che si esprimono 
tramite il contatto col mondo della produzione, dove, tramite un controllo e una conoscenza diretti, 
il consumatore può trovare le risposte e la sicurezza di cui necessita. 
Il comportamento attuale dei consumatori non è riconducibile solamente alla soddisfazione di un 
bisogno, ma la complessità di tale atteggiamento è dovuta piuttosto a motivazioni di tipo sociale, 
etnico e politico. Si rendono necessari nuovi modelli di produzione e distribuzione dei prodotti 
(quelli alimentari ne sono un chiaro esempio), che si pongano in contrapposizione al mercato 
tradizionale e che si sviluppino in base alla necessità di creare relazioni tra i metodi produttivi e i 
consumatori, dove il profitto non è più il solo, o il principale, obiettivo da perseguire. 
Questi modelli di produzione orientati verso le nuove esigenze dei consumatori, più attenti alla 
qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari, impongono ai produttori la ricerca di strategie 
che permettano l’avvicinamento del mondo della produzione con quello del consumo, un 
avvicinamento che si appresta ad essere decisivo nella creazione delle relazioni di fiducia.  
 
 
1.2 La nascita di nuovi rapporti tra produttori e consumatori: i circuiti brevi.  
 
Gli ultimi anni sono stati caratterizzati dallo svilupparsi di nuove forme di contatto con il mondo del 
consumo basate sull’adozione di tecniche culturali alternative che hanno creato nuove sfide e nuove 
possibilità di sviluppo. Il modello produttivistico dominante negli anni della Rivoluzione Verde
5
 e 
basato sulla massimizzazione delle rese, attraverso l’impiego massiccio di input esterni all’azienda, 
se pur inizialmente era stato visto come un successo senza precedenti, in quanto all’aumento della 
popolazione e della richiesta di cibo corrispondeva la crescita degli approvvigionamenti alimentari e 
una variazione pressoché nulla dei prezzi degli alimenti, ben presto si fece pagare a caro prezzo. Se 
da un lato infatti la scienza moderna, tramite nuove tecniche di produzione, era stata in grado di 
incrementare vertiginosamente la produzione alimentare, dall’altro lato si assistette ad una notevole 
riduzione delle biodiversità agricole. Infatti, la scelta dei contadini di piantare nuove varietà 
                                                 
5
 Rivoluzione verde è un termine usato per descrivere un vertiginoso boom della produttività agricola nel mondo in via 
di sviluppo tra il 1960 e il 1990. Fonte: http://www.fao.org/ragazzi/cibo-verde_it.html. Ultimo accesso in data: 
15/10/07. 
 10
migliorate e di allevare nuove razze di bestiame provocò l’abbandono e l’estinzione di molte varietà 
locali e tradizionali. Inoltre l’uso massiccio di pesticidi e altri prodotti chimici ben presto provocò 
un serio degrado ambientale, comportando l’aumento dei costi di produzione e la saturazione del 
mercato. Se a questo poi aggiungiamo che le tecniche agricole legate alla Rivoluzione Verde hanno 
richiesto una massiccia irrigazione intaccando seriamente le risorse idriche mondiali, e che risultava 
sempre più difficile per le piccole aziende introdursi nel mercato tradizionale a seguito degli elevati 
standard di produzione richiesti, sia in termini di dimensione che in termini di varietà e omogeneità 
dei prodotti, la situazione non poté che peggiorare.  
Per risolvere questa crisi, è stata proposta a livello europeo, una soluzione normativa, che ha 
corretto gli obbiettivi delle precedenti Politiche Agricole Comunitarie
6
 (PAC) dirigendole verso una 
diversa concezione dell’imprenditore agricolo, visto non solo come produttore di beni, ma anche 
come soggetto capace di esternalizzare servizi, specialmente concernenti il mantenimento e la 
custodia del territorio e delle tradizioni. 
A partire dalla riforma McSharry, dai grandi contenuti innovativi, che prevedeva una importante 
(mediamente del 33%) riduzione dei prezzi agricoli per renderli più competitivi sui mercati interni e 
mondiali e l’introduzione di aiuti per compensare le perdite di reddito subite dagli agricoltori (aiuti 
compensativi) e per stimolare la protezione dell'ambiente (misure di accompagnamento), vengono 
quindi gettate le basi per orientare l’agricoltura al mercato e disaccoppiare gli aiuti, concetti poi 
ripresi con la riforma Agenda 2000. 
Con Agenda 2000
7
 all’agricoltura viene riconosciuto, oltre alla funzione produttiva, il contributo 
nella conservazione del paesaggio, nella protezione dell’ambiente, della qualità e della sicurezza dei 
prodotti alimentari e del benessere degli animali. Viene introdotto il concetto di multifunzionalità e 
gettate le basi per lo sviluppo di un'agricoltura sostenibile e concorrenziale. 
Le parole chiave di Agenda 2000 sono: 
                                                 
6
 Gli scopi della politica agricola comune consistono nel garantire agli agricoltori un congruo tenore di vita, fornire ai 
consumatori alimenti di qualità a prezzi equi e preservare il patrimonio rurale. La politica ha seguito l’evoluzione della 
società, cercando di venire incontro alle nuove esigenze. È così che sicurezza alimentare, salvaguardia dell’ambiente 
rurale, redditività ed agricoltura come fonte di prodotti da convertire in combustibile hanno gradualmente acquisito 
un’importanza crescente. Nata cinquant’anni fa, quando i membri fondatori della Comunità europea erano appena usciti 
da un decennio di penuria alimentare, la politica agricola comune (PAC) esordì sovvenzionando la produzione di 
derrate alimentari di base, nell’intento di raggiungere l’autosufficienza e la sicurezza alimentare. Ora l’accento è posto 
sul ruolo svolto dall’agricoltura nella tutela e nella gestione efficace delle nostre risorse naturali.  
Fonte: http://europa.eu/pol/agr/overview_it.htm. Ultimo accesso in data: 18/10/07. 
 
7
 Il 26 marzo 1999, al termine del Consiglio europeo di Berlino, i capi di Stato e di governo hanno concluso un accordo 
politico sull'Agenda 2000. Agenda 2000 è un programma d'azione che si prefigge, quali obiettivi principali, di 
rafforzare le politiche comunitarie e di dotare l'Unione europea di un nuovo quadro finanziario per il periodo 2000-
2006, tenendo conto delle prospettive di ampliamento. Nel 1999 tale programma ha dato origine a una ventina di testi di 
legge riguardanti settori prioritari. Fonte: http://ec.europa.eu/agenda2000/index_it.htm. Ultimo accesso in data 
18/10/07. 
 
 11
• restituire competitività alle produzioni agricole sui mercati interni e mondiali attraverso la 
riduzione dei prezzi delle OCM (Organizzazioni Comuni dei Mercati agricoli); 
• creare fonti di reddito alternative per i lavoratori agricoli; 
• promuovere la ricerca, l’innovazione tecnologica e la formazione; 
• elaborare una nuova politica dello sviluppo rurale; 
• aumentare il peso delle politiche ambientali e strutturali; 
• migliorare la qualità e la sicurezza dei prodotti alimentari. 
Infine con l’ultima riforma del 2003 sono stati modificati e ridimensionati i meccanismi di sostegno 
ai mercati e consolidati gli strumenti a supporto delle politiche di sviluppo rurale attraverso 
l’introduzione di misure volte al riconoscimento e alla promozione del ruolo multifunzionale 
dell’azienda agricola all’interno del mondo rurale. Questo aspetto è stato sottolineato 
dall’introduzione di strumenti volti alla differenziazione delle attività e, nell’ultima riforma, della 
condizionalità, che vincola l’erogazione dei contributi, non più accoppiati alle colture, al rispetto di 
norme riguardanti la tutela del territorio, il benessere degli animali e la sicurezza alimentare. 
Questi nuovi aspetti che potenzialmente potevano accrescere il valore aggiunto dei prodotti 
contribuendo al recupero della fiducia dei consumatori, in realtà non hanno fatto nient’altro che 
stringere ancora di più le aziende in una rete intricata di normative. 
Nonostante questo sia comunque ancora il modello più utilizzato, negli ultimi anni è emersa 
un’alternativa capace di incontrare anche le necessita dei consumatori. 
Tale alternativa basata sulla contrazione della filiera e sul conseguente recupero di valore sia 
economico che relazionale derivante dalla semplificazione della catena distributiva, prende forme 
altamente eterogenee, dando vita a diverse modalità esecutive  note come “Short Supply Chains” o 
circuiti brevi. 
La caratteristica che contraddistingue le “Short Supply Chain” è la capacità di risocializzare e 
ricollocare spazialmente le produzioni, permettendo ai consumatori di accedere a nuove 
informazioni sulla qualità e le origini dei prodotti acquistati; inoltre l’accorciamento della distanza 
tra produttore e consumatore permette di ridurre il numero degli intermediari commerciali 
comportando quindi una diminuzione del prezzo finale per l’acquirente e una remunerazione più 
equa per il produttore. 
Questo aspetto, in particolare, porta ad evidenziare l’importanza di queste pratiche in una nuova 
concezione di sviluppo rurale che sia sostenibile ecologicamente, socialmente ed economicamente.