vissuta; musica che entra nei film in maniera preponderante, che non serve solo da
cornice ma che descrive stati d’animo e situazioni.
Il viaggio che ho intrapreso mi ha portato negli studi di Cinecittà, sul set de’
La finestra di fronte dove ho incontrato le – mie – fate ignoranti, alcune di queste
persone sono personaggi fondamentali, altre rimangono solo semplici comparse,
però ognuno di loro mi ha accompagnato, anche solo per qualche minuto, nel mio
viaggio. Ed è per questo che ho voluto inserire l’intervista realizzata a Gianni
Romoli (sceneggiatore, produttore e grande amico di Ferzan Ozpetek) e a
Massimiliano Nocente (arredatore del film La finestra di fronte) perché le cose
possono sembrare completamente diverse se vengono raccontate in base alle
proprie esperienze e viste con occhi diversi.
Tornando a casa ho portato con me dei souvenir, delle piccole cartoline sulla
Turchia, per capire la realtà degli Hamam e per comprendere la vita che
conducevano le concubine del Sultano; ma non mancano delle chicche, la lettera
originale del film La finestra di fronte che Davide scrive a Simone e i disegni
delle torte, le torte dei ricordi (realizzati da Massimiliano Nocente).
Alla fine del mio viaggio ho incontrato (finalmente) il motivo per cui ero
partito: Ferzan Ozpetek…
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IL CINEMA DEL NUOVO MILLENNIO
Il fatidico inizio del terzo millennio non è necessariamente destinato a
produrre svolte epocali, anzi l’impressione è che, al contrario, ci sia più spazio per
la continuità che per il cambiamento. Se questo è vero in generale, figuriamoci per
il cinema italiano sempre in bilico fra incoraggianti segnali di ripresa e deludenti
verifiche. Tuttavia fra il serio e il faceto, e inseguendo un po’ la moda delle
provocazioni giornalistiche molto diffuse in questo periodo di passaggio
millenaristico, mi piace immaginare che il terzo millennio produca nuovi scenari
almeno in campo cinematografico, favorendo la formazione di una serie di nuovi
talenti in grado da una parte di raccogliere l’eredità dei maestri scomparsi e
rilevare il testimone dai registi attivi e consacrati, dall’altra di imboccare nuove
strade espressive a livello di linguaggio, strutture narrative, tensione civile.
Ma al di là degli auspici, qualcosa effettivamente nel cinema italiano sta
cambiando, anzi è già cambiato. Innanzitutto l’atteggiamento del pubblico, che,
dopo anni di aprioristiche diffidenze e sostanziale disinteresse, è tornato a
guardare con curiosità e in qualche caso persino con affetto al cinema italiano.
Come accadeva una volta, sembra emergere un desiderio e una voglia di
rispecchiarsi nelle storie e nei personaggi proposti sul grande schermo. Pur con
notevoli differenze – l’annata cinematografica 2000-2001 è stata caratterizzata da
un grande successo della produzione nazionale anche in termini di botteghino,
l’annata 2001-2002 ha visto indietreggiare i numeri del nostro cinema, per
mancanze di punte, ovvero di film evento sempre difficili da programmare – i
risultati delle ultime due stagioni cinematografiche testimoniano
complessivamente un ritorno d’interesse, di fiducia, di complicità nei confronti
dei film italiani e in particolare verso il cinema che produce senso, i titoli di
qualità, le pellicole d’autore, alcune delle quali, come non accadeva dagli anni
’70, capaci di raggiungere un successo di dimensioni popolari.
È accaduto con film come Pane e tulipani, L’ultimo bacio, Le fate ignoranti,
La stanza del figlio, I cento passi, e seppure in misura numericamente più
contenuta ancora più recentemente con Santo Maradona, Casomai, Il più bel
giorno della mia vita, Luce dei miei occhi. Perfino un paio di film obiettivamente
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“difficili” come Il mestiere delle armi di Ermanno Olmi e L’ora di religione di
Marco Bellocchio hanno ottenuto risultati brillanti, inimmaginabili solo fino a
qualche anno fa.
Se questi risultati vengono confrontati con il flop registrato
contemporaneamente da numerosissimi film dichiaratamente commerciali si
potrebbe addirittura ipotizzare un epocale cambiamento nei gusti del pubblico. La
commedia nelle forme più farsesche, televisive e sbracate, a parte il fenomeno
tutto particolare del consumo natalizio, sembra avviata verso un definitivo
tramonto. Anche dall’estero giungono confortanti segnali di rinnovato interesse
nei confronti della nostra produzione, oltre a una maggiore, benché ancor esigua,
presenza dei nostri film nella distribuzione internazionale, si possono ricordare i
brillanti risultati ottenuti nelle ultime due edizioni del più prestigioso Festival
Internazionale, quello di Cannes: la Palma d’Oro del 2001 conquistata da La
stanza del figlio di Nanni Moretti, dopo una lunga assenza che si protraeva dal
1978 e l’affermazione nella sezione “Semaine de la Critique” di Respiro di
Emanuele Crialese, film interessantissimo e originale, che segna la definitiva
consacrazione di un giovane autore, che solo perché aveva diretto un film
realizzato in USA non può essere considerato un vero e proprio esordiente, pur
restando la più bella sorpresa italiana della stagione.
A rinnovare l’essenziale rapporto con il pubblico, oltre alla complessiva
migliorata qualità della produzione nazionale, che resta ovviamente elemento
determinante, ha contribuito anche l’affermazione di un gruppo di nuovi volti. In
Italia sembra che stia faticosamente ma progressivamente riaffermandosi un
autarchico star system. In questi anni recenti si è avvertita in maniera negativa la
mancanza di una generazione di attori popolari e immediatamente riconoscibili,
come in passato, nella grande stagione della commedia all’italiana, sono stati
Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Marcello
Mastroianni, Monica Vitti. Ogni confronto appare in questo senso ancora
esagerato e prematuro, e, tuttavia all’orizzonte sembra emergere una generazione
di attori in grado di affermarsi simboli ed elementi di immeditato richiamo, senza
necessariamente essere, come Benigni, Troisi, Verdone, Aldo, Giovanni e
Giacomo, delle maschere comiche utilizzabili quasi esclusivamente come tali.
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Dal punto di vista degli interpreti, da molti anni il cinema italiano non era
mai stato così ricco come è oggi. Sia nel comparto maschile, dove, accanto ad
alcune presenze già accreditate da tempo, Sergio Castellitto, Silvio Orlando,
Fabrizio Bentivoglio, si sono aggiunti recentemente i nomi di Stefano Accorsi,
Luigi Lo Cascio, Fabrizio Gifuni, sia nel versante femminile, dove, a parte
qualche eccezione come Laura Morante, si era determinata una sorta di vuoto, ora
colmato dalla presenza di Margherita Buy, Giovanna Mezzogiorno, Sandra
Ceccarelli, Licia Maglietta, Valeria Golino, Valeria Bruni Tedeschi. Nel settore
interpreti si è riannodato un vitale e necessario rapporto con il teatro, dal quale
provengono molti dei nomi citati e altri emergenti che si potrebbero aggiungere,
da Sonia Bergamasco a Andrea Renzi, a Toni Servillo.
Insomma la così detta rinascita del cinema italiano non è più e solo un fatto
aurorale, determinato dal ritorno alla forma romanzo di tanto cinema e dalla
definitiva affermazione di una sorta di epica dell’intimo, che sembra
contraddistinguere le migliori esperienze del cinema italiano del terzo millennio,
come testimoniano tutta una serie di importanti film centrati direttamente o
indirettamente sul tema della famiglia. Accanto a una nuova generazione di registi
e sceneggiatori è tutta la macchina cinema che si sta definitivamente rinnovando.
Non è un caso che dietro i maggiori successi italiani dal 2000 in poi vi sia un
gruppo di nuovi produttori, entusiasti e generosi, e soprattutto in sintonia con le
esigenze e i gusti del pubblico che frequenta il grande schermo. Così pure un
generale rinnovamento si sta registrando fra le categorie dei direttori della
fotografia, dei scenografi, dei montatori, dei musicisti, dei tecnici della presa
diretta. Tutto ciò ha provocato un netto miglioramento nella confezione dei film
italiani, che, superate le sciatterie di un recente passato, si stanno allontanando dal
pattume degli standard televisivi, per recuperare un linguaggio più moderno e
prettamente cinematografico.
Naturalmente molti problemi restano da risolvere: a cominciare dalla
visibilità di buona parte del nostro cinema, che, nonostante la moltiplicazione
degli schermi, registratasi nel nostro paese da un paio d’anni a questa parte, resta
ampiamente insufficiente. Accanto ad alcuni imprevisti successi popolari, vi sono
una qualità di film italiani ingiustamente penalizzati negli esiti di pubblico. La
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legislazione cinematografica appare tuttora inadeguata: un maggiore
coinvolgimento di risorse private nella produzione e negli altri settori industriali
della macchina cinema è sicuramente auspicabile, ma senza cancellare
l’intervento pubblico, che può e deve funzionare come elemento calmierante del
mercato e soprattutto garantire, come avviene del resto in tutto il mondo, USA a
parte, il sostegno al cinema di qualità. È inimmaginabile, infatti, in un periodo di
recessione come quello che l’industria cinematografica in particolare e quella
audiovisiva più in generale stanno vivendo, pensare che siano capitali privati a
investire nella sperimentazione, nei nuovi linguaggi, negli esordienti.
Insomma nella speranza che i problemi strutturali irrisolti, che da anni
affliggono il cinema italiano e la cui soluzione non può essere affidata
esclusivamente ai cineasti, vengono concretamente affrontati e superati.
Nel cinema italiano, dove è opinione diffusa che paradossalmente sia più
facile esordire che continuare, quello degli esordi è, in definitiva, un fenomeno
spesso selvaggio e caotico, che difficilmente mette in comunicazione opere e
pubblico, autori e spettatori.
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FERZAN OZPETEK
Con soli quattro lungometraggi in sei anni, Ferzan
Ozpetek ha fatto irruzione nel paesaggio cinematografico
italiano e mondiale, visto che i suoi film sono fra quelli
più venduti all’estero negli ultimi anni.
Ferzan Ozpetek è nato ad Istanbul il 3 febbraio del
1959. Si trasferì in Italia nel 1978 per studiare Storia del
Cinema all’Università “La Sapienza” di Roma. Completa
la sua formazione frequentando corsi di storia dell’arte e del costume
all’Accademia di Navona e quelli di regia all’Accademia d’arte drammatica
“Silvio D’Amico” a Roma. Ferzan Ozpetek ha poi collaborato con Julian Beck e il
Living Theatre.
Durante gli anni dell’Università, con la scusa di un’intervista per un
fantomatico giornale turco, riesce ad avvicinarsi a registi e a personaggi legati al
mondo del cinema per poi proporsi come assistente o aiuto regista. Inizia cosi nel
1982 la sua attività come assistente alla regia prima con Massimo Troisi con il
film Scusate il ritardo, poi con Maurizio Ponzi con il film Son Contento e poi
seguono altre collaborazioni come assistente e aiuto regista con Ricky Tognazzi,
Lamberto Bava, Francesco Nuti, Sergio Citti e Marco Risi.
E proprio grazie alla Sorpasso Film di Marco Risi e Maurizio Tedesco che,
nel 1997, Ferzan Ozpetek approda alla regia del film: Il bagno turco – Hamam in
co-produzione con la Spagna e la Turchia dove si svolge quasi tutto il film.
Lo sguardo di Ferzan Ozpetek mescola l’atteggiamento del turista
occidentale al desiderio di ritornare ai suoi ricordi d’infanzia e di adolescenza.
Il regista si mette al servizio della storia e dei suoi personaggi. I lenti
movimenti di macchina rendono l’atmosfera dei luoghi e dei corpi soave e
rarefatta. La luce, i cromatismi e la musica di Pivio e Aldo De Scalzi restituiscono
un paese e una città affascinanti senza il ricorso ad espedienti da cartolina. La
direzione degli attori è puntigliosa con una particolare menzione ad Alessandro
Gassman che trova qui la sua migliore interpretazione.
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Due anni dopo, nel 1999, ritroviamo Ferzan Ozpetek nelle sale
cinematografiche con Harem Suare. Prodotto (di nuovo con un contributo
Eurimages, la Francia sostituisce la Spagna come terzo paese co-produttore) della
R & C Produzioni di Tilde Corsi e Gianni Romoli, che succede a Stefano
Tummolini come co-sceneggiatore (come per Le fate ignoranti e poi per La
finestra di fronte), il film, rispetto al precedente, viene accolto con più freddezza
dalla critica. Sarà comunque visto da più di 140.000 italiani e venduto in tutto il
mondo (ottimo successo in Giappone per esempio). Harem Suare lo si potrebbe
definire un “documentario dell’anima” tramite un gioco di specchi tra i due
protagonisti che si confrontano attraverso uno scambio culturale sul mito, sul
sesso e sul linguaggio, un film immerso in un’atmosfera sensuale e misteriosa,
ricca di sguardi furtivi, accompagnati da una scenografia e da una musica
tipicamente turca.
Dopo Il bagno turco – Hamam, Ferzan Ozpetek sceglie dunque un luogo
ancora più mitico. La ricostruzione dell’Harem risulta particolarmente suggestiva
così come il fascino dei corpi, di donne e uomini (vedi la bella scena in cui Safiyè
viene massaggiata con dell’olio e restituisce inaspettatamente il piacere all’altra
donna). La macchina da presa si sposta con sapiente lentezza nei corridoi e nelle
stupende sale. La musica di Verdi o dei soliti Pivio e Aldo De Scalzi ci avvolge.
Ferzan Ozpetek riesce a farci veramente entrare nell’Harem, luogo per definizione
proibito allo sguardo.
Ma narra con ellissi troppo ampie, sovrappone strati di racconto. Disorienta
lo spettatore che non avverte la crudeltà dei piani machiavellici dei due
protagonisti. L’atmosfera finisce per diventare un fondale sul quale si muovono
personaggi irreali nonostante il tentativo d’aggancio contemporaneo tramite il
personaggio di Valeria Golino. In fondo, malgrado i vari rimandi a Il bagno turco
– Hamam, Harem Suare costituisce un’opera a parte rispetto agli altri film
realizzati, non solo per la scelta dell’ambientazione, ma soprattutto per il tipo di
narrazione, la regia e la fotografia (troppo) stilizzate.
In questi due primi film ha raccontato il volto nascosto del suo paese, ha
levato il velo di mistero che circondava due simboli come il bagno turco e come la
vita segreta degli Harem, dando una voce a quelle donne che vivevano nascoste
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agli occhi del mondo. Ama raccontare un erotismo senza l’uso di immagini
esplicite, ma cariche di sensualità.
Nel 2001 Ferzan Ozpetek sbarca al cinema con Le fate ignoranti; il regista
lascia la Turchia per dedicarsi a un’opera in buona parte autobiografica. Un set
interamente romano con attori quasi tutti italiani.
Ferzan Ozpetek ha costruito un autentico “melò” sulla propria pelle,
riprendendo storie, aneddoti, oggetti suoi. Non teme di ricorrere ad una musica
onnipresente (di Andrea Guerra), ai primi piani per sottolineare le scene madri.
Trascende però l’estetica della telenovela grazie all’etica dell’umanesimo (l’AIDS
evocato senza alcun miserabilismo) e con il contrappunto dell’autoironia. Ferzan
Ozpetek non vuole giustificare i suoi personaggi, ma semplicemente capirli. Ci
sono momenti da antologia in questo film, sempre in bilico fra il sorriso e le
lacrime.
Ma Ferzan Ozpetek dopo solo due anni dal successo del film Le fate
ignoranti torna con una nuova opera che è piena di simbologia, di storia e di
riflessioni non convenzionali sui temi dell’amore e dell’omosessualità: La finestra
di fronte, un film premiato sia dal pubblico che dalla critica.
Il film è una specie di lettera d’amore per la città di Roma ed è una lettera
esigente, come ogni vero messaggio d’amore, perché non solo dichiara i propri
sentimenti ma chiarisce l’origine, la portata e le condizioni grazie alle quali quei
sentimenti potranno crescere e fiorire oppure spegnersi e appassire. Ed è una
lettera illuminante anche perché a scriverla è proprio il regista, che come ogni
straniero vede e sente cose nascoste dalla consuetudine agli stessi romani: il peso
del passato, le sue tracce indelebili per quanto semicancellate, la vergogna e il
dolore di certe pagine di storia e la speranza, la solidarietà, il legame segreto che
unisce le vite più distanti in un solo grande disegno.
La figura per cui La finestra di fronte si colloca da subito fra i film che
resteranno è quella di Massimo Girotti, che dopo essere stato l’eroe dell’Italia fra
guerra e dopoguerra rinnova ora la memoria di quegli anni. Pochi attori hanno
incarnato in modo così completo l’intero palpito della vita di una nazione; e
Massimo, sublime di dolcezza e vulnerabilità, esce di scena alla grande facendo
l’ultimo dono a un cinema che si era dimenticato di lui. Il personaggio più
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convincente è proprio lui, con i suoi dolci spettacolari e la sua storia segreta,
perché venendo lui stesso dal passato è l’anima e il cuore di questo film che
unisce memoria (collettiva) e coscienza (individuale) come due facce della stessa
medaglia.
Ferzan Ozpetek ama le storie e nel film ne racconta molte, reali, ipotetiche o
“fantasmatiche”. Compie anche gesti audaci: panoramiche che iniziano sull’oggi e
si confondono in un ballo del passato, la rivelazione di Giovanna che a un passo
dal tradimento spia se stessa nella finestra di fronte. Cose che al cinema, se
vengono male, distruggono un film, ma che il regista sa giostrare con mano ferma.
Nessuna didattica arida nell’affrontare l’Olocausto, tenerezza leggera nel
raccontare la passione per i dolci che unisce Giovanna e Simone, spericolatezza
nel mischiare il melodramma con il soprassalto da autore come nella corsa finale
di lei sulle scale.
Queste sono quattro opere in cui il regista rivendica sia la sua cultura che la
sua omosessualità, opere che si completano l’un l’altra.
Mentre si affermava tra i registi cinematografici emergenti, Ferzan Ozpetek
si cimentava anche nel campo della pubblicità, infatti alla regia del latte
“Frescoblu di Parmalat” troviamo proprio il suo nome.
Il lancio televisivo si articola in tre momenti: una prima fase composta da tre
teaser per suscitare curiosità intorno al nome, una fase di lancio vero e proprio, e
una terza fase di consolidamento che spiega il plus del prodotto, la lunga durata,
dovuta anche alla particolare bottiglia blu che lo protegge dalla luce. Il film
mostra i tentativi di un giovane di far scendere in strada una ragazza cantandole
“Fatti mandare dalla mamma…”, ma lei risponde che per la mamma il latte è
ancora fresco, e va avanti così per giorni, proprio perché il latte è, sfortunatamente
per il giovane, a lunga durata. Chiude il claim “Frescoblu. La pura freschezza che
dura di più”.
Pure lo spot, che prosegue la saga del condominio “Banco Posta”, è stato
diretto da Ferzan Ozpetek per la casa di produzione Harold, ideato da Roberta
Perone e Daniele Bufalini. Nelle versioni 30 e 10 secondi, punta a raggiungere
tutti i target senza limitazioni, evitando di offrire una comunicazione troppo
tecnica e quindi di difficile comprensione. Il claim “Banco Posta, bella scoperta”.
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Ferzan Ozpetek vive e lavora in Italia da circa venticinque anni. Si definisce
“un uomo dal doppio passaporto e figlio di due culture”. Sensibile, sincero,
semplice. Regista di piccole storie, intime, raccontate con sguardo limpido sempre
sul bilico dell’autobiografismo. Il suo stile è asciutto, essenziale, oggettivo,
pudico e i suoi personaggi senza una precisa identità.
È il regista della ricerca (di se stessi e degli altri). Del Viaggio come fuga o
redenzione e conoscenza di sé, del caos sentimentale, della contaminazione dei
sessi e delle culture, della catartica ambiguità del cambiamento individuale. Più
attento ai personaggi, al loro mondo, alle loro pulsioni, alle loro ambiguità. La
freschezza dei dialoghi, la genuinità delle sue storie lo rende oggi uno dei più
interessanti autori della nuova generazione di registi italiani. Ma lui che italiano lo
è, ma di adozione, conserva appieno la sua cultura originaria (turca) e la
contamina, fondendola e confondendola, nelle sue storie con esiti talvolta
eccellenti.
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AIUTO REGISTA:
Scusate il ritardo, 1982, Massimo Troisi.
Son cintento, 1983, Maurizio Ponzi.
Il Tenente dei carabiniere, 1986, Maurizio Ponzi.
Noi uomini duri, 1987, Maurizio Ponzi.
Il volpone, 1988, Maurizio Ponzi.
Il maestro del terrore, 1988 (Film TV).
La scorta, 1993, Ricky Tognazzi.
Il branco, 1994, Marco Risi.
Anche i commercialisti hanno un’anima, 1994, Maurizio Ponzi.
REGISTA:
Il bagno turco – Hamam, 1997.
Harem Suare, 1999.
Le fate ignoranti, 2001.
La finestra di fronte, 2003.
SCENEGGIATORE:
Il bagno turco – Hamam, 1997.
Harem Suare, 1999.
Le fate ignoranti, 2001.
La finestra di fronte, 2003.
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LUIGI & AURELIO DI LAURENTIIS
MARCO RISI & MAURIZIO TEDESCO
presentano
un film di
FERZAN OZPETEK
IL BAGNO TURCO
HAMAM
con
ALESSANDRO GASSMAN
FRANCESCA D’ALOJA
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CREDITS
Produttori Sorpasso Film (Roma),
Promete Film (Istanbul),
Asbrell Production (Madrid)
Produttori esecutivi Paolo Buzzi e Ozan Ergun
Regia Ferzan Ozpetk
Soggetto e sceneggiatura Stefano Tummolini e Ferzan Ozpetek
Fotografia Pasquale Mari
Scenografia Virginia Vinello e
Mustafà Ziya Ulkenciler
Costumi Metella Roboni e Selda Cicek
Montaggio Mauro Bonanni
Musica Pivio e Aldo De Scalzi
Direttore di produzione Roberto Manni
Trucco Gaia Banchelli
Parrucchiere Luca Zamprioli
Costumi Metella Roboni e Selda Cicek
Fonico di presa diretta Marco Grillo
Aiuto regista GianLuca Mazzella
Segretaria di edizione Laura Cureli
Operatore alla macchina Fabio Zamarion
Distribuzione Italia Filmauro - Rcs Films & Tv
Anno di produzione 1996 / 1997
Durata 95’
Uscita nazionale 10 maggio 1997
CAST
Francesco Alessandro Gassman
Marta Francesca D’Aloja
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